Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37846 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37846 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME POSCIA EVA TOSCANI
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro dell’11/9/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 11.9.2024, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Crotone del 12.12.2023, ha rideterminato la pena – irrogata ad NOME COGNOME per i reati di detenzione di tre armi clandestine, di detenzione illegale di munizioni e di detenzione illecita di gr. 61,22 di cocaina, in concorso con lo zio NOME COGNOME, nel cui appartamento i detti beni venivano rinvenuti – in quattro anni e quindici giorni di reclusione e 4.333 euro di multa.
La Corte d’appello premette che il difensore dell’imputato ha proposto appello, deducendo innanzitutto il difetto di prova in ordine alla riconducibilità delle armi, delle munizioni e dello stupefacente al suo assistito, atteso che le chiavi dell’abitazione dello zio erano state rinvenute in un luogo in cui rimanevano accessibili anche ad altre persone e che comunque NOME era stato visto dalla polizia giudiziaria entrare nello stabile e non nell’appartamento dello zio; in ogni caso, anche a ritenere che si recasse nell’abitazione del proprio congiunto, il suo comportamento avrebbe potuto essere qualificato solo come connivente e non punibile, anzichØ come concorso nella illecita detenzione.
A tal proposito, i giudici di secondo grado ritengono che invece la ‘assidua frequentazione’ dello stabile dello zio e il rapporto di parentela abbiano consentito di ricondurre ad NOME COGNOME sia l’accesso all’abitazione che la disponibilità esclusiva delle chiavi; viene considerato significativo anche il contegno dell’imputato, che dapprima aveva negato di detenere le chiavi e poi aveva indicato lui stesso alla polizia giudiziaria il luogo di occultamento di armi, munizioni e droga.
Quanto, poi, al motivo d’appello relativo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i reati per cui era intervenuta condanna, la Corte d’appello osserva che ‘la detenzione delle armi e delle cartucce e quella della sostanza stupefacente con finalità di spaccio non possono ritenersi espressione di un medesimo disegno criminoso,
trattandosi di reati non omogenei e dalla diversa oggettività giuridica’.
2.Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
In particolare, il ricorso lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto che dalla deposizione del teste di polizia giudiziaria era emerso che il mazzo di chiavi dell’abitazione dello zio dell’imputato era stato ritrovato non sulla persona, ma nell’abitazione del ricorrente, ove risiedono anche altre persone, e che durante il servizio di osservazione la polizia giudiziaria aveva potuto notare NOME, peraltro in poche occasioni, fare ingresso nel palazzo ma non anche nell’appartamento dello zio.
Di conseguenza, la motivazione Ł viziata da manifesta illogicità, perchØ ha affermato che le chiavi erano nella esclusiva disponibilità del ricorrente e che questi aveva frequente accesso all’abitazione dello zio.
2.2 Con il secondo motivo, deduce assenza di motivazione sul motivo d’appello riguardante il mancato riconoscimento della continuazione tra tutti i reati.
Si censura, cioŁ, che la Corte d’appello abbia omesso ogni decisione sulla prospettazione difensiva dell’unicità del disegno criminoso che affasciava tutti i reati ascritti all’imputato.
Con requisitoria scritta trasmessa il 26.8.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, in quanto la Corte d’appello, pur riconoscendo la continuazione interna per i reati del capo 1) dell’imputazione, ha omesso di prendere in considerazione i motivi di appello circa la possibilità di ritenere applicabile la disciplina del reato continuato a tutti i reati contestati, in considerazione della unitaria generica programmazione rinvenibile con riguardo ai fatti ipotizzati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Quanto al primo motivo, deve ritenersi che la motivazione delle sentenze di merito, che possono essere lette congiuntamente vertendosi nel caso di una c.d. ‘doppia conforme’, riconduce in modo nient’affatto illogico o contraddittorio ad NOME COGNOME la responsabilità dei reati contestati.
