Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 32860 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 32860 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 21/05/2025 del TRIBUNALE di SIENA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l ‘ inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Siena, con il decreto indicato nel preambolo, ha dichiarato inammissibile l ‘ istanza con cui NOME COGNOME aveva chiesto applicarsi la disciplina del reato continuato in relazione alle sentenze emesse dal Giudice dell ‘ udienza preliminare del Tribunale di Bari rispettivamente in data 2 settembre 2000, 9 aprile 2002 e 4 dicembre 2002.
A ragione della decisione osserva che l ‘ istanza costituisce mera riproposizione di quella già rigettata dal Tribunale in data 23 novembre 2022, avente ad oggetto la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione in relazione ai reati oggetto delle stesse sentenze.
Gli elementi allegati a sostegno dell ‘ ammissibilità non possono considerarsi ‘ nuovi ‘, così come precisato nella sentenza n. 6777 in data 8.1.2021 della prima sezione della Corte di cassazione, trattandosi di atti non presi in considerazione nelle sentenze di merito (ordinanza cautelare, sintesi di intercettazioni, richiesta del pubblico ministero di applicazione di misura custodiale)
Ricorre COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui denuncia violazione di legge e vizio di motivazione.
Lamenta che il Tribunale, nel valutare l ‘ istanza quale mera riproposizione di quella precedente, ha escluso il carattere di novità delle allegazioni difensive sull ‘ erroneo presupposto che, ai fini dell ‘ applicazione in sede esecutiva dell ‘ istituto della continuazione, possono essere valutati esclusivamente gli elementi di giudizio considerati nelle sentenze di merito.
È pacifico che il giudice dell ‘ esecuzione, nel rigettare, con l ‘ ordinanza del 5 gennaio 2023, l ‘ istanza di continuazione abbia valutato soltanto il contenuto delle tre sentenze oggetto della richiesta di unificazione, peraltro emesse ai sensi dell ‘ art. 444 cod. proc. pen. quindi tutte caratterizzate da una motivazione estremamente sintetica essendosi il giudice della cognizione limitato ad omologare l ‘ accordo sulla pena raggiunto dalle parti.
E altrettanto certo che con la seconda istanza sono stati introdotti una serie di atti aventi il carattere della novità perché mai ‘ esposti ovvero presi in considerazione ‘ nel giudizio definito con l ‘ ordinanza di rigetto.
In tale situazione la seconda istanza non poteva essere considerata inammissibile perché meramente reiterativa della precedente e il giudice adito avrebbe dovuto valutare gli elementi allegati per la prima volta ai fini di apprezzarne la rilevanza nel giudizio sulla sussistenza del vincolo di cui all ‘ art. 81, secondo comma, cod. pen.
In senso contrario non depongono i principi affermati dalla sentenza della giurisprudenza di legittimità citata nell ‘ ordinanza impugnata.
La pronuncia de qua , pur affermando l ‘ impossibilità per il giudice dell ‘ esecuzione di valutare in tema di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva elementi di giudizio che non sono stati considerati nelle sentenze di merito (nella specie la parziale incapacità di intendere e volere conseguenti ad abuso cronico di sostanze stupefacenti ), non introduce una forma di preclusione, rimanendo fermo il principio, enunciato in numerose sentenze della Corte di cassazione, in forza del quale è consentito riproporre al giudice dell ‘ esecuzione una nuova istanza avente il medesimo petitum a condizione che si presentino nuove tematiche giuridiche o nuovi dati di fatto, sia sopravvenuti sia preesistenti.
I nuovi atti allegati all ‘ istanza forniscono un contributo decisivo rispetto al riconoscimento dell ‘ invocato vincolo della continuazione.
Da essi, secondo la prospettazione difensiva, si evince che le condotte di rapine oggetto di tutte e tre le sentenze sono omogenee tra di loro, commesse in epoca ravvicinata, ed eseguite in esecuzione del programma criminoso perseguito dall ‘ associazione a delinquere, oggetto della sentenza del 04/12/2002, promossa ed organizzata nello stesso arco temporale da COGNOME. L ‘ associazione, peraltro, a differenza di quanto sostenuto nell ‘ ordinanza di rigetto in data 23 novembre 2022, non era finalizzata soltanto a commettere rapine ai danni di supermercati o stazioni di servizio ma indistintamente anche nei confronti di soggetti singoli quali le persone offese dei reati oggetto delle sentenze del 2 settembre 2000 e del 9 aprile 2002.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Secondo l ‘ orientamento consolidato di questa Corte di legittimità, l ‘ art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l ‘ istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (Sez. 1, n. 4761 del 25/10/2024, dep. 2025, D., Rv. 287553 -01; Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 269841: fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato il provvedimento con il quale il giudice dell ‘ esecuzione, giudicando irrilevante un documento prodotto dalla difesa che non aveva formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato; Sez. 3, n. 6051 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268834; Sez. 3, n. 50005 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 261394; Sez. 1, n. 29983 del 31/05/2013, Bellin, Rv. 256406).
L ‘ assenza di «novità» dell ‘ istanza, nei termini precisati, che costituisce l ‘ indefettibile presupposto che consente di definire de plano il procedimento, senza dar luogo al contraddittorio camerale altrimenti assicurato dal citato art. 666, deve essere però di palmare evidenza (Sez. 5, n. 2793 del 05/05/1998, Prato, Rv. 210936; Sez. 3, n. 1477 del 27/04/1995, Reale, Rv. 202474), ossia rilevabile ictu oculi (Sez. 5, n. 34960 del 14/06/2007, Stara, Rv. 237712); in linea con il più generale principio secondo cui, in materia di esecuzione, la pregiudiziale inammissibilità può essere dichiarata solo nei casi in cui appaiano immediatamente insussistenti i presupposti normativi della richiesta (restando riservati al rito camerale le questioni di diritto di non univoca soluzione e la delibazione di
fondatezza nel merito dell ‘ istanza: ex pluribus, Sez. 3, n. 47402 dei 21/10/2014, Chisci, Rv. 260971).
