Reato Continuato: Quando la Distanza Temporale e le Diverse Modalità Esecutive lo Escludono
L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio quando più azioni criminali sono riconducibili a un unico disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi possono ostacolare il riconoscimento di tale beneficio, sottolineando l’importanza di un’analisi concreta del piano criminale e delle modalità di esecuzione.
I Fatti del Caso in Esame
Il ricorrente aveva presentato istanza per ottenere il riconoscimento del reato continuato tra due distinti delitti:
1. Ricettazione: Avvenuta il 18 febbraio 2014, consistita nell’incassare personalmente presso uno sportello bancario un assegno di provenienza illecita.
2. Riciclaggio: Commesso il 26 gennaio 2015, quasi un anno dopo, attraverso un’operazione complessa. L’imputato, agendo come amministratore di fatto di una società, aveva orchestrato il trasferimento di denaro illecito facendo apparire come responsabili gli amministratori di diritto, per poi versare gran parte della somma sul conto corrente del proprio figlio.
Il Tribunale di Rovigo aveva respinto l’istanza, e l’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. Secondo gli Ermellini, mancano gli elementi necessari per poter configurare un unico disegno criminoso che leghi i due reati. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni sul reato continuato
La Corte ha basato la sua decisione su due elementi fattuali decisivi che, letti congiuntamente, escludono la possibilità di un reato continuato.
La Notevole Distanza Temporale tra i Reati
Il primo fattore considerato è l’intervallo di quasi un anno tra la ricettazione e il riciclaggio. Sebbene la distanza temporale non sia di per sé un ostacolo assoluto, un lasso di tempo così ampio rende meno plausibile che il secondo delitto fosse stato programmato, almeno nelle sue linee generali, già al momento della commissione del primo. Un piano unitario presuppone una visione d’insieme che si affievolisce con il passare del tempo.
Le Differenti e Incompatibili Modalità Esecutive
L’elemento più significativo, secondo la Corte, risiede nella profonda diversità delle modalità esecutive dei due crimini.
– Il primo reato (ricettazione) è stato commesso in modo semplice e diretto: l’imputato ha agito da solo e si è esposto personalmente recandosi in banca.
– Il secondo reato (riciclaggio) è stato invece caratterizzato da una condotta occulta e strutturata, volta a schermare la propria responsabilità attraverso l’interposizione di una società e degli amministratori formali, coinvolgendo anche il conto del figlio.
Questa eterogeneità nelle modalità operative, secondo la Corte, non è compatibile con un unico progetto criminale. Al contrario, suggerisce due “autonome risoluzioni criminose”, nate in contesti diversi e animate da logiche operative distinte. La prima azione appare estemporanea, mentre la seconda rivela una pianificazione più sofisticata.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reato continuato: per il suo riconoscimento non è sufficiente una generica inclinazione a delinquere o una “pervicace volontà criminale”, ma è necessaria la prova concreta di un’unica programmazione iniziale che abbracci tutti gli episodi delittuosi. La presenza di una significativa distanza temporale e, soprattutto, di modalità esecutive radicalmente diverse tra i reati sono forti indici dell’assenza di tale disegno unitario. La decisione sottolinea come l’analisi del giudice debba andare oltre la mera sequenza dei fatti, per indagare la struttura logica e operativa che lega (o, come in questo caso, separa) le diverse condotte criminali.
Quando può essere escluso il riconoscimento del reato continuato?
Il riconoscimento può essere escluso quando mancano prove di un unico disegno criminoso che leghi i diversi reati. Elementi come una notevole distanza temporale e, soprattutto, modalità di esecuzione dei crimini radicalmente diverse, possono indicare l’esistenza di autonome risoluzioni criminose.
La distanza temporale tra due reati è di per sé sufficiente per negare la continuazione?
No, da sola non è necessariamente decisiva, ma un lungo intervallo di tempo (nel caso di specie, quasi un anno) indebolisce fortemente la presunzione di un unico piano criminale preordinato, specialmente se unito ad altri elementi come le diverse modalità esecutive.
In che modo le diverse modalità di esecuzione dei reati influenzano la decisione sul reato continuato?
Le modalità esecutive sono un elemento cruciale. Se i reati sono commessi con tecniche e logiche operative profondamente diverse (ad esempio, uno in modo palese e semplice, l’altro in modo occulto e complesso), è plausibile concludere che non facciano parte di un medesimo progetto criminoso, ma che siano espressione di decisioni criminali separate e autonome.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12119 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12119 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTAGNANA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/12/2023 del TRIBUNALE di ROVIGO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso, la memoria difensiva contenente motivi nuovi e la ordinanza impugnata.
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con rilievo decisivo, l’assenza circostanze da cui desumere che NOME COGNOME, sin dalla consumazione del primo reato (ricettazione di un assegno bancario avvenuta il 18 febbraio 2014) avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quello successivo (riciclaggio del 26 gennaio 2015), tenuto della distanza temporale di quasi un anno tra i due episodi, delle differenti modalità esecutive dei delitti atteso che per il primo egli aveva agito da solo presentandosi in banca per incassare l’assegno, mentre per il secondo aveva agito in modo occulto facendo apparire come responsabili i due amministratori di diritto della società RAGIONE_SOCIALE (di cui egli era amministratore di fatto) per poi versare gran parte del denaro oggetto del reato sul conto corrente del figlio. In tale contesto i reati commessi sembrano, plausibilmente, riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Rilevato, altresì, che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche e lamentare la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sollecitano in realtà una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze di condanna da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso (con conseguente inammissibilità dei motivi nuovi ai sensi dell’art.585, comma 4, cod. proc. pen.), con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.