Reato Continuato: La Cassazione Nega il Legame tra Reato Associativo e Reati Fine
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 8434 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione del reato continuato, specialmente in contesti di criminalità organizzata. La Corte ha escluso che si possa automaticamente presumere un unico disegno criminoso tra l’adesione a un’associazione mafiosa e i singoli reati commessi a distanza di tempo. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un individuo condannato con due sentenze distinte. La prima, del 2006, lo riconosceva colpevole del reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) e di un’estorsione commessa nel 2001. La seconda, del 2018, lo condannava per un episodio di rapina. L’interessato si è rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare la disciplina del reato continuato (art. 81 c.p.), sostenendo che tutti i delitti fossero frutto di un unico disegno criminoso legato alla sua appartenenza al sodalizio criminale.
Il Tribunale di Napoli, in qualità di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta. Contro questa decisione, l’individuo ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A suo dire, il giudice non avrebbe considerato che la continuazione era stata riconosciuta ad altri coimputati e che le modalità delle condotte estorsive erano analoghe.
La Questione Giuridica sul Reato Continuato e i Reati Associativi
Il nucleo della questione giuridica è il seguente: l’appartenenza a un’associazione criminale implica di per sé l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ che lega il reato associativo a tutti i successivi ‘reati fine’? Oppure è necessaria una prova più specifica che dimostri una programmazione unitaria e originaria di tali delitti?
La difesa sosteneva che la comune matrice associativa fosse sufficiente a dimostrare il vincolo della continuazione. La Cassazione, tuttavia, ha sposato una linea interpretativa più rigorosa, in linea con i suoi precedenti orientamenti.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’ e quindi inammissibile, confermando pienamente la decisione del Tribunale di Napoli. Le motivazioni si basano su alcuni punti cardine:
1. Il notevole lasso di tempo: I giudici hanno sottolineato come il considerevole intervallo temporale tra i reati rendesse ‘inverosimile’ l’ipotesi di una programmazione unitaria avvenuta ab origine, cioè sin dal momento dell’adesione all’associazione criminale. Un unico disegno criminoso richiede una deliberazione iniziale che comprenda, almeno nelle linee generali, tutti gli episodi delittuosi futuri.
2. La natura contingente dei reati fine: La Corte ha chiarito che i reati fine, pur rientrando nelle attività del sodalizio e servendo a rafforzarlo, non erano necessariamente programmabili ‘ab origine’. Spesso, essi sono legati a circostanze ed eventi ‘contingenti e occasionali’ o, comunque, ‘non immaginabili al momento iniziale dell’associazione’. L’adesione a un’associazione non può essere interpretata come un ‘assegno in bianco’ per considerare legati da continuazione tutti i futuri, e imprevedibili, delitti.
3. L’insussistenza di un automatismo: La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: ‘la circostanza che i fatti gravitino attorno alla compagine associativa non comporta affatto che tutte le azioni compiute siano legate dal nesso della continuazione’. È un errore, secondo la Corte, fondare la richiesta su un travisamento di questo principio. La prova del medesimo disegno criminoso deve essere fornita caso per caso e non può essere presunta dalla sola appartenenza al gruppo criminale.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di reato continuato applicato ai contesti di criminalità organizzata. La decisione stabilisce che per unificare le pene non basta dimostrare che i reati sono stati commessi nell’interesse o nell’ambito di una stessa associazione criminale. È invece indispensabile provare che i singoli reati fine fossero parte di un piano specifico, preordinato e concepito fin dal principio, e non la mera conseguenza di opportunità o necessità sorte nel tempo. Questa interpretazione ha importanti conseguenze pratiche, poiché impedisce un’applicazione estensiva e automatica di un trattamento sanzionatorio più favorevole in casi complessi di criminalità associativa, garantendo che ogni condotta sia valutata nella sua specificità.
Quando si può applicare il reato continuato tra un reato associativo e i reati fine?
Solo se i reati fine erano stati programmati ‘ab origine’, cioè sin dal momento dell’adesione all’associazione, e non sono il risultato di eventi contingenti, occasionali o non immaginabili al momento iniziale.
Un lungo lasso di tempo tra i reati influisce sul riconoscimento della continuazione?
Sì, secondo la Corte un notevole lasso di tempo trascorso tra la commissione dei reati rende inverosimile l’esistenza di una programmazione unica e originaria, elemento essenziale per il reato continuato.
Il fatto che i reati siano commessi nell’ambito della stessa associazione criminale è sufficiente per la continuazione?
No, la circostanza che i fatti delittuosi gravitino attorno alla stessa compagine associativa non comporta automaticamente che tutte le azioni siano legate dal nesso della continuazione. È necessario dimostrare un medesimo disegno criminoso specifico e preordinato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8434 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8434 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a POZZUOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 del TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiest COGNOME NOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. per. tra i reati oggetto sentenze emesse del Tribunale di Napoli del 15 giugno 2018 (per il reato di cui agli artt. 110, 8 628 comma 3 n. 1, art 7 I. 203 del 1991) e del 12 dicembre 2006 (per il reato di cui all’art. bis, commesso in Pozzuoli fino al 13 maggio 2003 e per il reato di cui all’art. 629 cod. pen. accertato in Pozzuoli il 9 agosto 2001);
Rilevato che con il ricorso si deduce violazione degli artt. 81 cod. pen., 671 cod. proc. pe e vizio di motivazione per non avere il giudice dell’esecuzione tenuto conto sia dell’avvenu riconoscimento del vincolo della continuazione tra successivi reati di estorsione e il delitto d all’art. 416 bis nei confronti di taluni coimputati nel medesimo processo sia delle analoghe modalità della condotta (attività estorsiva esercitata tra gli operatori commerciali) e pariment non aver specificato la pretesa estemporaneità delle condotte;
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso sono manifestamente infondate in quanto il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente argomentato in ordine all’insussistenza del medesimo disegno criminoso, ritenendo che, in assenza di altri elementi, il notevole lasso di tempo trascor tra la commissione dei reati renda inverosimile la programmazione ab origine, vale a dire sin dal momento dell’adesione all’associazione, del successivo delitto di estorsione.
Rilevato pertanto che il Tribunale ha correttamente escluso la configurabilità tra il rea associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attivii:à del sodalizio cri ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili ”ab origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, Rv. 275334);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze denunciano vizi d motivazione non emergenti dal provvedimento impugNOME e si fondano su un travisamento del principio di diritto sopra enunciato: la circostanza che i fatti gravitino attorno alla comp associativa non comporta affatto che tutte le azioni compiute siano legate dal nesso della continuazione;
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore dellia cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8/02/2024