Il decreto impugnato è stato adottato con riguardo ad una richiesta che non appariva identica, per elementi giustificativi, a quella già rigettata, se non altro sotto il profilo del rafforzato collegamento tra le condotte delittuose oggetto della richiesta di unificazione ex art. 81, secondo comma, cod. pen.
In particolare, la difesa ha allegato all ‘ istanza gli atti di indagine relativi ai procedimenti definiti dalle sentenze del 9 aprile 2002 e del 4 dicembre 2002 non valutati dal giudice dell ‘ esecuzione nel precedente provvedimento, prospettando la loro idoneità a dimostrare l ‘ unitarietà del disegno criminoso sotteso ai reati da unificare.
Indipendentemente dalla concludenza di tali elementi, il giudice dell ‘ esecuzione avrebbe dovuto vagliarli nel contraddittorio delle parti, e la violazione di tale regola importa l ‘ annullamento senza rinvio dei provvedimenti emesso al di fuori di esso. Gli atti debbono essere restituiti al giudice medesimo, perché proceda nelle forme di legge, impregiudicata la decisione di merito.
Non è condivisibile la tesi seguita dal provvedimento impugnato, anche con il richiamo di una sentenza di questa Corte di legittimità, secondo cui i nuovi elementi non erano in radice valutabili perché non considerati nelle sentenze di merito.
Al riguardo va data continuità all ‘ orientamento secondo cui nel procedimento di applicazione della continuazione in executivis , previsto dall ‘ art. 671 cod. proc. pen., il giudice, fermo l ‘ onere di allegazione da parte dell ‘ istante (Sez. 1, n. 35806 del 20/04/2016, COGNOME: Rv. 267580), può acquisire o assumere, su richiesta di parte o ex officio , tutti i documenti e le prove di cui necessita e non deve basarsi, solo ed esclusivamente, sulle sentenze in relazione alle quali è richiesta l ‘ applicazione della disciplina della continuazione, che deve acquisire d ‘ ufficio, a norma dell ‘ art. 186 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 1, n . 17020 del 09/01/2015, Zampaglione Rv. 263363 -01: fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l ‘ ordinanza del giudice dell ‘ esecuzione che, nel rigettare l ‘ istanza di applicazione della continuazione, aveva respinto la richiesta della difesa di acquisizione di documenti diversi dalle sentenze oggetto di esame, con la motivazione che questi erano “estranei” a quanto accertato in via definitiva nelle sentenze medesime), potendo addirittura disporre perizia (cfr. Sez. 3, n. 30167 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270222), con l ‘ unico limite, previsto all ‘ art. 666, comma 5, cod. proc. pen., del rispetto del contraddittorio (cfr. Sez. 1, n. 52620 del 08/11/2017, COGNOME, Rv. 271814; Sez. 1, n. 8585 del 11/02/2015, COGNOME, Rv. 262555).
D ‘ altra parte, a chi chiede il riconoscimento del vincolo di continuazione tra più reati giudicati con distinte decisioni incombe l ‘ onere di indicare i reati legati tra loro dall ‘ unicità del disegno criminoso e, quantomeno, di prospettare, come per ogni aspetto che attiene alla psiche e alla volontà dell ‘ agente, specifici elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria. Non spetta invece al condannato l ‘ onere di provare tale unicità. È il giudice dell ‘ esecuzione che, tenuto conto delle allegazioni difensive ed attraverso l ‘ approfondita disamina dei casi giudiziari oggetto delle sentenze acquisite anche di ufficio, deve individuare i dati sostanziali di possibile collegamento (cfr. Sez. 1, n. 28762 del 28/04/2023 NOME COGNOME, Rv. 284970 01 ; Sez. 1, 14188 del 30/3/2010, COGNOME, Rv. 246840).
Il giudizio volto all ‘ accertamento degli estremi della continuazione da parte del giudice adito art. 671 cod. proc. pen. ed i suoi poteri cognitivi rimangono immutati qualora la richiesta di cui è investito abbia ad oggetto, come nel caso in esame, reati giudicati con sentenze di applicazione della pena che rechino una scarna, se non nulla, motivazione in merito al fatto.
Anche in tale eventualità il giudice adito è sempre tenuto ad esaminare tutti gli elementi necessari ai giudizio, tenendo adeguatamente conto delle allegazioni difensive ed eventualmente anche acquisendo di ufficio i fascicoli degli altri procedimenti, laddove ritenga le sentenze non sufficienti.
Coerentemente con un giudizio di siffatta ampiezza, il codice di rito ha espressamente previsto all ‘ art. 666, comma 5, cod. proc. pen. (“Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio”), pacificamente applicabile alla procedura prevista dall ‘ art. 671 cod. proc. pen., penetranti poteri istruttori che consentono al giudicante di acquisire informazioni e prove, anche di ufficio, senza l ‘ osservanza dei principi sull ‘ ammissione della prova di cui all ‘ art. 190 cod. proc. pen., essendo essenziale l ‘ accertamento dei fatti nel semplice rispetto della libertà morale delle persone e con le garanzie del contraddittorio (Sez. 1, n. 2510 del 27/4/1995, P.M. in proc. Esposito, Rv. 202141).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Siena .
Così deciso, in Roma 30 settembre 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME