Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30078 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30078 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 1990/2025
CC – 06/06/2025
R.G.N. 12995/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano del 19/2/2025
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
1.Con ordinanza in data 19.2.2025, la Corte d’Appello di Milano ha provveduto, in funzione di giudice dell’esecuzione, su una istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze: 1) sentenza della Corte di Appello di Brescia del 5/4/2002 (irrevocabile il 21/11/2003) di condanna alla pena di dieci anni di reclusione e 80.000 euro di multa per il reato di importazione illecita di sostanze stupefacenti commesso nel giugno del 1999 in Cavenago, Cabiate e Piana di Giussano; 2) sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano del 10/7/2014 (irrevocabile il 16/11/2015) di condanna alla pena di quattro anni, otto mesi di reclusione e 3.000 euro di multa in continuazione con la pena della sentenza sub 1), per i reati di associazione mafiosa, detenzione illegale di armi comuni e di armi clandestine, ricettazione, commessi dal 2000 e fino all’11/9/2011 in Milano e province limitrofe e in Mariano Comense; 3) sentenza del g.i.p. del Tribunale di Monza del 30/11/2018 (irrevocabile il 21/2/2019) di condanna alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e 2.000 euro di multa in continuazione con la pena della sentenza sub 2), per i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e di importazione illecita di stupefacenti, commessi il 12/11/2011 in Cinisello Balsamo e il 28/11/2011 in Montecatini Terme; 4) sentenza della Corte di Appello di Milano dell’11/4/2024 di condanna alla pena di quattordici anni di reclusione per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 commesso in Milano, Seregno e Meda da ottobre 2017 in permanenza, per il reato di possesso di arma commesso in Seregno il 9/11/2017, per il reato di estorsione commesso in Seregno in data prossima al 4/2/2011, per il reato di detenzione di stupefacenti a fini di spaccio commesso in Carate Brianza il 18/3/2018.
sentenze di cui ai nn. 1), 2) e 3), già unificati tra loro, fossero ulteriormente unificati con i fatti giudicati con la sentenza di cui al n. 4): il difensore, a tal proposito, ha osservato che, pur non sussistendo una sovrapposizione temporale delle condotte, analoghe sono le norme di legge violate e unico Ł il progetto illecito originario. In particolare, il compito di NOME all’interno dell’associazione di cui all’art. 416bis cod. pen. era quello di coadiuvare il fratello NOME nella gestione dei traffici di droga e il delitto ex art. 74 d. P.R. n. 309 del 1990 di cui alla sentenza n. 4) ha costituito la realizzazione del programma criminoso inizialmente preordinato.
Il giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza, rilevando innanzitutto che i delitti giudicati con la sentenza di cui al n. 4) sono stati commessi a notevole distanza di tempo rispetto a quelli per i quali Ł stato già riconosciuto il vincolo della continuazione e, peraltro, dopo un periodo di carcerazione, sofferto a vario titolo dal ricorrente, di quasi quattro anni. Inoltre, la Corte d’Appello osserva che la sentenza di cui al n. 4) ha confermato l’assoluzione di COGNOME dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen. per la mancanza di prova della ricostituzione della c.d. locale di Seregno, sicchØ tale circostanza dimostra con evidenza la mancanza di continuità tra i delitti realizzati prima e i delitti realizzati dopo il periodo di carcerazione.
In particolare, nessun indicatore di un medesimo disegno criminoso può ravvisarsi secondo il giudice dell’esecuzione – tra il delitto in materia di droga di cui alla sentenza n. 1) commesso tra il 1998 e il 1999 e quelli in materia di droga commessi nel 2017 e nel 2018, per l’elevato intervallo temporale che li separa e per la diversità delle aree geografiche interessate e dei complici coinvolti. NØ elementi di continuità, sia dal punto di vista temporale che dal punto di vista dell’identità dei partecipanti, possono ravvisarsi tra i delitti di droga commessi nel 2011 di cui alla sentenza n. 3) e quelli di cui alla sentenza n. 4). Quanto alle due associazioni di cui all’art. 416bis cod. pen. e all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la Corte d’Appello rileva che le persone fisiche facenti parte dei detti sodalizi sono diverse, così come le modalità operative e le finalità delle due compagini. Le medesime considerazioni valgono per i delitti di detenzione di arma del 2017 e il delitto di estorsione del 2011, rispetto a cui difettano elementi per ritenere l’unicità del programma criminoso. Lo stesso, ancora, vale per i delitti in tema di armi e ricettazione commessi nel 2011, che si collocano in epoca temporalmente distante rispetto a quelli di cui alla sentenza n. 4).
