Reato Continuato: Quando la Cassazione non può riesaminare i fatti
L’istituto del reato continuato rappresenta un aspetto cruciale nella fase esecutiva della pena, poiché consente di unificare diverse condanne sotto un unico ‘ombrello’ sanzionatorio, con evidenti benefici per il condannato. Tuttavia, la sua applicazione dipende da un accertamento fattuale preciso: l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 11528/2024) ci offre lo spunto per chiarire i confini tra la valutazione di merito, propria dei giudici di primo e secondo grado, e il controllo di legittimità, esercitato dalla Suprema Corte.
Il caso in esame: un disegno criminoso spezzato
Il caso analizzato riguarda un individuo che, dopo aver subito diverse condanne, si era rivolto al Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Torino per chiedere l’applicazione della disciplina del reato continuato. La sua richiesta mirava a unificare tutte le pene inflitte, sostenendo che ogni reato fosse parte di un unico programma criminale.
Il giudice, tuttavia, accoglieva solo parzialmente l’istanza. Riconosceva sì l’esistenza di una continuazione, ma solo all’interno di due distinti gruppi di sentenze. In pratica, secondo il giudice, non vi era un solo grande disegno criminoso, ma due piani separati, interrotti da una significativa ‘frattura cronologica’. Di conseguenza, l’unificazione delle pene veniva negata per l’intero complesso dei reati. Insoddisfatto, il condannato decideva di presentare ricorso in Cassazione.
L’applicazione del reato continuato secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la netta distinzione tra il giudizio di fatto e quello di legittimità.
I giudici supremi hanno sottolineato che le argomentazioni del ricorrente non denunciavano una violazione di legge, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto. In sostanza, si chiedeva alla Cassazione di riconsiderare le prove (in particolare, la distanza temporale tra i reati) per giungere a una conclusione diversa da quella del Giudice dell’Esecuzione, ovvero che il disegno criminoso fosse unico e ininterrotto.
Le motivazioni
La motivazione della Corte è lapidaria: una simile richiesta è inammissibile in sede di legittimità. Il compito della Cassazione non è stabilire ‘come sono andati i fatti’, ma verificare se il giudice precedente abbia applicato correttamente le norme di legge e se la sua motivazione sia logica e non contraddittoria.
Nel caso specifico, il Giudice dell’Esecuzione aveva fornito una motivazione tutt’altro che illogica per negare l’unicità del disegno criminoso, basandosi sulle ‘fratture cronologiche’ tra i due gruppi di reati. Secondo la giurisprudenza consolidata, citata anche nell’ordinanza (Sez. U, n. 28659/2017), l’identificazione di una volizione unitaria è un accertamento di fatto che spetta al giudice di merito. Tentare di contestare tale accertamento in Cassazione, senza evidenziare vizi logici o giuridici palesi nella motivazione, si traduce in una richiesta non consentita di riesame del merito.
Le conclusioni
Questa pronuncia ribadisce un concetto fondamentale per chiunque si approcci al sistema giudiziario: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si può ridiscutere l’intera vicenda. È uno strumento di controllo sulla corretta applicazione del diritto. La valutazione sull’esistenza di un reato continuato, basata su indici come la vicinanza temporale, l’omogeneità delle condotte e il contesto, rimane una prerogativa del giudice di merito. Se la sua decisione è supportata da una motivazione coerente e non palesemente illogica, essa non potrà essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte.
Che cos’è il ‘medesimo disegno criminoso’ necessario per il reato continuato?
È un’unica programmazione iniziale di compiere una serie di reati. La sua esistenza viene desunta dal giudice di merito analizzando elementi come la distanza temporale tra i fatti, l’omogeneità delle condotte e il contesto in cui sono avvenuti.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Perché il ricorrente non contestava un errore di diritto, ma chiedeva alla Corte una nuova valutazione dei fatti per dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Questo tipo di valutazione, definita ‘di merito’, non è consentita in sede di legittimità.
È possibile contestare in Cassazione la decisione sul reato continuato?
Sì, ma solo se si dimostra che il giudice di merito ha violato una norma di legge o ha fornito una motivazione palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente, e non semplicemente se non si è d’accordo con la sua interpretazione dei fatti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11528 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11528 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/11/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione, con il quale il GIP del Tribunale di Torino, in funzione di giudi dell’esecuzione, ha parzialmente accolto l’istanza di applicazione del regime del reato continuato, riconoscendo la sussistenza di identità del medesimo disegno criminoso tra due gruppi di sentenze (n.1 , 2 e 3 da un lato e n. 4,5,6 dall’altro) ed ha respinto nel resto.
Ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01), atteso che, con motivazione affatto illogica, il G.E. ha ritenuto insussistenti gli elementi per ritene l’unitarietà della programmazione criminosa tra tutti i fatti di cui alle sette senten oggetto dell’istanza, attese le fratture cronologiche esistenti tra i due gruppi di sentenz indicati tra loro e con l’ultima oggetto dell’istanza.
Osservato che le censure attengono tutte al merito e invocano, sostanzialmente, una nuova valutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 22 febbraio 2024
Il onsigliere estensore
Il Presidente