Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35500 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35500 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAN PIETRO VERNOTICO il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 04/03/2024 della CORTE APPELLO di LECCE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 4 marzo 2024, la Corte di appello di Lecce, in qualità di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza avanzata da NOME COGNOME volta ad ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra il reato giudicato con sentenza della Corte di appello di Lecce in data 29/01/2020, irrevocabile 1’01/07/2021, che lo aveva condannato alla pena di anni sei, mesi due e giorni venti per il reato di associazione mafiosa, commesso fino al maggio 2014 in provincia di Brindisi, e i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, commesso in Torchiarolo il 29/06/2010, e quelli di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309, commessi tra il 31/07/2009 e il 19/09/2009 in Lecce e altri luoghi, già avvinti dalla continuazione con provvedimenti della Corte di appello in data 22/12/2017 e in data 23/02/2018.
I giudici leccesi hanno ritenuto che non sussistesse omogeneità tra i diversi reati giudicati con le suddette sentenze, perché i fatti associativi accertati a suo carico dovevano considerarsi ontologicamente differenti tra loro; i concorrenti del COGNOME nell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 erano diversi dai partecipi all’associazione mafiosa “RAGIONE_SOCIALE“, nella quale il COGNOME aveva militato; l’associazione mafiosa aveva operato in provincia di Brindisi fino al 2014, mentre l’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti nei territori della provincia di Lecce fino al 2009. Inoltre veniva rilevato che dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di condanna per associazione mafiosa a carico di COGNOME emergeva che egli aveva iniziato la sua militanza nel 2013 dopo ben tre anni dall’accertata appartenenza all’organizzazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’illogicità della motivazione e l’erronea valutazione della prova. La decisione impugnata sarebbe illogica perché non avrebbe tenuto conto del costante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, «quando vi sia stata condanna per appartenenza a sodalizio criminale mafioso e quando vi sia nella programmazione dell’attività criminale riferimento e programmazione ad una pluralità di reati», deve «trovare accoglimento la richiesta di applicazione del principio del reato continuato in esecuzione».
La Corte di appello di Lecce avrebbe inoltre omesso di valutare una delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, avrebbe travisato gli elementi di prova e non avrebbe tenuto conto del fatto che l’associazione mafiosa esercitava anche attività traffico di stupefacenti oltre che di contrabbando di tabacchi.
Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Secondo costante orientamento, «il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spaziotemporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno
degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 27007401).
In questa indagine, è stato affermato che il giudice dell’esecuzione deve desumere la prova del medesimo disegno criminoso «da elementi indizianti quali l’RAGIONE_SOCIALErietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del “modus operandi” e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti, essendo sufficiente l’esistenza anche di alcuni soltanto di tali indici, purché significativi»; ma in ogni caso non può essere escluso il riconoscimento della continuazione in ragione della mancanza di uno di tali indici, senza che si proceda alla valutazione tutti gli altri (sez. 2, n. 10539 del 10/02/2023, Rv. 284652- 01; analogamente sez. 1, n. 17878 del 25/01/2017, Rv. 270196-01).
3. Il provvedimento impugnato ha evidenziato in punto di fatto indicatori che ha ritenuto plausibilmente incompatibili con una previa programmazione della condotta di reato di associazione mafiosa, commessa fino al maggio 2014 in provincia di Brindisi, e i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, commesso in Torchiarolo il 29/06/2010, e quelli di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309, commessi tra il 31/07/2009 e il 19/09/2009 in Lecce e altri luoghi: in particolare le differenze ontologiche tra le due associazioni (l’una caratterizzata dal metodo mafioso e dall’adesione ad un sodalizio tradizionale, la “RAGIONE_SOCIALE“, con attività illecite e finalità ben più ampie, articolate e complesse di quelle di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti), la composizione per nulla sovrapponibile delle due associazioni, al vertice delle quali vi erano soggetti diversi (dall’elenco dei componenti e dei dirigenti, contenuta nella motivazione è agevole evidenziare tale dato non contestato dal ricorrente), la diversità di sede e di territorio in cui operavano le due associazioni (l’una in Brindisi e l’altra in territorio di Lecce), il dato temporale dell’adesione del ricorrente alla “RAGIONE_SOCIALE” nel 2013, tre anni dopo l’accertata appartenenza all’associazione finalizzata al traffico di stupefacente, senza che vi fosse alcun elemento dimostrativo che l’affiliazione al più pericoloso sodalizio facesse parte dell’ideazione della condotta che lo aveva portato ad inserirsi nell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
L’affermazione della difesa, secondo la quale basterebbe ai fini del riconoscimento della continuazione la finalità dell’associazione mafiosa di controllare anche il mercato degli stupefacenti, assume i connotati della petizione di principio, assertiva e smentita dalla giurisprudenza di legittimità.
Secondo la quale, invece, «in tema di continuazione, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il
vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una speci indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, d programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natur permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e del condotte criminose. (Fattispecie relativa all’esclusione del vinco della continuazione tra il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e q di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata alla consumazione sia di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti che di reati diver cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che ave negato il riconoscimento del vincolo tra i due reati, rilevando che, nonostante contiguità geografica e cronologica delle condotte e la loro tendenzial omogeneità, le modalità concrete di consumazione dei vari delitti erano sintomatiche di scelte di vita ispirate alla sistematica consumazione di illecit non all’attuazione di un progetto criminoso RAGIONE_SOCIALErio)» (Sez. 4, n. 3337 de 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 268786-01)
Si versa pertanto in un’ipotesi in cui la giurisprudenza di legittimità escl che possa ravvisarsi un vizio di motivazione, poiché «il vizio di “contraddittorie processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione de giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziar l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotogra neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, attes persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’element prova» (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370-01).
Anche il riferimento, contenuto nel ricorso, alla dichiarazione di u collabora gion di giustizia non adeguatamente valutata dal giudice di merito, risulta del tutto generica, mancando persino l’indicazione del collaboratore le c dichiarazioni (nemmeno allegate) avrebbero dovuto essere meglio esaminate.
4. Il ricorso deve essere quindi respinto con ogni conseguente statuizione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così COGNOME, il 5 luglio 2024