In definitiva, l’ordinanza ritiene che le concrete modalità di consumazione dei vari delitti siano sintomatiche di scelte di vita ispirate alla sistematica commissione di illeciti e non di un progetto criminoso unitario.
2.Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce la violazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., nonchØ la manifesta illogicità della motivazione sul diniego dell’applicazione della disciplina della continuazione.
Il ricorso eccepisce che l’argomento della Corte d’Appello, secondo cui l’assoluzione ultima di COGNOME dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen. escluderebbe la continuazione, non rappresenta invece una circostanza decisiva, risultando dalla sentenza del 28/1/2022 la quale ha affermato la responsabilità del ricorrente per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso – il dato che COGNOME abbia evocato la propria appartenenza alla ‘ndrangheta, abbia fatto presente al suo interlocutore la sua notorietà di persona di alta caratura criminale, si sia auto attribuita la nomea di boss.
Quanto al dato valorizzato dal giudice dell’esecuzione della notevole distanza temporale tra i reati, il ricorso rileva che non Ł stato considerato che l’estorsione di cui all’ultima sentenza Ł stata consumata il 4/2/2011, dunque in un arco temporale in cui era
certamente operativa l’associazione mafiosa. Peraltro, Ł stato evidenziato che all’interno del clan il ricorrente aveva il compito di coadiuvare il fratello (ucciso nel 2008) nella gestione dei traffici di droga. Lo stesso reato in materia di stupefacenti di cui alla sentenza n. 3) risulta commesso il 12/11/2011, cioŁ a soli nove mesi di distanza dall’estorsione di cui all’ultima sentenza irrevocabile. Ma anche con riferimento alla condanna per l’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, l’ultima sentenza specifica che l’imputato si Ł giovato della copertura territoriale derivante dalla sua partecipazione al clan di ‘ndrangheta.
Il giudice dell’esecuzione – sostiene ancora il ricorso – non ha nemmeno adempiuto all’onere di verificare se la continuazione non potesse essere riconosciuta almeno con riferimento a singoli gruppi di reato commessi all’interno del piø esteso arco temporale, tenuto conto degli altri indici sintomatici della continuazione. Infine, ha conferito rilievo decisivo al fatto che COGNOME Ł stato detenuto in un periodo intermedio, laddove per costante giurisprudenza la detenzione non Ł di per sØ fattore idoneo a escludere l’identità del disegno criminoso.
Con requisitoria scritta trasmessa il 19.5.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando che il provvedimento impugnato Ł corredato da una motivazione logica e rispettosa della disciplina normativa che regola l’istituto in esame. Per converso, il ricorso, implicitamente, sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione di merito a quella espressa nell’ordinanza impugnata, senza evidenziare elementi di fatto decisivi tralasciati dal giudice dell’esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
¨ utile premettere che, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento Ł sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, n. 12936 del 3/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275222 – 01).
In questa prospettiva, la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł da considerarsi congrua, perchØ fa convenientemente riferimento al consistente lasso temporale intercorso tra i reati oggetto della sentenza di cui al n. 4) e le altre violazioni per le quali Ł stato già riconosciuto il vincolo della continuazione.
Anche per quei reati che, singolarmente considerati, presentano una certa omogeneità tipologica rispetto ad alcuni di quelli già unificati ex art. 81 cod. pen., osta, in ogni caso, al riconoscimento di un medesimo disegno criminoso che li sorregga la circostanza che siano tra loro separati da un significativo intervallo cronologico.
