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Reato continuato: la prova del disegno criminoso

Un soggetto condannato per due reati di spaccio, commessi a distanza di tre anni, ha richiesto l’applicazione del ‘reato continuato’. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la notevole distanza temporale e la mancanza di prove concrete di un unico e premeditato disegno criminoso impediscono il riconoscimento del beneficio. La mera ripetizione di condotte illecite, secondo la Corte, non basta a configurare un reato continuato, potendo indicare una semplice abitualità a delinquere.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Nega il Beneficio Senza Prova del Disegno Criminoso Unitario

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3327 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: i requisiti per l’applicazione del reato continuato. La pronuncia chiarisce la netta distinzione tra la commissione di più reati nell’ambito di un unico piano premeditato e la semplice reiterazione di condotte illecite dettata da un’abitudine a delinquere. La decisione sottolinea come, in fase esecutiva, spetti al condannato fornire elementi specifici per dimostrare l’esistenza di tale disegno unitario.

I Fatti del Caso: Due Reati a Notevole Distanza Temporale

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato con due sentenze definitive per reati identici: produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Il primo fatto era stato commesso nel gennaio 2019, mentre il secondo risaliva al novembre 2021, a quasi tre anni di distanza.

In sede di esecuzione della pena, il condannato aveva presentato un’istanza al Giudice dell’Esecuzione (GIP) del Tribunale di Napoli, chiedendo di applicare la disciplina del reato continuato prevista dall’art. 81 c.p. Ciò avrebbe comportato la rideterminazione della pena complessiva in una misura più favorevole, trattando i due episodi come un’unica violazione più grave.

A sostegno della sua tesi, il ricorrente evidenziava diversi elementi comuni ai due reati: l’identico contesto territoriale, noto per essere sotto il controllo di un’associazione criminale, l’omogeneità dei reati, le medesime modalità esecutive e la stessa motivazione delinquenziale.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova nel Reato Continuato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del GIP che aveva rigettato l’istanza. Il punto centrale della decisione risiede nell’onere della prova, o più precisamente, nell’onere di allegazione che grava sul condannato in fase esecutiva.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: per ottenere il riconoscimento del reato continuato, non è sufficiente dimostrare la somiglianza tra i reati commessi. È indispensabile provare l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero un programma unitario e premeditato, concepito prima della commissione del primo reato, che abbracci tutte le successive condotte illecite.

Le Motivazioni: Distinzione tra Disegno Criminoso e Abitualità a Delinquere

La Corte ha spiegato che la notevole distanza temporale tra i due episodi (circa tre anni) costituiva già un primo, forte indizio contro l’esistenza di un piano unitario. In assenza di ulteriori e specifici elementi probatori, tale lasso di tempo rende poco plausibile che il secondo reato fosse stato programmato fin dall’inizio.

Gli elementi addotti dal ricorrente, come l’identità del luogo e delle modalità operative, sono stati considerati “neutri”. Sebbene compatibili con un disegno criminoso unico, essi possono altrettanto facilmente essere sintomo di una mera “abitualità a delinquere”, ovvero una tendenza del soggetto a ripetere nel tempo lo stesso tipo di reato per inclinazione personale o per stile di vita, senza una programmazione preventiva e unitaria.

Il meccanismo del reato continuato non è un beneficio automatico per chi reitera i crimini, ma uno strumento volto a mitigare la pena per chi agisce nell’ambito di un’unica deliberazione criminosa. Spetta quindi al condannato, che invoca tale beneficio, “allegare elementi specifici e concreti a sostegno dell’istanza”, superando la semplice constatazione delle somiglianze fattuali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza in esame rafforza un importante principio di rigore nell’applicazione dell’istituto del reato continuato. Per veder riconosciuto questo beneficio in fase esecutiva, il condannato non può limitarsi a evidenziare le analogie tra i reati commessi. È necessario fornire al giudice elementi concreti che dimostrino che le diverse azioni criminali erano parte di un progetto deliberato sin dall’origine. La distanza temporale tra i fatti assume un peso rilevante e, se significativa, deve essere controbilanciata da prove particolarmente solide di un’unica programmazione iniziale.

Cosa si intende per “reato continuato”?
È un istituto giuridico che permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, come un’unica violazione ai fini della determinazione della pena, applicando la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo.

Perché la Corte ha negato il riconoscimento del reato continuato in questo caso?
La Corte lo ha negato principalmente per due ragioni: la notevole distanza temporale tra i due reati (circa tre anni) e il fatto che il ricorrente non ha fornito elementi di prova specifici e concreti in grado di dimostrare l’esistenza di un piano criminoso unico e preordinato fin dall’inizio.

A chi spetta l’onere di dimostrare l’esistenza di un disegno criminoso unico nella fase di esecuzione?
Secondo la sentenza, in fase di esecuzione della pena l’onere di allegare, cioè di prospettare e indicare elementi specifici e concreti a sostegno dell’esistenza di un disegno criminoso, spetta al condannato che chiede l’applicazione della disciplina del reato continuato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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