In primo luogo, alla osservazione secondo cui le chiavi dell’abitazione dello zio del ricorrente furono rinvenute in un luogo in cui erano accessibili anche ad altre persone Ł stato congruamente attribuito un rilievo trascurabile e soprattutto non decisivo, in quanto il dato di fatto Ł che fossero custodite nell’abitazione di NOME COGNOME, il quale era presente alla perquisizione del proprio domicilio, e che, di contro, non Ł affatto risultato, al di là della mera supposizione difensiva, che altri coabitassero con lui in quello stesso luogo.
In secondo luogo, alla osservazione secondo cui il ricorrente fu semplicemente osservato mentre entrava nel palazzo ove Ł allocata l’abitazione dello zio e non anche nell’abitazione stessa, i giudici di merito rispondono con l’appropriato riferimento al fatto che NOME COGNOME, nel corso della perquisizione a carico di NOME COGNOME, fornì lui stesso alla polizia giudiziaria precise indicazioni in ordine al luogo ove erano occultate le tre armi clandestine e la sostanza stupefacente: si tratta di un dato univocamente rivelatore che egli frequentasse quell’appartamento e avesse dimestichezza con i suoi interni, tanto da conoscere anche la esatta collocazione di beni illeciti ivi occultati.
Si aggiunga che la sentenza impugnata annette una indubbia rilevanza anche alla
circostanza che il ricorrente avesse dapprima negato di sapere alcunchØ delle chiavi rinvenute nel suo domicilio e che, solo quando condotto dagli inquirenti dinanzi all’abitazione dello zio, avesse poi ammesso che si trattava delle chiavi che l’aprivano, evidentemente consapevole di non potere piø evitare che la polizia giudiziaria entrasse e rinvenisse armi, munizioni e droga.
Si tratta, dunque, di una motivazione del tutto adeguata e logica, nella quale non Ł dato di rilevare – come lamentato nel ricorso – alcun travisamento delle prove, di cui il ricorrente ha proposto una mera rivalutazione sul piano del merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali e un diverso giudizio della loro rilevanza.
Le censure, cioŁ, non sono idonee a confutare le argomentazioni in virtø delle quali l’omologo motivo d’appello non Ł stato accolto e, quindi, a invalidare il percorso logico seguito dai giudici di merito per pervenire alla dichiarazione di responsabilità di NOME.
Il primo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Il secondo motivo contesta la mancanza di motivazione sul diniego della continuazione.
In realtà, i giudici d’appello prendono specificamente in considerazione la doglianza relativa al mancato riconoscimento di un medesimo disegno criminoso tra tutti i reati contestati a NOME e la superano in ragione della eterogeneità delle fattispecie delittuose e della diversità dell’oggetto giuridico.
Si tratta di motivazione congrua, che evoca la assenza di quasi tutti gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso – modalità della condotta, tipologia dei reati, bene protetto, omogeneità delle violazioni, causale – a fronte di uno solo di essi che Ł ravvisabile nel caso di specie, costituito dalla contiguità cronologica.
In questo modo, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il riconoscimento della continuazione necessita di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
Di contro, il ricorso, si limita a una contestazione generica e non indica alcun elemento concreto da cui possa eventualmente ricavarsi una medesimezza del disegno criminoso che unifichi reati disomogenei.
Di conseguenza, il condannato non ha assolto all’onere, che incombe su chi invochi l’applicazione della disciplina della continuazione, di allegare elementi sintomatici della riconducibilità dei reati a una preventiva programmazione unitaria, onde evitare che il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 81, comma secondo, cod. pen. si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione del reato, rendendo evanescente la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere (Sez. 3, n. 17738 del 14/12/2018, dep. 2019, Bencivenga, Rv. 275451 – 01).
Anche il secondo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Alla luce di quanto fin qui considerato, pertanto, il ricorso Ł da considerarsi complessivamente infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 26/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME