Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21131 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21131 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo IL R 1 GETT GLYPH PE i 21 c ·
udito il difensore Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 30 marzo 2023 con la quale, in sede di rinvio e in parziale riforma della sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Termini NOME il 22 marzo 2019 all’esito di giudizio abbreviato, è stato condannato alla pena di anni cinque, mesi uno di reclusione ed euro 1.456,00 di multa, in ordine ai seguenti reati, riuniti tra loro dal vincolo della continuazione:
a più reati di furto aggravato, ai sensi degli artt. 624 e 625 cod. pen. (capi 15, 19, 20, 23, 25, 29, 30, 32, 33, 34 e 39), commessi in Sambuca di Sicilia, Pollina Collesano, Palermo, Villafrati e Sciacca tra il 12 marzo e il 1 giugno 2017, perché, al fine di trarne profitto, in più occasioni si era impossessato di diversi chilogrammi di conduttori su circuito di linea in media tensione, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, mediante il distacco dall’impianto di pubblica illuminazione cui erano destinati, nonché di un decespugliatore di proprietà di COGNOME NOME e di vari attrezzi di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
a tre reati di furto aggravato, ai sensi degli artt. 625 e 625 cod. pen. (capi 24, 26 e 27), perché il 6, il 15 e il 23 aprile 2017 in Palermo, al fine di trarne profitto, in diverse occasioni si era impossessato di diversi oggetti custoditi all’interno del centro commerciale “RAGIONE_SOCIALE“;
a un furto in abitazione, ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen. (capo 31), perché il 3 maggio 2017 in Collesano, al fine di trarne profitto, si era impossessato di diversi oggetti di proprietà di COGNOME NOME, dopo essersi introdotto nella sua abitazione;
a un furto aggravato, ai sensi degli artt. 624 e 625 cod. pen. (capo 40), perché il 3 giugno 2017, al fine di trarne profitto, si era impossessato di diversi oggetti di proprietà del RAGIONE_SOCIALE, dopo essersi introdotto nei relativi uffici di Agrigento, mediante la rottura di una finestra.
La Corte territoriale, con la sentenza oggi impugnata, in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, che aveva condannato l’imputato alla pena di anni quattro, mesi quattro di reclusione ed euro 1.366,00 di multa, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati da lei giudicati e due reati furto in abitazione (di cui uno tentato), nonché un reato di furto aggravato, commessi il 18 maggio 2017 in Collesano e Campofelice di Riccella, in ordine ai quali il Tribunale di Termini NOME, con sentenza resa all’esito di giudizio abbreviato il 21 settembre 2017, definitiva il 17 ottobre 2018, aveva irrogato una pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 200,00 di multa.
La Corte di cassazione, infatti, con la sentenza del 29 marzo 2022, aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Palermo del 18 giugno
2020, con la quale era stata confermata la sentenza di primo grado, limitatamente alla richiesta di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli di cui alla sopra citata sentenza del Tribunale di Termini NOME, posto che il giudice di secondo grado aveva rigettato tale richiesta sull’erroneo assunto che la difesa non avesse allegato la predetta sentenza di condanna.
La Corte di appello, in sede di rinvio, ritenuto più grave il reato di cui al capo 23 oggetto del presente procedimento, ha confermato gli aumenti di pena già stabiliti dal giudice di primo grado, quantificando gli aumenti di pena in continuazione per i tre reati oggetto della sentenza del Tribunale di Termini NOME in mesi quattro, giorni quindici di reclusione ed euro 45,00 di multa ciascuno, diminuiti per la scelta del rito in mesi tre di reclusione ed euro 30,00 di multa ciascuno, per un totale di mesi nove di reclusione ed euro 90,00 di multa.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, con riferimento agli artt. 81, 133, 624 e 625 cod. pen., 192, 533 e 546 cod. proc. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale, da una parte, ha ritenuto condivisibile la scelta operata dal giudice d primo grado di applicare un aumento di pena in continuazione per ciascun reato di furto in mesi due di reclusione e, dall’altra, ha quantificato un aumento di pena in continuazione per ciascun reato di furto oggetto della sentenza del Tribunale di Termini NOME in mesi tre di reclusione, senza offrire sul punto alcuna valida motivazione.
Secondo il ricorrente, quindi, il giudice di merito avrebbe in mani ingiustificata determinato un aumento di pena in continuazione sensibilmente maggiore solo per alcuni reati di furto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova in diritto evidenziare che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, è chiamato a calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269); in via generale, però, è necessario anche considerare che risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritenersi motivazione sufficiente p
dimostrare l’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).
Principi non dissimili sono stati espressi con particolare riferimento alle pene determinate in materia di continuazione: se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbl motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza delle medesime fattispecie di reato (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, non mass. sul punto).
Nel caso di specie, considerando l’applicazione di un aumento di pena modico, le argomentazioni spese dalla Corte di appello appaiono adeguate e rendono ragione dell’esercizio del suo potere discrezionale, senza che possa ravvisarsi alcuna carenza motivazionale, anche considerando che già il giudice di primo grado aveva evidenziato la negativa personalità dell’imputato, il quale aveva commesso due reati di furto mentre si trovava sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di Palermo, applicata nei suoi confronti in ordine a reati della stessa indole per i quali era stato condannato, anche con la sentenza del Tribunale di Termini NOME del 21 settembre 2017.
Il Collegio, pertanto, ritiene che la sentenza della Corte di appello non presenti alcun vizio motivazionale, posto che il giudicante ha tenuto conto dei criteri ex art. 133 cod. pen. e della personalità dell’imputato ed in modo ineccepibile ha ritenuto congruo l’aumento di pena per ciascun reato di furto oggetto della sentenza del Tribunale di Termini NOME in mesi tre di reclusione ed euro 30,00 di multa.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 01/02/2024