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Reato continuato: no a stile di vita criminale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30390/2024, ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva di riconoscere il vincolo del reato continuato tra due sentenze definitive, una per ricettazione di assegni e tentata truffa, l’altra per ricettazione di quadri contraffatti. La Corte ha chiarito che per la configurazione del reato continuato non è sufficiente una generica propensione a delinquere o uno stile di vita criminale, ma è necessaria la prova di un’unica e originaria programmazione dei diversi illeciti, anche solo nelle loro linee essenziali.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Differenza tra Piano Unitario e Stile di Vita Criminale

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 30390 del 2024 offre un’importante lezione sulla distinzione tra reato continuato e abitualità a delinquere. La Suprema Corte ha stabilito che per ottenere il trattamento sanzionatorio più mite previsto per la continuazione, non basta dimostrare una generica tendenza a commettere illeciti, ma è indispensabile provare l’esistenza di un’unica programmazione iniziale che leghi tutti i crimini commessi.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già condannato con due sentenze definitive, si rivolgeva al giudice dell’esecuzione chiedendo il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati.

Le due condanne riguardavano:
1. Una sentenza per ricettazione di 51 moduli di assegno circolare rubati, falso in scrittura privata e tentata truffa aggravata, commessi tra novembre e dicembre 2012, nel tentativo di incassarli presso una banca estera.
2. Una seconda sentenza per la ricettazione di tre quadri contraffatti, corredati da certificati falsi, commessa nell’agosto 2012.

Il ricorrente sosteneva che i reati, pur diversi nella loro materialità (assegni vs quadri), fossero stati commessi nell’ambito di un unico disegno criminoso. A supporto della sua tesi, evidenziava la vicinanza temporale (pochi mesi), lo stesso contesto territoriale, la presenza di un complice comune in entrambi i procedimenti e la medesima indole dei delitti (contro il patrimonio).

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva rigettato l’istanza, ritenendo che non sussistesse un identico disegno criminoso, ma piuttosto una “generale propensione alla perpetrazione di un’indeterminata serie di reati”. Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione sul Reato Continuato della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno ribadito i principi consolidati in materia di reato continuato, sottolineando che l’unicità del disegno criminoso presuppone un’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni di legge, già presenti nella mente del reo nella loro specificità.

La Cassazione ha chiarito che non si può confondere un programma criminoso deliberato con una generica propensione all’illecito o con una “scelta di vita delinquenziale”. La prova di un tale programma deve essere rigorosa e basata su indici esteriori significativi, non su semplici congetture.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che, per riconoscere il vincolo della continuazione, è necessario che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Elementi come la vicinanza nel tempo, l’omogeneità dei reati o la presenza dello stesso complice, sebbene indicativi, non sono di per sé sufficienti se i reati appaiono frutto di determinazioni estemporanee, nate sfruttando contingenze favorevoli.

Nel caso specifico, la diversità ontologica dei beni (assegni circolari e quadri falsi) e la mancanza di prove concrete di un piano unitario hanno portato i giudici a concludere che i crimini fossero espressione di una scelta di vita dedicata al crimine per sostenere un elevato tenore di vita, piuttosto che l’attuazione di un singolo progetto. Questa condizione, definita come “abitualità e professionalità nel reato”, è l’esatto opposto del reato continuato.

Inoltre, la Corte ha specificato che l’onere di allegare elementi sintomatici della riconducibilità dei reati a una programmazione unitaria spetta al condannato. In assenza di tale prova, il beneficio premiale non può essere concesso, per evitare che la mera reiterazione di reati si traduca in un automatico vantaggio sanzionatorio.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: il reato continuato è un istituto pensato per sanzionare in modo più mite chi delinque sulla base di un singolo impulso volitivo che si manifesta in più azioni, distinguendolo da chi ha fatto del crimine la propria professione. La decisione sottolinea l’importanza di una valutazione rigorosa da parte del giudice dell’esecuzione, che non può basarsi su mere presunzioni ma deve fondare il proprio convincimento su una dimostrazione logica e concreta dell’esistenza di un’unica, originaria deliberazione criminosa. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la richiesta di applicazione dell’art. 671 c.p.p. deve essere supportata da un’articolata allegazione di fatti e circostanze specifiche, capaci di superare la presunzione di estemporaneità delle condotte illecite.

Quando diversi reati possono essere considerati un ‘reato continuato’?
Un reato continuato si configura quando più reati sono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero quando esiste un’unica e anticipata ideazione di commettere una serie di violazioni, programmate almeno nelle loro linee essenziali prima della commissione del primo reato.

Una generica propensione a delinquere è sufficiente per il riconoscimento del reato continuato?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che una generica propensione all’illecito, un’abitualità a delinquere o una scelta di vita criminale sono l’esatto opposto del disegno criminoso unitario e quindi non sono sufficienti per il riconoscimento del reato continuato.

Quali elementi non sono sufficienti, da soli, a provare un disegno criminoso unitario?
La sola contiguità temporale tra i reati, l’identica natura degli illeciti, l’analogia del modus operandi o la costante compartecipazione dei medesimi soggetti non sono, di per sé, sufficienti a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso se i reati risultano essere frutto di determinazioni estemporanee e non di una programmazione unitaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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