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Reato continuato: no se le associazioni sono diverse

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che negava l’applicazione del reato continuato a un soggetto condannato per la partecipazione a due distinte associazioni criminali. Secondo la Corte, non può esserci un unico disegno criminoso se la seconda associazione è sorta dopo lo smantellamento della prima, interrompendo così l’unitarietà del piano originario.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Nega il Beneficio tra Due Diverse Associazioni Criminali

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un’importante questione relativa all’applicazione del reato continuato nel contesto dei crimini associativi. La decisione chiarisce che non è possibile unificare le pene per la partecipazione a due distinte associazioni criminali se la seconda è sorta dopo lo smantellamento della prima, poiché viene a mancare l’unicità del disegno criminoso. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso

Il ricorrente aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina del reato continuato tra due diverse sentenze di condanna.
– La prima sentenza, del 2016, lo condannava a sette anni di reclusione per reati di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e altri delitti commessi fino al 2013.
– La seconda sentenza, del 2020 e divenuta irrevocabile nel 2022, lo condannava a dieci anni e otto mesi di reclusione per la partecipazione a un’altra associazione mafiosa e per traffico di stupefacenti, con fatti commessi a partire dal 2016.

Secondo la difesa, tutti i reati facevano parte di un medesimo e originario disegno criminoso, in quanto l’imputato non avrebbe mai cessato di appartenere alla stessa compagine associativa.

La Decisione della Corte: Ricorso Infondato

La Corte di Appello di Catanzaro, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva già respinto la richiesta. La Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, rigettando il ricorso e ritenendolo infondato. La Suprema Corte ha ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza per il riconoscimento del reato continuato, sottolineando come nel caso specifico mancassero i presupposti fondamentali.

Le Condizioni per il Reato Continuato

Per applicare la disciplina di favore prevista dall’art. 81 cod. pen., non è sufficiente una generica tendenza a delinquere. È necessaria la prova di un’unica e originaria programmazione di una pluralità di reati. La giurisprudenza ha individuato alcuni “indici rivelatori” per accertare l’esistenza di questo disegno unitario, tra cui:

– La ridotta distanza temporale tra i fatti.
– Le modalità simili delle condotte.
– L’omogeneità dei beni giuridici lesi.
– Le condizioni di tempo e luogo delle violazioni.

Applicazione del Reato Continuato ai Crimini Associativi

La sentenza chiarisce un punto cruciale quando si tratta di reati associativi. Il vincolo della continuazione tra il reato di partecipazione a un’associazione e i cosiddetti “reati-fine” (cioè i delitti che l’associazione si prefigge di commettere) è configurabile solo se questi ultimi erano stati programmati, almeno nelle loro linee generali, al momento in cui il partecipe ha deciso di entrare nel sodalizio.

Le Motivazioni della Sentenza

Il nucleo centrale della motivazione risiede nella distinzione tra le due associazioni criminali per cui il ricorrente è stato condannato. La Corte ha dato atto che, sulla base di quanto emerso dalle sentenze di merito, le due condanne si riferivano a due associazioni diverse.

La seconda associazione, infatti, era sorta nel 2016, solo dopo che la prima era stata “scompaginata” a seguito di operazioni di polizia, arresti, condanne e collaborazioni con la giustizia. Questa cesura fattuale e temporale ha interrotto qualsiasi potenziale continuità del disegno criminoso. Anche se alcuni membri coincidevano, si trattava di un nuovo sodalizio, con un nuovo programma criminale, non riconducibile a quello originario.

La Corte ha specificato che l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi con una “scelta di vita” o con una generica tendenza a commettere reati. È richiesta una deliberazione iniziale che abbracci una pluralità di condotte specifiche, seppure pianificate a grandi linee. La nascita di una nuova associazione, dopo la fine della precedente, rappresenta un fatto nuovo che impedisce di considerare i reati successivi come attuazione del piano originario.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per il riconoscimento del reato continuato è indispensabile un’unica rappresentazione e programmazione dei diversi reati, preesistente alla commissione del primo. Nel contesto dei crimini associativi, la partecipazione a una nuova organizzazione, sorta dopo la disgregazione di quella precedente, costituisce una nuova e autonoma deliberazione criminale. Pertanto, non è possibile applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole del reato continuato, anche in presenza di omogeneità delle condotte e dei contesti criminali. La sussistenza del medesimo e originario disegno criminoso è stata correttamente esclusa.

Quando si può applicare il reato continuato?
Si applica quando più reati sono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario ideato dal soggetto prima di commettere la prima violazione.

È configurabile il reato continuato tra la partecipazione a un’associazione mafiosa e i reati-fine?
Sì, è possibile a condizione che i reati-fine siano stati programmati, almeno nelle loro linee generali, al momento in cui il soggetto si è determinato a fare ingresso nel sodalizio criminale.

Perché in questo caso è stato negato il reato continuato tra le due condanne per associazione mafiosa?
È stato negato perché le condanne si riferivano a due associazioni criminali distinte. La seconda associazione è sorta solo dopo che la prima era stata smantellata dalle forze dell’ordine, interrompendo così l’unicità e la continuità del disegno criminoso originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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