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Reato continuato: la Cassazione sui reati associativi

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza della Corte d’Appello di Bari che aveva riconosciuto il reato continuato tra due delitti di associazione mafiosa commessi a notevole distanza di tempo. Secondo la Suprema Corte, la semplice continuità dell’organizzazione criminale non è sufficiente a dimostrare l’unicità del disegno criminoso. È necessario accertare positivamente che, sin dalla prima adesione, il condannato avesse programmato anche la sua partecipazione futura, superando la presunzione contraria derivante dal lungo intervallo temporale. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato e Reati Associativi: La Cassazione Annulla la Decisione della Corte d’Appello

La corretta applicazione dell’istituto del reato continuato rappresenta una questione centrale nel diritto penale, specialmente quando si tratta di reati complessi come quelli associativi. Con la sentenza n. 26844 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire i presupposti necessari per unificare, sotto il vincolo della continuazione, due condotte di partecipazione a un’associazione mafiosa separate da un notevole lasso di tempo. La pronuncia sottolinea che la mera persistenza del sodalizio criminale non basta a dimostrare l’unicità del disegno criminoso del singolo partecipe.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza della Corte di Appello di Bari che, in fase esecutiva, aveva accolto l’istanza di un condannato, riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati giudicati in quattro diverse sentenze. In particolare, la Corte territoriale aveva unificato due reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis c.p. La prima condotta si era conclusa nel 1998, mentre la seconda era iniziata nell’ottobre del 2015.

La Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione sulla base della “ininterrotta continuità della natura mafiosa” dell’organizzazione e dell’assenza di prove di un recesso del condannato dal sodalizio. Aveva inoltre legato al secondo delitto associativo anche reati contro il patrimonio e in materia di armi, considerandoli reati-fine della stessa associazione.

Il Ricorso del Procuratore Generale e i limiti del reato continuato

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bari ha impugnato l’ordinanza, sollevando due motivi principali.

In primo luogo, ha lamentato l’erronea applicazione delle norme sul reato continuato. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello aveva unito i reati associativi nonostante la notevole distanza temporale tra loro, senza fornire alcuna prova che la seconda partecipazione fosse stata deliberata e voluta sin dall’inizio, come parte di un unico disegno criminoso. Anzi, nell’intervallo tra i due periodi, l’imputato era stato condannato per altri fatti che, secondo alcune sentenze, indicavano una sua dissociazione dai metodi mafiosi originari. La Corte, secondo il P.G., aveva confuso l’identità del disegno criminoso con una generica “concezione di vita ispirata all’illecito”.

In secondo luogo, il Procuratore ha criticato l’illogicità della motivazione riguardo al cosiddetto “tempo silente”, ossia il lungo periodo tra i due reati. La Corte d’Appello aveva erroneamente presunto la permanenza del vincolo associativo, invertendo l’onere della prova e applicando un principio valido in tema di misure cautelari, ma non in sede di esecuzione per il riconoscimento della continuazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito i principi consolidati in materia di reato continuato, che richiedono un accertamento rigoroso e non una presunzione.

Il riconoscimento della continuazione necessita di una verifica approfondita basata su indicatori concreti, come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale e, soprattutto, la prova che al momento del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali.

La Cassazione ha chiarito che un notevole intervallo temporale tra i reati crea una presunzione contraria all’unicità del disegno criminoso. Spetta a chi chiede la continuazione fornire la prova che la commissione dei fatti successivi non sia stata frutto di una determinazione estemporanea.

Nel caso specifico dei reati associativi, non è sufficiente dimostrare la continuità nel tempo dell’organizzazione criminale. È indispensabile valutare l’elemento volitivo del condannato, ovvero la presenza di un’effettiva e costante volontà di commettere i reati associativi, rimasta presente sin dall’inizio della prima adesione e per tutto il lungo intervallo temporale.

La Corte ha inoltre censurato l’errata applicazione del concetto di “tempo silente”. Tale principio, elaborato per le esigenze cautelari (dove vige una presunzione di pericolosità), non può essere trasposto nell’istituto della continuazione, dove, al contrario, non vige alcuna presunzione e l’unicità del disegno criminoso deve essere accertata positivamente. Il decorso del tempo, in assenza di prove di continuità, è un elemento ostativo al riconoscimento del vincolo.

Infine, la Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse omesso di considerare elementi importanti, come le condanne intermedie, che avrebbero potuto dimostrare un’interruzione del rapporto associativo originario.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio. La decisione riafferma un principio fondamentale: il reato continuato non può essere presunto sulla base della sola continuità operativa di un’associazione criminale. È necessaria una prova concreta e positiva dell’unicità del disegno criminoso del singolo individuo, un’indagine che deve essere particolarmente rigorosa quando le condotte sono separate da un significativo intervallo di tempo. Il giudice del rinvio dovrà quindi rivalutare il caso attenendosi a questi principi, verificando se la seconda partecipazione all’associazione fosse effettivamente il frutto di una nuova e autonoma deliberazione criminosa oppure la prosecuzione di un piano concepito fin dall’origine.

È sufficiente la continuità di un’associazione mafiosa per riconoscere il reato continuato tra due partecipazioni distanti nel tempo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la continuità nel tempo dell’associazione e della sua sottostruttura non è sufficiente. È necessaria un’indagine specifica sulla concreta identità del gruppo criminale, del suo programma e, soprattutto, sulla presenza di un’effettiva e unica volontà del condannato di commettere entrambi i reati associativi sin dall’inizio.

Cosa si intende per “unicità del disegno criminoso” nel reato continuato?
Significa che, al momento della commissione del primo reato, i successivi devono essere stati programmati almeno nelle loro linee essenziali. Deve essere provata un’unica ideazione iniziale delle varie violazioni, non potendo basarsi su una generica deliberazione criminosa o su semplici congetture.

Qual è l’effetto di un lungo intervallo di tempo tra due reati ai fini della continuazione?
Un notevole intervallo temporale fa presumere, salvo prova contraria, l’assenza di un unico disegno criminoso. In questi casi, l’accertamento deve essere particolarmente accurato e non può basarsi su presunzioni. Il decorso del tempo, senza prove di continuità della condotta, può essere ritenuto un elemento ostativo al riconoscimento della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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