Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35808 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35808 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a ALTOFONTE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/04/2025 della Corte d’appello di Palermo
Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letti i motivi nuovi, depositati in data 10 settembre 2025 dalla difesa del ricorrente, con allegazioni documentali.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Palermo, con l’impugnata ordinanza, ha deciso in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione e in parziale accoglimento della richiesta di COGNOME NOME, dichiarando unificati sotto il vincolo della continuazione i reati di cui alle sentenze della Corte d’Appello di Palermo del 16 aprile 2020 e del 7 gennaio 2020, escludendo invece i reati di cui alla sentenza del Tribunale di Palermo del 5 dicembre 2018 (confermata in data 6 marzo 2020 dalla Corte d’Appello), e rideterminando il trattamento sanzionatorio ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen..
La Corte, nel deliberare, ha riportato il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione in sede di annullamento della prima decisione sul ricorso del pubblico ministero, censurata poiché aveva accolto in toto l’istanza di applicazione della continuazione senza indagare la concretezza
delle condotte poste in essere al fine di individuarne l’unitaria ideazione e, soprattutto, senza considerare che parte delle condotte estorsive giudicate con la sentenza del Tribunale di Palermo del 2018 hanno avuto luogo numerosi anni prima della data in cui è stata riconosciuta, dalla sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 16 aprile 2020, la partecipazione del COGNOME all’associazione mafiosa (ovvero dal 2000 al 2016, quando il reato associativo era stato riconosciuto come integrato a decorrere dal 7 dicembre 2012).
Il ricorso del COGNOME è affidato ad un singolo motivo, con il quale è stata dedotta omessa ed erronea valutazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., del materiale documentale che si assume dimostrativo della ricorrenza di un medesimo disegno criminoso. Dopo il richiamo della giurisprudenza di legittimità in materia di reato continuato, il ricorrente ha lamentato che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto di escludere i reati di cui alla sentenza del 2018 dal medesimo disegno criminoso solo a fronte della datazione del reato associativo per cui è intervenuta condanna dell’aprile 2020. La condotta estorsiva in esame, secondo il ricorrente, pur essendo iniziata prima dell’accertata partecipazione all’associazione, si sarebbe interrotta successivamente. Il dato motivazionale traviserebbe il contenuto di due atti giudiziari offerti in scrutinio (un decreto delle misure di prevenzione del 2016, una sentenza di assoluzione del 2012) da cui emergerebbe, in tesi difensiva, l’evidenza di una risalente condotta di adesione ed intraneità del COGNOME nel consesso mafioso e dell’esistenza di un substrato criminale associativo sul quale si sarebbe innestata la condotta estorsiva. Si osserva, inoltre, che il Giudice dell’Esecuzione avrebbe, nell’ambito dei suoi poteri, la possibilità di retrodatare la condotta ai fini di una valutazione correlata o meno a un beneficio, come nel caso di reati permanenti in relazione ai quali non sia chiara l’individuazione del dies a quo della consumazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile , per la genericità, l’improponibilità in questa sede e la manifesta infondatezza della censura articolata.
Ritiene il collegio che il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza pronunciata in esito al rinvio, si sia puntualmente uniformato al dictum della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione ed abbia colmato le lacune motivazionali da essa registrate con un tessuto espositivo razionale, appagante e non illogico, sottratto alle censure di stretta pertinenza del sindacato di legittimità, dal momento che, come è doveroso rimarcare, l’accertamento del requisito dell’unicità del disegno criminoso rappresenta giudizio di fatto, di competenza del
giudice di merito o del giudice dell’esecuzione (sez. 1, n. 12936 del 03/12/2018, COGNOME, Rv. 275222; sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254006).
1.1. Mette conto rammentare che, sul tema dell’applicazione della disciplina del reato continuato nella fase esecutiva (art. 671 cod. proc. pen.), le Sezioni Unite di questa Corte sono intervenute ribadendo un principio già consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il riconoscimento della continuazione in executivis (non diversamente che nel processo di cognizione), deve necessariamente passare attraverso la rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori -quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno dei canoni di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di situazioni occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (sez. U n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
1.2. In definitiva, se è pur vero che non è necessario che i singoli reati che compongono la serie siano stati dettagliatamente progettati e previsti, è però indispensabile -alla luce delle direttrici della giurisprudenza di legittimità – la sussistenza di una programmazione iniziale -dunque, sin dalla preordinazione della perpetrazione di un primo reato – di ulteriori condotte volte al perseguimento di uno scopo illecito, comune e specifico (concezione teleologica), che risulti differente da una spinta criminogena immanente, inconciliabile con l’istituto di favore di cui si è invocata l’attuazione (cfr. sez. 1, n. 49902 del 14/10/2015, Imperatrice, non massimata; Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004, Tuzzeo, Rv. 229052).
