Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46306 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46306 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SCAFATI il 04/08/1959
avverso l’ordinanza del 12/06/2024 del TRIBUNALE di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ha promosso incidente di esecuzione, volto alla rideterminazione della pena a lui inflitta con sentenza del 25/06/1996 del Tribunale di Genova, confermata dalla Corte di appello di Genova con sentenza del 20/01/1997 e passata in giudicato il 15/12/1997, a mezzo della quale è stato condannato alla pena di anni quattordici e mesi otto di reclusione, perché riconosciuto colpevole del delitto di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, commesso nel 1993; tale richiesta si fonda sull’intervento di Corte cost., sentenza n. 40 del 2019, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della fissazione del minimo edittale, relativamente al reato di cui all’art. 73 T.U. stup., ad anni otto, piuttosto che ad anni sei di reclusione.
1.1. Il Giudice dell’esecuzione ha disatteso tale domanda, con provvedimento assunto de plano il 18/07/2023, sul presupposto che la condanna oggetto dell’istanza ricadesse sotto la vigenza di una disciplina diversa, rispetto a quella dichiarata incostituzionale; tale provvedimento è stato annullato da questa Corte, che ha rilevato la mancata instaurazione del contraddittorio.
1.2. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Genova in composizione collegiale – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha rideterminato la pena inflitta al condannato, per effetto dell’ordinanza della Corte di assise di Milano del 19/03/2005 (provvedimento che aveva ritenuto il vincolo della continuazione, fra i reati di cui ai capi AC e AE giudicati con la sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997, divenuta irrevocabile il 15/12/1997 e i reati giudicati con la sentenza della Corte di appello di Milano del 03/03/1997, passata in giudicato il 18/04/1997), in complessivi anni venti e mesi otto di reclusione ed euro 61.974,83 di multa; il medesimo provvedimento ha precisato, altresì, che restano fermi gli ulteriori anni due di reclusione, comminati con la sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997, divenuta irrevocabile il 15/12/1997, per il reato di calunnia sub AL, non ritenuto unificabile in continuazione rispetto ai fatti residui.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale, con particolare riferimento agli artt. 132 e 133 cod. pen., in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del
2019, la quale ha dichiarato incostituzionale il minimo edittale di anni otto di reclusione, stabilito per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309.
Il Giudice dell’esecuzione – in ipotesi difensiva – non si sarebbe dovuto attenere esclusivamente al criterio proporzionale o meramente aritmetico, ma avrebbe dovuto utilizzare anche i criteri dettati dagli artt. 132 e 133 cod. pen., indicando i motivi giustificativi dell’uso del proprio potere discrezionale. La riduzione non deve corrispondere alla mera differenza fra il vecchio e il nuovo minimo edittale, vigente per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, ma deve mantenere costante il divario proporzionale esistente, fra il minimo edittale e la pena in concreto irrogata, anche a seguito della diminuzione conseguente alla pronuncia di illegittimità. E dunque:
all’epoca dei fatti, il minimo edittale stabilito per il delitto ex art. 73 T.U. st era pari ad anni otto di reclusione e NOME è stato condannato alla pena di anni tredici di reclusione, che si discosta di cinque anni dal minimo;
operando la riduzione di soli due anni, meramente corrispondente alla differenza fra il vecchio e il nuovo edittale, il Giudice dell’esecuzione ha, in sostanza, inasprito il divario precedentemente fissato, tra il minimo edittale di anni sei di reclusione e la nuova pena, determinata in anni undici di reclusione, non mantenendo pertanto la giusta proporzione di cui sopra.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale, con particolare riferimento alla disciplina del reato continuato ex art. 81 cod. pen., in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019. Il Giudice dell’esecuzione ha riconosciuto, quale reato più grave, quello sub AC della sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997 ed ha operato, consequenzialmente, una riduzione esclusivamente su di esso, a seguito della intervenuta pronuncia di incostituzionalità dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non ritenendo invece di operare alcuna rideterminazione, con riferimento ai reati satellite.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Pur se con motivazione stringata, il giudice dell’esecuzione ha condiviso le determinazioni precedentemente assunte, che avevano portato il Tribunale di Genova a ritenere congrua la pena di anni tredici di reclusione, sul presupposto dell’esistenza di una pena edittale minima di anni otto di reclusione, per cui, con la nuova pena edittale minima di anni sei di reclusione, la Corte territoriale ha ritenuto congruo – sulla base delle medesime considerazioni – rideterminare la pena in anni undici di reclusione. Il secondo motivo è infondato, in quanto il giudice
dell’esecuzione ha individuato gli elementi sui quali fondare la decisione di non ridurre la pena, nonostante la differente cornice edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo, mentre è da disattendere per quanto riguarda il resto.
Integrando brevemente quanto sintetizzato in parte narrativa, si può sottolineare come sia intervenuta una prima ordinanza in executivis del 19/03/2005, ad opera della Corte di assise di Milano, la quale ha unificato sotto il vincolo della continuazione i reati di cui ai capi AC e AE della rubrica (giudicati con la sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997, divenuta irrevocabile il 15/12/1997) e i reati giudicati con la sentenza della Corte di appello di Milano del 03/03/1997, passata in giudicato il 18/04/1997. L’attuale incidente di esecuzione, dunque, invoca l’applicazione di Corte cost., sentenza n. 40 del 2019.
