Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38866 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38866 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/05/2024 del GIP TRIBUNALE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATrO
Con ordinanza emessa in data 07 maggio 2024 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da NOME COGNOME per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con quattro diverse sentenze, relative a delitti di detenzione di droga e di àrmi e di cui all’art. 416-bis cod. pen. commessi tra il 2009 e il 2022.
Il Tribunale ha ritenuto non sussistente un unico disegno criminoso, formulato sin dalla commissione del primo reato, vista la rilevante distanza temporale tra i vari delitti. Inoltre ha sottolineato che essi non possono essere ritenuti unificati quali reati-fine del delitto di partecipazione ad un’associazione criminosa, perché non vi è la prova che le ulteriori condotte siano state programmate sin dall’inizio di tale partecipazione, dal momento che la prima di esse è stata commessa nel 2009, e quindi oltre un anno prima della commissione del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., e che pur essendo il traffico stupefacenti genericamente compreso tra i reati-fine dell’associazione, l’istante è stato condannato solo per il reato-fine di occupazione abusiva di un immobile.
L’istante non ha addotto alcun elemento per dimostrare che i reati di detenzione di droga e di armi sono stati commessi in attuazione del programma criminoso del clan, essendo sotto tale profilo irrilevante che i fatti risalenti a 2022 siano stati da lui commessi in concorso con un altro appartenente ad esso, dal momento che per quelli commessi nel 2018 il complice è stato un soggetto estraneo a detto clan.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge.
Il Tribunale non ha adeguatamente valutato che il traffico di stupefacenti rientrava nel programma dell’associazione criminosa ed è stato progettato dal ricorrente sin dall’inizio della sua partecipazione ad essa, come risulta dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e dalle intercettazioni ambientali, da cui risulta l’impegno del ricorrente in tale attività , peraltro dimostrata anche dai suoi rapporti con il sodale NOME COGNOME. Il fatto che, nella condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., gli siano stati attribuiti reati-fine d dal traffico di stupefacenti è irrilevante, dal momento che questa attività faceva parte del programma criminoso del clan, programma a cui egli ha aderito integralmente. I reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, quindi, costituiscono l’attuazione del predetto programma criminoso e non eventi accidentali, la cui
programmazione sia sopravvenuta per circostanze eccezionali, o addirittura fatti occasionali; il ricorrente aveva aderito a tale programma, accettando quindi, sin dall’inizio della sua affiliazione al clan, la possibilità di commettere tali reati.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITrO
1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
Questa Corte ha costantemente stabilito che «il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
In merito alla continuazione tra un reato associativo ed altre condotte prospettate come reati-fine, ha inoltre stabilito che «è ipotizzabile la continuazione tra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere e i reati ,fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si determina a fare ingresso nel sodalizio. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, ragionando diversamente, si finirebbe per riconoscere una sorta di automatismo, con il conseguente beneficio sanzionatorio, per cui tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.)» (Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, Rv. 271984; Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Rv. 279430).
L’ordinanza impugnata si è conformata a questi principi, valutando insussistenti gli indici sintomatici elaborati dalla giurisprudenza, in particolare per la forte distanza temporale tra i vari reati, anche tra quelli di cui all’art. 73 d.P. n. 309/1990 e di detenzione di armi per i quali vi è omogeneità, e non prospettabile l’unicità di disegno criminoso tra detti reati e quello di cui all’ar 416-bís cod. pen., per la mancanza di prova che tali condotte siano state tenute
in attuazione del programma criminoso dell’associazione criminosa, e programmate sin dall’inizio della partecipazione ad essa del condannato.
La motivazione, sotto entrambi i profili, è logica, non contraddittoria e fondata su elementi oggettivi. I delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e di detenzione di armi sono stati commessi nel 2009, nel 2018 e nel 2022, ed appare effettivamente non credibile che il ricorrente abbia sin dal primo di essi programmato la commissione dei delitti successivi, avvenuta a molti anni di distanza; anche le loro modalità, poi, risultano non del tutto analoghe, stante la diversità del complice con cui il ricorrente ha operato nel 2018 e nel 2022.
Tali delitti, poi, sono stati ritenuti non uniti in continuazione con il delitto cui all’art. 416-bis cod. pen., in primo luogo, per l’epoca della loro consumazione, non risultando credibile che essi siano stati programmati nel momento in cui il partecipe si è determinato ad aderire all’associazione criminosa: ciò è evidente per il delitto commesso nel 2009, in quanto antecedente di oltre un anno rispetto all’ingresso nel sodalizio, ed è sufficientemente provato anche per gli altri due delitti, in quanto successivi di otto e dodici anni rispetto a tale momento. La programmazione iniziale dei reati, che giustifica il riconoscimento della continuazione, non deve essere necessariamente precisa, ma deve comprendere almeno le linee essenziali delle condotte successive, per cui non è sufficiente l’affermazione della disponibilità a compiere qualsiasi tipo di reato venga richiesto dall’associazione criminosa, dovendo il partecipe programmare in modo specifico, sin dall’inizio della sua adesione ad essa, quanto meno la tipologia e le modalità di ogni azione. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità impone che l’a verifica della sussistenza di una iniziale programmazione di tutti i reati commessi successivamente sia «puntuale», e quindi che si fondi su elementi concreti e dimostrati, e non su mere congetture. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’ordinanza, inoltre, ha escluso la continuazione tra i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e il delitto associativo anche perché non vi è la prova che il ricorrente li abbia commessi quali reati-fine dell’associazione. Tale prova è palesemente insussistente per il delitto commesso nel 2009, in quanto antecedente, come detto, all’adesione al clan criminoso, e per quello commesso nel 2018, in quanto compiuto con un complice non partecipe ad esso. Per il delitto commesso nel 2022, invece, l’ordinanza ha sottolineato che i reati-fine attribuiti a quell’associazione consistono quasi esclusivamente in delitti di altra natura, e che il ricorrente è stato condannato per un unico reato-fine, del tutto eterogeneo, cioè l’occupazione abusiva di un immobile. Anche sotto questo profilo la motivazione è logica e non contraddittoria, avendo evidenziato che il traffico di stupefacenti non risulta avere costituito la più ampia attivit
dell’associazione; peraltro, il fatto che il traffico di sostanze stupefacenti facesse parte del generico programma criminoso di questa non è in contraddizione con l’affermazione della attuazione di un’attività criminosa prevalentemente rivolta a delitti di altro genere, derivando tale affermazione da un elemento oggettivo, cioè gli accertamenti compiuti nel procedimento penale che ha interessato anche il ricorrente, e non è, in ogni caso, in contraddizione con l’esclusione della continuazione per i delitti compiuti da quest’ultimo, essendo possibile che i vari partecipi di un clan vengano destinati ad occuparsi solo di alcune delle attività criminose a cui questo è dedito, e venga richiesta loro esclusivamente la consumazione di reati relativi ad esse.
L’ordinanza impugnata ha sottolineato, inoltre, che il condannato non ha allegato alcun elemento indicatore della sussistenza di un unico disegno criminoso che abbia determinato la consumazione di tutti i reati in questione, tale da distinguere la loro reiterazione da una mera scelta di vita delinquenziale. Anche in tale parte della motivazione l’ordinanza si è conformata, quindi, alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «in tema di esecuzione, grava sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso unitario quanto di un’abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti» (Sez. 1, n. 35806 del 20/04/2016, Rv. 267580).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27 settembre 2024
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