1.3. Il riconoscimento del vincolo della continuazione da parte del giudice dell’esecuzione deve poi fondarsi sulla valutazione dei soli elementi accertati nelle sentenze irrevocabili, sicché non può riconoscersi alcun rilievo ad elementi di giudizio che non sono stati considerati nelle sentenze di merito (sez. 1, n. 6777 del 08/01/2021, Portoghese, Rv.280529; in termini, sez. 1, n. 19390 del 15/05/2025, Presta, Rv. 288110), né, di conseguenza, alle argomentazioni di provvedimenti diversi da quelli condotti all’attenzione del giudice dell’esecuzione dall’istanza del condannato ai fini dell’applicazione dell’istituto del reato continuato che, nel caso di specie, erano quelli relativi all’oggetto della decisione impugnata.
Tanto premesso e precisato, occorre allora osservare, per un verso, che non è possibile tener conto, ai fini del presente scrutinio, di provvedimenti giurisdizionali diversi da quelli che sono oggetto della richiesta di unificazione nel medesimo disegno criminoso, come il decreto applicativo di misure di prevenzione o la sentenza (finanche) di assoluzione dal reato di associazione di tipo mafioso, sottoposti alla valutazione del decidente del giudizio rescissorio. Non rileva che il provvedimento impugnato li abbia presi in esame, perché oggetto di doglianza
era una questione di diritto e dunque, se questa è stata correttamente risolta dal giudice del merito, rimane irrilevante se la soluzione sia stata adottata immotivatamente ovvero con motivazione eccentrica o illogica e, conseguentemente, la stessa o la sua mancanza non può costituire motivo di doglianza con il ricorso per cassazione (Sez. Un., n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, COGNOME e altri, in motivazione; Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
Per altro verso, la ragione di censura si rivela comunque generica e non consentita, perché non si confronta neppure con le proposizioni dell’ordinanza impugnata , che hanno apprezzato gli elementi condotti alla sua attenzione come approssimativi ed inconferenti ed è orientata a richiedere a questa Corte una semplice rivisitazione alternativa delle vicende fattuali poste a fondamento della reductio ad unum , propria della continuazione, dei reati giudicati con le pronunce irrevocabili. Nel solco tracciato dalla pronuncia rescindente, la Corte d’appello ha congruamente osservato come non sia possibile ravvisare, in assenza di emergenze conducenti e convergenti, la medesimezza del disegno criminoso tra i fatti estorsivi giudicati con sentenza del Tribunale di Palermo del 5 dicembre 2018, perché consumati a partire dall’anno 2000 e il reato associativo di tipo mafioso, commesso dal prevenuto a decorrere dal dicembre 2012, al lume dell’amplissimo iato temporale trascorso tra i primi e la risoluzione a d unirsi al sodalizio criminale; ha comunque valuta to, a tali fini, l’irrilevanza dei fatti giudicati con sentenza di assoluzione della Corte d’appello di Palermo del 6 dicembre 2012 e di quelli ricavabili dal provvedimento applicativo delle misure di prevenzione per la genericità delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, rimaste prive di riscontri estrinseci.
Le obiezioni difensive, in gran parte concentrate nell’elencazione, talvolta persino ripetuta, di un coacervo di massime giurisprudenziali, si sono sostanzialmente ridotte a petizioni di principio che richiamano, vagamente e senza alcun approfondimento di dettaglio, le dichiarazioni di taluni collaboratori di giustizia sulla perduranza della ‘condotta associativa del COGNOME‘, un presunto ed indeterminato ‘dato intercettivo’ dei mesi di novembre -dicembre 2008 ed una non meglio precisata ‘informativa dei Ros del 4 aprile 2016’, che accosterebbe il COGNOME a tale ‘NOME NOME in un contesto associativo pregresso rispetto alla contestazione associativa’. Si tratta, di ogni evidenza, di elementi privi di pregnanza inferenziale e di efficacia confutativa, che trascinano l’atto d’impugnazione nell’alveo della declaratoria d’inammissibilità.
Deve darsi atto che i motivi nuovi sono inammissibili e non possono essere presi in considerazione, in quanto depositati nel mancato rispetto dei 15 giorni liberi antecedenti all’udienza in camera di consiglio ex art. 611 cod. proc. pen. (sez. 4, n. 10022 del 06/02/2025, Altese, Rv.287766).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, conseguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non
potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di euro 3000 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 25/09/2025
Il consigliere estensore Il presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME