Reato Continuato e Ricorso in Cassazione: La Suprema Corte fissa i paletti
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui limiti di ammissibilità del ricorso in sede di legittimità, con particolare riferimento alle censure sulla responsabilità penale e sul trattamento sanzionatorio per il reato continuato. La decisione ribadisce principi fondamentali che distinguono il giudizio di legittimità da quello di merito, offrendo chiarimenti cruciali per chi si appresta a impugnare una sentenza di condanna.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato. L’appellante basava il suo ricorso su due motivi principali. Con il primo, contestava l’affermazione della sua responsabilità penale, sostenendo un vizio di motivazione e una violazione di legge. Con il secondo, lamentava l’errata determinazione della pena, in particolare per quanto riguarda gli aumenti applicati per la continuazione tra i vari reati contestati.
La Decisione della Corte di Cassazione e il reato continuato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Ha liquidato il primo motivo come una semplice riproposizione di doglianze di fatto, già esaminate e correttamente respinte dal giudice d’appello. Ha poi giudicato il secondo motivo, relativo al reato continuato, come manifestamente infondato, sottolineando come la graduazione della pena sia espressione della discrezionalità del giudice di merito, se esercitata nel rispetto dei principi di legge.
Le Motivazioni
La Corte ha articolato le sue motivazioni su due pilastri fondamentali, che rappresentano i punti chiave della decisione.
L’inammissibilità delle censure sul fatto
Il primo punto di rigetto si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Questo significa che il suo compito non è quello di rivalutare le prove o di fornire una nuova interpretazione dei fatti, ma unicamente di verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Le critiche dell’imputato, secondo la Corte, erano semplici ‘doglianze in punto di fatto’, un tentativo di ottenere una terza valutazione del merito della vicenda, non consentito in questa sede.
La discrezionalità del giudice sul trattamento sanzionatorio e il calcolo per il reato continuato
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha ribadito che la determinazione della pena, inclusi gli aumenti per le aggravanti o per la continuazione, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere deve essere esercitato seguendo i criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo). Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione congrua e logica per le sue scelte sanzionatorie.
Inoltre, i giudici di legittimità hanno confermato che la Corte d’Appello aveva seguito correttamente la regola stabilita dalle Sezioni Unite (sentenza ‘Pizzone’ n. 47127/2021): nel caso di reato continuato, il giudice deve individuare il reato più grave, fissare la pena base, e poi calcolare e motivare distintamente l’aumento per ciascun reato ‘satellite’. Questo onere motivazionale era stato pienamente assolto nel caso di specie, rendendo la doglianza manifestamente infondata.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida due principi fondamentali. Primo, i ricorsi per cassazione devono concentrarsi su questioni di pura legittimità (violazioni di legge o vizi logici manifesti della motivazione), evitando di trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. Secondo, la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena è ampia e sindacabile in Cassazione solo se la motivazione è assente, palesemente illogica o contraddittoria. Per il reato continuato, è essenziale che la motivazione illustri in modo distinto il percorso che ha portato all’aumento di pena per ogni singolo reato satellite, un onere che, se assolto, rende la decisione difficilmente censurabile.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti e delle prove?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non può riesaminare i fatti o le prove del processo. Il ricorso è inammissibile se si limita a presentare ‘doglianze in punto di fatto’, ovvero critiche alla ricostruzione fattuale operata dai giudici di merito.
Come deve essere calcolata e motivata la pena in caso di reato continuato?
Il giudice deve individuare la violazione più grave e stabilire la relativa pena base. Successivamente, deve applicare un aumento per ciascuno degli altri reati (i cosiddetti ‘reati satellite’), motivando in modo distinto e specifico le ragioni di ogni singolo aumento.
Quando la decisione del giudice sulla quantità della pena può essere contestata in Cassazione?
La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. Può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione è mancante, palesemente illogica o contraddittoria, non semplicemente perché si ritiene la pena troppo severa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18992 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18992 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MOTTA DI LIVENZA DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/04/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, ritenuto che il primo motivo, con cui si contesta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo c), non è consentito dalla legge in sede di legittimità, poiché costituito da mere doglianze in punto di fatto, riproduttivi di profili di censura gi adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito – si vedano le pagg. 22-23- e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata;
rilevato che il secondo motivo, con cui si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed in particolare, agli aumenti per la continuazione non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 2 della sent. impugnata);
che, invero, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione della regola di giudizio secondo la quale in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269) in quanto gli indici di valore indicati dalla Corte d’appello hanno rilievo giustificativ su tutto il trattamento sanzionatorio tenuto conto, peraltro, che gli aumenti per la continuazione sono stati contenuti;
viste le conclusioni di parte civile e nota spese depositate 1’11/03/2024;
considerato che nulla deve essere liquidato alla parte civile a titolo di spese del presente giudizio di legittimità, state l’assenza di un valido contributo argomentativo ai fini della decisione del Collegio (Sez. 5, n. 1144 del 07/11/2023, dep. 2024, D., Rv. 285598-01);
osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla spese sulla parte civile.
Così deciso, il 19 marzo 2024
Il Consigliere stensore
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