Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36080 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36080 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, quanto al primo motivo, ed il rigetto, nel resto, del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 ottobre 2023, la Corte di appello di Cagliari, quale giudice dell’esecuzione, ha:
riconosciuto la continuazione tra i reati per cui NOME COGNOME è stato condanNOME con tre separate sentenze;
disatteso analoga istanza in relazione ad altri nove episodi;
revocato la sospensione condizionale delle pene applicate per i reati uniti dal vincolo della continuazione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato a due motivi, con entrambi i quali denuncia violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo, eccepisce, da un canto, sul piano processuale, che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto necessariamente seguire, in ragione dell’emissione ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. di due delle sentenze relative ai reati per i quali la richiesta è stata accolta, la procedura prevista dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e, dall’altro, che la revoca della sospensione condizionale è stata disposta al di fuori delle ipotesi tassativamente previste ed in spregio al principio di intangibilità del giudicato.
Con il secondo motivo, deduce che il giudice dell’esecuzione ha escluso, con motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, la riconducibilità di reati, in materia, rispettivamente, di narcotraffico o di evasione, connotati da omogenea offensività, separati da un lasso di tempo non esorbitante e commessi in un ambito territoriale circoscritto, senza, peraltro, tenere debitamente conto del pregresso riconoscimento della continuazione in relazione a quelli indicati ai punti 8) e 9) dell’ordinanza impugnata.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata con esclusivo riferimento alle doglianze articolate con il primo motivo ed il rigetto, nel resto, del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Il giudice dell’esecuzione ha riconosciuto la continuazione tra i reati accertati, rispettivamente, con le sentenze indicate ai numeri 1), 2), 3), le ultime
due emesse a seguito di richiesta concordata di applicazione di ppe ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen..
Erra, al riguardo, il ricorrente nel tacciare di irritualità la procedura seguita dalla Corte di appello, che si è correttamente attenuta al principio di diritto, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «Il disposto di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. non opera nel caso in cui l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato riguardi in parte sentenze emesse a seguito d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario» (Sez. 1, n. 16456 del 12/03/2021, COGNOME, Rv. 281194 – 01; Sez. 1, n. 47076 del 19/06/2018, COGNOME, Rv. 274331- 01; Sez. 1, n. 8508 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255303 01).
Per quanto concerne, poi, la revoca della sospensione condizionale, il giudice dell’esecuzione ha fondato la decisione – oltre che «in ragione della prognosi negativa formulabile sull’astensione dalla commissione di reati in considerazione dei precedenti penali», ovvero dell’esercizio di un potere discrezionale che, in effetti, non gli compete, in quanto riservato, in via esclusiva, alla sede di cognizione (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 42363 del 25/09/2019, Stabile, Rv. 277142 – 01; Sez. 1, n. 5451 del 22/10/1998, COGNOME, Rv. 207109 – 01) – sulla concorrente esistenza di una causa di revoca di diritto, costituita dal superamento, per effetto della rideterminazione della pena ex art. 81 cod. pen., del limite massimo di due anni di reclusione.
Il provvedimento impugNOME appare, sotto questo aspetto, pienamente ossequioso dell’ambito di intervento riservato al giudice dell’esecuzione, secondo quanto attestato dalla giurisprudenza di legittimità, ferma nel ritenere che «In tema di applicazione “in executivis” della disciplina del reato continuato, una volta ritenuta dal giudice dell’esecuzione l’unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze ed applicata agli stessi la disciplina del reato continuato, la sospensione condizionale già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocata, essendo compito del giudice valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato perché venuti meno i presupposti di legge» (Sez. 1, n. 3137 del 07/07/2021, dep. 2022, Nozzolillo, Rv. 282493 – 01).
La Corte di appello, dunque, preso atto dell’unificazione delle diverse condotte criminose e dell’entità della sanzione complessivamente inflitta per l’unico reato risultante dal riconoscimento della continuazione, ha debitamente disposto la revoca ipso iure della sospensione condizionale già
concessa, in sede di cognizione, in relazione ai reati de quibus agitur in considerazione del superamento del limite massimo entro cui la sanzione può essere condizionalmente sospesa.
3. In ordine al secondo motivo di ricorso, è opportuno premettere che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determiNOME fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, gi concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156).
Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordiNOME al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
La verifica di tale preordinazione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzioNOMErio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596).
Ne discende che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se
successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, Non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo 09/01/2013, Cardinale, Lombardo, Rv. 242098).
L’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.
Tanto premesso sul piano dei principi, ritiene il Collegio che la Corte di appello di Cagliari vi si sia, nel complesso, attenuta, pervenendo al parziale rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sulla scorta di considerazioni logiche e coerenti e, comunque, esenti da vizi rilevanti in sede di legittimità.
Il giudice dell’esecuzione ha, invero, considerato che, quantunque i due gruppi di reati de quibus agitur contengano, ciascuno, illeciti connotati da omogenea offensività, la loro riconducibilità ad un unico disegno criminoso sia preclusa:
quanto ai reati in materia di sostanze stupefacenti, dalla distribuzione in un arco temporale complessivo di dodici anni, e dallo iato temporale, mai inferiore ad un anno e dieci mesi, che li separa l’uno dall’altro, nonché dalla diversità delle sostanze commerciate e dalla partecipazione solo ad alcuni degli episodi di correi, talora neanche identificati;
quanto ai delitti di evasione, dall’intrinseca estemporaneità delle relative condotte, peraltro separate da non meno di sette mesi l’una dall’altra e poste in essere in violazione di distinti titoli detentivi.
Il giudice dell’esecuzione ha, quindi, sviluppato un tessuto argomentativo sintonico con la descritta cornice ermeneutica, che il ricorrente contesta ponendosi in un’ottica sostanzialmente confutativa – in quanto tale non idonea ad abilitare l’intervento censorio del giudice di legittimità – che si imperni elementi che, frutto di una opposta esegesi delle risultanze istruttorie valgono a connotare in chiave di illegittimità la decisione impugnata, che incentra su dati di fatto, linearmente esposti dal giudice dell’esecuzione, c garantiscono un adeguato supporto razionale in quanto idonei ad orientare l’esercizio della discrezionalità giudiziale, frutto della prevalenza degli el
ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. su quelli che la Corte di appello, senza esorbitare dall’ambito della libertà di apprezzamento che gli è normativamente attribuita, ha, invece, stimato minusvalenti.
Il ricorrente pone, in particolare, l’accento sul pregresso riconoscimento della continuazione tra due dei reati ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ovvero su una decisione che – sebbene, in sé, non più sindacabile – non vincola in alcun modo l’apprezzamento demandato al giudice dell’esecuzione il quale, spendendo argomentazioni logicamente e giuridicamente ineccepibili, si è diversamente orientato e che, comunque, è stata adottata in relazione ad illeciti separati da un lasso temporale inferiore ai tre mesi, di gran lunga più ridotto quello trascorso tra la consumazione di ciascuna delle fattispecie per le quali il giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza ex art. 671 cod. proc. pen..
COGNOME pone l’accento, per il resto, su aspetti – quali la consumazione dei reati di narcotraffico in un ristretto ambito territoriale, la similitudine de condotte illecite di volta in volta poste in essere e la necessità di tener conto, nell’apprezzamento del dato cronologico, dei periodi di restrizione della libertà personale medio tempore patiti – che il giudice dell’esecuzione ha debitamente vagliato, reputandoli, tuttavia, recessivi rispetto a quelli, sopra indicati, che hanno orientato la decisione impugnata.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/04/2024.