Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3327 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3327 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVERSA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/03/2023 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/gene le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 31 marzo 2023 del G.i.p. del Tribunale di Napoli che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta d applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato dì produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso il 12 gennaio 2019 in Napoli, giudicato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 6 febbraio 2020, definitiva il 25 maggio 2020;
al reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanz stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 T.U. stup., commesso il 25 novembre 2021 in Napoli, giudicato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 13 luglio 2022, definitiva il 16 dicembre 2022.
Il ricorrente articola due motivi di ricorso, con i quali denuncia erron applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 81 cod. pen., e vizio motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione si sarebbe limitato a rilevare la distanza cronologica tra i reati, trascurando del tutt considerare la sussistenza degli ulteriori elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali il medesimo contesto territoriale, l’omogeneità dei reati, le medesime modalità esecutive delle condotte e la medesima motivazione che aveva spinto COGNOME a porre in essere le azioni delinquenziali.
A tal fine, nel ricorso si evidenzia che, dalla lettura degii atti dei procedimen si evinceva chiaramente che il territorio nel quale erano state poste in essere le condotte era notoriamente interessato da fenomeni di spaccio di sostanze stupefacenti sotto il controllo dell’associazione di tipo mafioso riconducibile al cl camorristico “RAGIONE_SOCIALE“. Anche per tale ragione, lo stesso giudice della cognizione aveva accertato che la condotta di COGNOME non poteva essere ritenuta estemporanea e contingente, ma che la stessa era iscritta in un contesto dì abitualità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, infatti, non si confronta con l’ordinanza impugnata, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che i reati erano stati posti in essere a notevole distanza di tempo (circa tre anni) e che non vi erano ulteriori elementi dai quali poter evincere che lo stesso, nel momento in cui aveva posto in essere il primo reato, avesse già preventivato di commettere anche le ulteriori azioni delinquenziali.
Sul punto, si evidenzia che la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna, conseguite alle azioni o omissioni che si assumono essere in continuazione e, attraverso il loro raffronto, alla luce delle ragioni enunciate dall’istante, gravato in tema di esecuzione – quando invoca l’applicazione della disciplina del reato continuato – non da un onere probatorio, ma dall’onere di allegare, e cioè di prospettare e indicare elementi specifici e concreti a sostegno dell’istanza (Sez. 1, n. 21326 del 06/05/2010, Faneli, Rv. 247356).
In tema di esecuzione, quindi, incombe sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina della continuazione l’onere di allegare elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria, onde evitare che il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione del reato, rendendo evanescente la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere (Sez. 3, n. 17738 del 14/12/2018, dep. 2019, Bencivenga, Rv. 275451).
Il c.d. onere di allegazione di elementi specifici a sostegno dell’istanza, pertanto, sottolinea la necessità che la prova dell’esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l’esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l’identità del bene giuridico leso che, di per sé, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, più reati. Piuttosto, dunque, si deve affermare che, trattandosi di un’indagine che ha ad oggetto il momento ideativo e deliberativo del reato, spesso non rilevante e quindi trascurato nell’accertamento di merito, è interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi dell’esistenza di un disegno criminoso comune a più reati, elementi che potrebbero non risultare dalle sentenze di merito.
Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il ricorso non sia consentito dalla legge in sede di legittimità, essendo costituito da mere doglianze in purto di fatto.
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Il giudice dell’esecuzione ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali sopra individuati, evidenziando che l’istanza difettava della prova circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, che ricorre – come sostenuto dal giudice dell’esecuzione – quando i singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’origine nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, al quale deve aggiungersi, volta per volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma delinquenziale.
Il provvedimento impugnato evidenzia in modo plausibile che, dalla lettura delle sentenze di merito, si evinceva che le singole condotte erano riconducibili semplicemente alla propensione abituale al delitto, anche considerando che le diverse violazioni alla legge penale erano state commesse ad un apprezzabile distanza di tempo l’una dall’altra.
La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, ha fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/11/2023