L’avversato provvedimento ha rideterminato la pena inflitta al ricorrente, relativamente ai suddetti reati, in complessivi anni venti e mesi otto di reclusione ed euro 61.974,83 di multa; sono stati lasciati fermi, invece, gli ulteriori anni due di reclusione, inflitti al Pino mediante la sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997, divenuta irrevocabile il 15/12/1997, per il reato di calunnia ascritto sub AL della rubrica, in quanto quest’ultimo non è stato ritenuto espressivo della sussistenza di una preventiva ideazione unitaria.
Con il primo motivo, la difesa sostiene che il Giudice dell’esecuzione non avrebbe dovuto attenersi al criterio proporzionale o meramente aritmetico, così finendo per mantenere costante il divario proporzionale, fra il minimo edittale e la pena in concreto irrogata, anche a seguito della diminuzione conseguente alla pronuncia di illegittimità.
Giova allora precisare quanto segue:
in epoca antecedente, rispetto all’intervento di Corte Cost. n. 40 del 2019, il minimo edittale di pena detentiva, stabilito per la fattispecie incriminatrice ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, era pari a otto anni di reclusione e – appunto sotto la vigenza di tale normativa – la pena per il reato più grave è stata fissata, nella concreta vicenda processuale, ad anni tredici di reclusione (in tal modo, si è stabilita una pena in concreto che si distanziava, rispetto al minimo edittale, di cinque anni);
una volta intervenuta la pronuncia n. 40 del 2019 della Corte costituzionale, il minimo edittale stabilito relativamente alla fattispecie legale di cui all’art. 73 T.U.
stup. è stato fissato ad anni sei di reclusione e, nella concreta fattispecie, la pena per il reato più grave è stata indicata nella misura di anni undici di reclusione, in tal modo mantenendosi inalterato il divario, pari comunque ad anni cinque di reclusione, fra il minimo edittale e la pena irrogata.
Tali essendo i parametri della questione dedotta, non vi è chi non rilevi come il Giudice dell’esecuzione abbia proprio “mantenuto costante il divario proporzionale tra il minimo edittale e la pena in concreto irrogata, anche a seguito della diminuzione operata dalla sentenza della Corte costituzionale” (così, testualmente, può leggersi nell’atto di impugnazione). In sostanza, il Tribunale si è attenuto strettamente proprio al canone interpretativo invocato dalla difesa. La doglianza, per il resto, si ammanta di una marcata aspecificità, auspicando essa sostanzialmente – con deduzioni peraltro generiche e, a tratti, di oscura significazione – un corretto utilizzo dei criteri generali previsti dagli artt. 132 e 133 cod. pen., senza però colmare di maggiore significato tale auspicio.
Trattasi, in conclusione, di una censura che non merita accoglimento.
4. Fondato è, invece, il secondo motivo.
Con tale doglianza, il ricorrente si duole del fatto che il Giudice dell’esecuzione abbia riconosciuto – quale reato più grave – quello riportato in rubrica sub AC, nella sentenza della Corte di appello di Genova del 20/01/1997 ed abbia poi operato una riduzione esclusivamente su di esso, all’esito della intervenuta pronuncia di incostituzionalità dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non ritenendo, al contrario, di operare alcuna rimodulazione sanzionatoria, con riferimento ai reati satellite.
Questa Corte, però, ha precisato come – a seguito della pronuncia di incostituzionalità di cui sopra -debba in executivis procedersi alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio inerente a tutti i reati giudicati e, pertanto, anche ai reati satellite. La porzione di pena determinata in relazione a tali reati satellite, infatti, è comunque comparata alla pena edittale fissata per la fattispecie di maggior gravità (si veda Sez. 1, n. 23588 del 09/07/2020, COGNOME, rv. 279522, a mente della quale: «In tema di effetti della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di anni otto anziché di anni sei, intervenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, in caso di condanna irrevocabile per più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, il più grave dei quali sia quello previsto dal citato art. 73, comma 1, il giudice dell’esecuzione che proceda alla rideternninazione della pena inflitta in relazione a detto reato è tenuto a rideterminare anche gli aumenti di pena inflitti per i reatisatellite, sebbene non incisi dalla decisione di incostituzionalità, in quanto, ai sensi
( Y4
dell’art. 81, comma 2, cod. pen. la porzione di pena relativa a detti reati è commisurata alla violazione più grave, non rilevando più i limiti di pena di cui alle rispettive norme incriminatrici, bensì quelli stabiliti in via generale per il reato continuato, del triplo della pena-base o, se più favorevole, della pena che sarebbe applicabile in ipotesi di cumulo»; nello stesso senso si è espressa Sez. 3, n. 26280 del 16/07/2020, COGNOME, rv. 279899).
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente agli aumenti per continuazione, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Genova; il ricorso viene disatteso nel resto.
P.Q.M.
Annulla GLYPH l’ordinanza GLYPH impugnata GLYPH limitatamente agli GLYPH aumenti GLYPH per continuazione con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 29 ottobre 2024.