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Reato continuato: no a nesso tra mafia e droga

La Corte di Cassazione, con la sentenza 35500/2024, ha negato l’applicazione del reato continuato tra una condanna per associazione mafiosa e precedenti reati di narcotraffico. La Corte ha escluso l’esistenza di un unico disegno criminoso a causa delle differenze tra i sodalizi, i territori di operatività e il notevole lasso temporale intercorso tra i fatti, ritenendo insufficiente la generica finalità di controllo del mercato degli stupefacenti da parte dell’organizzazione mafiosa.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: no a nesso tra mafia e droga

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35500 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui criteri per l’applicazione del reato continuato, un istituto fondamentale del nostro ordinamento penale. La decisione chiarisce che non è possibile collegare automaticamente reati commessi nell’ambito di un’associazione mafiosa con precedenti crimini di narcotraffico, anche se il clan si occupa di stupefacenti. Per riconoscere l’unicità del disegno criminoso, è necessaria una rigorosa analisi di elementi concreti che in questo caso sono stati ritenuti mancanti.

I Fatti del Caso

Il ricorrente, già condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso (per fatti commessi fino al maggio 2014) e per una serie di reati legati al traffico di stupefacenti (commessi tra il 2009 e il 2010), aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina del reato continuato. L’obiettivo era unificare le pene sotto un unico “disegno criminoso”, ottenendo così un trattamento sanzionatorio più mite.

La Corte di appello di Lecce, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta. Secondo i giudici di merito, non sussisteva l’omogeneità necessaria tra i diversi reati. In particolare, è stato evidenziato che:
1. I sodalizi criminali erano distinti e ontologicamente differenti: da un lato un’associazione mafiosa tradizionale (“Sacra Corona Unita”), dall’altro un’organizzazione finalizzata esclusivamente al narcotraffico.
2. I componenti e i vertici delle due organizzazioni erano diversi e non sovrapponibili.
3. Le aree geografiche di operatività erano distinte (provincia di Brindisi per il clan mafioso, provincia di Lecce per il gruppo di narcotrafficanti).
4. Vi era un significativo scarto temporale: l’adesione del soggetto al clan mafioso era avvenuta nel 2013, ben tre anni dopo la fine delle attività legate al traffico di droga.

La Decisione della Cassazione sul Reato Continuato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando integralmente la decisione della Corte di appello. I giudici di legittimità hanno ribadito che il riconoscimento del reato continuato, anche in fase esecutiva, richiede un’indagine approfondita e non può basarsi su mere presunzioni o generalizzazioni.

La difesa sosteneva che la finalità del clan mafioso di controllare il mercato degli stupefacenti dovesse essere sufficiente a creare un collegamento con i precedenti reati della stessa natura. La Cassazione ha liquidato questa tesi come una “petizione di principio”, ovvero un’argomentazione che dà per dimostrato ciò che invece dovrebbe provare.

Le motivazioni

La sentenza si fonda sui principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia di reato continuato. Il riconoscimento del “medesimo disegno criminoso” non può prescindere dalla valutazione di concreti indicatori fattuali. Tra questi, la Corte elenca:
* L’omogeneità delle violazioni e del bene protetto.
* La contiguità spazio-temporale tra i diversi episodi criminosi.
* Le modalità della condotta, le causali e la sistematicità delle abitudini di vita.

Il punto cruciale è la necessità di provare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Nel caso di specie, tutti gli indicatori analizzati dalla Corte di appello andavano in direzione opposta.

La diversità ontologica, strutturale, territoriale e temporale tra l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e la successiva appartenenza al clan mafioso impediva di ravvisare un progetto unitario. L’adesione al sodalizio mafioso, avvenuta anni dopo, appariva come una scelta autonoma e non come l’attuazione di un piano preordinato. La Corte ha quindi concluso che mancava qualsiasi elemento per dimostrare che l’affiliazione al più pericoloso sodalizio facesse parte dell’ideazione originaria che aveva portato ai reati di droga.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio cardine: l’applicazione del reato continuato richiede un accertamento rigoroso e basato su prove concrete. Non è sufficiente una generica affinità tra le tipologie di reato. Anche quando si tratta di criminalità organizzata, l’appartenenza a diversi sodalizi, specialmente se distanti nel tempo e nello spazio, rende difficile, se non impossibile, dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. La sentenza ribadisce che ogni caso deve essere valutato nel merito, analizzando specifici indicatori fattuali che possano comprovare, al di là di ogni ragionevole dubbio, una programmazione unitaria e antecedente di tutta la sequenza delittuosa.

Domanda 1?
Quando più reati possono essere considerati un unico “reato continuato”?
Risposta 1: Più reati possono essere considerati un “reato continuato” quando sono stati commessi in esecuzione di un “medesimo disegno criminoso”. Ciò richiede una verifica approfondita di indicatori concreti come l’omogeneità delle violazioni, la vicinanza nel tempo e nello spazio, le modalità della condotta e la prova che, al momento del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali.

Domanda 2?
Perché in questo caso specifico la Corte di Cassazione ha escluso il reato continuato tra associazione mafiosa e reati di droga?
Risposta 2: La Corte lo ha escluso perché mancavano gli indicatori di un unico disegno criminoso. Ha evidenziato le differenze “ontologiche” tra le due associazioni (una mafiosa tradizionale, l’altra dedita solo al narcotraffico), la diversa composizione dei membri, i differenti territori di operatività (Brindisi e Lecce) e un significativo distacco temporale tra i fatti (l’adesione al clan mafioso è avvenuta tre anni dopo i reati di droga).

Domanda 3?
L’appartenenza a un’associazione mafiosa che si occupa anche di droga è sufficiente per collegare in continuazione i reati di narcotraffico commessi in precedenza?
Risposta 3: No. Secondo la sentenza, non è sufficiente. L’affermazione che la finalità dell’associazione mafiosa di controllare il mercato degli stupefacenti basti a creare il vincolo della continuazione è stata ritenuta una “petizione di principio”. È necessaria un’indagine specifica e concreta che dimostri un collegamento effettivo tra i vari sodalizi e le condotte, non bastando una generica affinità di scopi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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