La analogia delle violazioni non Ł da sola sufficiente per il riconoscimento della continuazione, che necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica non solo della sussistenza di concreti indicatori, ma anche del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
Del tutto ragionevolmente, dunque, il giudice dell’esecuzione ha posto alla base della decisione di rigetto dell’istanza del condannato la assai rilevante distanza temporale tra i reati.
In tema di continuazione, infatti, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo su cui fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., posto che, in assenza di altri elementi, quanto piø ampio Ł il lasso di tempo fra le violazioni, tanto piø deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria e predeterminata, almeno nelle linee fondamentali (Sez. 2, n. 43745 del 3/10/2024, Diana, Rv. 287193 – 01; Sez. 4, n. 34756 del 17/5/2012, COGNOME, Rv. 253664 – 01; Sez. 1, n. 3747 del 16/1/2009, COGNOME, Rv. 242537 – 01).
La prova dell’identità del disegno criminoso deve essere tanto piø rigorosa quanto piø distanti tra loro nel tempo sono le condotte antigiuridiche, perchØ serve a vincere la fondata presunzione secondo cui, quando l’intervallo cronologico tra reati sia consistente, la commissione di ulteriori fatti delittuosi, anche analoghi per modalità e nomen iuris ai precedenti, non poteva essere progettata specificamente nel momento in cui fu commesso il delitto originario. D’altra parte, l’identità del movente non Ł, di per sØ, sufficiente a configurare l’unicità del disegno criminoso, che non va confusa con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto.
2. A fronte di tale motivazione, il ricorso oppone innanzitutto che il tratto unificante delle varie condotte delittuose sia costituito dall”agire mafioso’ del ricorrente nella esecuzione dei diversi reati, che non Ł escluso dalla circostanza – invece enfatizzata nell’ordinanza impugnata – che COGNOME sia stato da ultimo assolto dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen. per il difetto di prova circa la ricostituzione dell’associazione di ‘ndrangheta per cui era stato condannato con la sentenza di cui al n. 2).
In particolare, il ricorso richiama il delitto di estorsione aggravata oggetto della sentenza n. 4), per evidenziare che la sentenza del giudice di cognizione abbia dato atto del metodo mafioso utilizzato da COGNOME e, soprattutto, che la data di commissione del reato ricada nell’arco temporale in cui era operativa l’associazione per l’appartenenza alla quale egli Ł stato condannato con la sentenza di cui al n. 2).
Questo consentirebbe – secondo la prospettazione difensiva – di ravvisare un elemento di continuità tra le condotte, suscettibile di essere valorizzato per dimostrare la medesimezza del disegno criminoso.
Ma l’argomento trascura di considerare che l’unico reato associativo di cui Ł stato ritenuto responsabile COGNOME con sentenza irrevocabile risulta commesso dal 2000, mentre l’estorsione di cui alla sentenza n. 4) Ł stata commessa ‘in data prossima al 4.2.2011’.
BenchØ la contestazione relativa all’art. 416bis cod. pen. si chiuda, in ragione della permanenza del reato, all’11.9.2011 e anche a voler ammettere che l’estorsione della sentenza n. 4) sia un reato riconducibile al programma associativo, ciò nondimeno la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine Ł ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si Ł determinato a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, n. 23818 del 22/6/2020, Toscano, Rv. 279430 – 01; Sez. 1, n. 1534 del 9/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 – 01).
Dunque, non Ł configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati-fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili “ab origine” perchØ legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME e altri, Rv. 259481 01; Sez . 5, n. 54509 dell’8/10/2018, Lo Giudice, Rv. 275334 – 02).
Tenuto conto che tra la adesione di COGNOME all’associazione e la commissione
dell’estorsione di cui alla sentenza n. 4) intercorrono circa undici anni, sarebbe stato necessario acquisire specifici elementi che consentissero di ravvisare una comune cornice deliberativa.
