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Reato continuato: obbligo di motivazione del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava l’applicazione del reato continuato tra diversi illeciti. La decisione è stata presa perché il giudice non aveva motivato il rigetto della richiesta riguardo a due reati specifici, temporalmente vicini e simili nelle modalità. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione, sottolineando l’obbligo del giudice di fornire una motivazione completa su tutte le istanze presentate dalla difesa.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il Reato Continuato e l’Obbligo di Motivazione: Analisi di una Sentenza della Cassazione

Il concetto di reato continuato rappresenta un principio di favore per chi ha commesso più illeciti legati da un unico disegno criminoso. Ma cosa succede se il giudice, nel decidere se applicarlo o meno, omette di valutare una parte specifica della richiesta? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20257/2024) chiarisce l’importanza dell’obbligo di motivazione, anche sulle richieste subordinate della difesa.

I fatti del caso: Tre condanne e una richiesta di unificazione

Un soggetto, già condannato con tre sentenze definitive per reati diversi, presentava un’istanza al giudice dell’esecuzione. Chiedeva di applicare la disciplina del reato continuato per unificare le pene relative a:

1. Una condanna per appropriazione indebita (art. 646 c.p.) di un’autovettura, commessa nel gennaio 2011.
2. Una condanna per peculato (art. 314 c.p.), commesso tra il 2006 e il 2009 in concorso con altri.
3. Una condanna per bancarotta fraudolenta (art. 216 Legge Fallimentare) per la distrazione di un’altra autovettura, commessa nel giugno 2011.

In subordine, qualora il giudice non avesse ritenuto di unificare tutti e tre i reati, la difesa chiedeva di riconoscere la continuazione almeno tra il primo e il terzo, ossia l’appropriazione indebita e la bancarotta.

La decisione della Corte d’Appello e il ricorso per Cassazione

La Corte d’appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta. Secondo i giudici, non c’erano elementi per ritenere un’unitaria programmazione dei reati, data la notevole distanza temporale tra i fatti, la diversità dei titoli di reato e la presenza di correi solo in uno dei casi.

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. In particolare, evidenziava come la Corte d’appello avesse completamente ignorato la richiesta subordinata. Non era stata fornita alcuna motivazione sul perché non fosse possibile riconoscere il reato continuato almeno tra i fatti di appropriazione indebita e di bancarotta, che erano molto simili per modalità (riguardavano entrambi autovetture), erano stati commessi a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro e senza il concorso di altre persone.

Le motivazioni della Cassazione: il dovere di motivare su ogni punto

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso. Gli Ermellini hanno sottolineato che, sebbene la Corte d’appello avesse motivato il rigetto della continuazione tra il reato di peculato e gli altri, aveva commesso un errore di ‘omessa pronuncia’ sulla richiesta subordinata.

Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha il dovere di esaminare e motivare tutte le questioni sollevate dalla difesa. Nel caso specifico, la contiguità temporale (gennaio 2011 e giugno 2011) e le caratteristiche strutturali dei due reati (appropriazione indebita e distrazione fallimentare di beni simili) erano elementi così significativi da richiedere una specifica presa di posizione. Non era sufficiente una motivazione generica che respingesse l’intera istanza, ma era necessario spiegare perché anche quei due reati, apparentemente collegati, non potessero rientrare in un medesimo disegno criminoso.

Il principio affermato è chiaro: quando la difesa presenta argomenti specifici e pertinenti, il giudice non può ignorarli, ma deve fornire una risposta motivata, pena l’annullamento del provvedimento.

Le conclusioni: l’annullamento parziale e le implicazioni pratiche

Di conseguenza, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata, ma solo limitatamente al rigetto della richiesta di continuazione tra i reati di appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta. La causa è stata rinviata alla Corte d’appello di Bologna per un nuovo giudizio su questo specifico punto.

La Corte ha inoltre precisato, richiamando una sentenza della Corte Costituzionale, che il nuovo giudizio dovrà essere tenuto da un collegio di giudici diverso da quello che aveva emesso l’ordinanza annullata, per garantire la massima imparzialità. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale: ogni richiesta avanzata da una parte processuale merita una risposta adeguata e motivata, garantendo così il pieno esercizio del diritto di difesa.

Può essere richiesto il riconoscimento del reato continuato dopo che le sentenze sono diventate definitive?
Sì, la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato può essere presentata in fase esecutiva, ovvero dopo che le sentenze di condanna sono diventate irrevocabili, come previsto dall’art. 671 del codice di procedura penale.

Cosa succede se un giudice non motiva la sua decisione su una richiesta specifica della difesa?
Se un giudice omette di pronunciarsi su un argomento specifico e rilevante sollevato dalla difesa, il suo provvedimento è viziato da ‘omessa pronuncia’. Come in questo caso, la decisione può essere annullata dalla Corte di Cassazione con rinvio per un nuovo esame del punto non considerato.

Il giudice che ha emesso un provvedimento poi annullato può partecipare al nuovo giudizio?
No. La sentenza chiarisce che, in base a una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 183/2013), il giudice che ha già deciso sulla richiesta di applicazione del reato continuato in sede esecutiva non può partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento, per garantire l’imparzialità della nuova decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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