Il ricorrente ne ha individuato sostanzialmente uno, rappresentato dall’avere COGNOME agito con modalità mafiose in occasione del secondo delitto: ma si tratta, tuttavia, di un elemento che – attenendo al contingente aspetto operativo della condotta, piuttosto che alla preventiva deliberazione del reato che la condotta stessa avrebbe dovuto integrare – Ł del tutto inidoneo, ex se, a comprovare la contemporanea ideazione, in modo tendenzialmente specifico, dell’associazione mafiosa e dell’azione delittuosa compiuta undici anni dopo.
Di conseguenza, il condannato non ha assolto all’onere, che incombe su chi invochi l’applicazione della disciplina della continuazione, di allegare elementi sintomatici della riconducibilità dei reati a una preventiva programmazione unitaria, onde evitare che il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 81, comma secondo, cod. pen. si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione del reato, rendendo evanescente la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere (Sez. 3, n. 17738 del 14/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275451 – 01).
In secondo luogo, il ricorrente contesta che la cesura della asserita continuità dell’agire mafioso sia stata sostenuta dall’ordinanza impugnata anche sulla base della circostanza che COGNOME ha sofferto un periodo di detenzione di quasi quattro anni.
Ora, non v’Ł dubbio che un così significativamente prolungato stato di restrizione personale sia un elemento che si oppone, in linea di principio, al riconoscimento della medesimezza del disegno criminoso, perchØ richiede di prestare fede al fatto che il condannato avesse, sia pure a grandi linee, previsto sin dalla commissione del primo reato la eventualità di essere ristretto in carcere per un lungo periodo e, ciò nondimeno, avesse al tempo stesso programmato almeno di massima la commissione di altri reati, pur in presenza di una cospicua soluzione di continuità.
Se Ł vero – come evidenzia il ricorso – che, in tema di applicazione della disciplina del reato continuato nella fase esecutiva, la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non Ł di per sØ idonea ad escludere l’identità del disegno criminoso (Sez. 1, n. 37832 del 5/4/2019, COGNOME, Rv. 276842 – 01; Sez. 6, n. 49868 del 6/12/2013, COGNOME, Rv. 258365 – 01), Ł vero anche, tuttavia, che occorre che il giudice, ai fini del riconoscimento della eventuale continuazione, disponga in concreto di elementi idonei a rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni.
Basta porre mente al fatto che in un arco temporale di quattro anni sono verosimilmente destinate a mutare tanto le condizioni di operatività dell’agire criminale (sia esso individuale o collettivo), quanto le situazioni fattuali sulle quali la persona dedita al delitto ambisce a dispiegare la propria illecita incisività: il detenuto non Ł pienamente in grado di controllare nØ le une, nØ le altre.
In questo caso, quindi, la affermazione secondo cui un periodo di detenzione pluriennale non abbia costituito un insuperabile momento di frattura nella unicità del disegno criminoso richiederebbe l’allegazione di elementi specifici dal rilevante valore sintomatico.
A tal proposito, il ricorrente sØguita a indicare la medesimezza dell’indole dei nuovi reati rispetto a quella dei precedenti quale elemento suscettibile di dimostrare che non via stata una effettiva cesura nella unitaria rappresentazione e deliberazione criminosa.
Ma si tratta di un argomento che, per un verso, Ł solo parzialmente esatto, giacchØ l’ordinanza impugnata ha invece spiegato che ricorre una certa eterogeneità tra i reati della
sentenza n. 4) e quelli oggetto delle precedenti sentenze di condanna; per altro verso, la omogeneità tipologica, ove pure fosse realmente ravvisabile, non sarebbe comunque sufficiente da sola, in quanto di per sØ indice sintomatico non di attuazione di un progetto criminoso unitario, quanto di un’abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti (Sez. 1, n. 35806 del 20/4/2016, COGNOME, Rv. 267580 – 01).
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, Ł da ritenersi che le censure difensive non siano suscettibili di confutare il diniego dell’applicazione della disciplina del reato continuato, che la Corte d’Appello di Milano ha fondato invece su una motivazione nient’affatto mancante o manifestamente illogica.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 06/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME