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Reato continuato: la Cassazione sui limiti temporali

La Cassazione annulla parzialmente una decisione che riconosceva il reato continuato per truffe online commesse in un arco di sei anni. La Corte ha stabilito che un lasso di tempo così ampio tra i reati è un forte indizio contro l’esistenza di un unico disegno criminoso, distinguendolo dall’abitualità a delinquere. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: quando il tempo spezza il filo del disegno criminoso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19717 del 2024, è intervenuta su un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra reato continuato e abitualità nel commettere illeciti. Questa pronuncia chiarisce che un arco temporale eccessivamente lungo tra i delitti può essere un indice decisivo per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso, elemento fondamentale per l’applicazione del più favorevole istituto della continuazione. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere i limiti applicativi di questa figura giuridica, specialmente in contesti di criminalità seriale come le truffe online.

I fatti del caso: truffe online seriali e la decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Lecce, in funzione di Giudice dell’esecuzione, che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra ben ventisei sentenze di condanna per truffa a carico di un unico soggetto. Tali reati, tutti commessi online tra il 2009 e il 2014, erano stati unificati sotto un unico disegno criminoso, portando all’irrogazione di una pena complessiva unica. Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la condotta dell’imputato non rispecchiasse un piano unitario, ma piuttosto un’abitualità criminosa, una vera e propria “scelta di vita” dedita al crimine.

Il ricorso e la distinzione con il reato continuato

Il ricorrente ha evidenziato come l’enorme arco temporale dei fatti (dal 2008 al 2014), la diversità dei luoghi di consumazione e delle vittime fossero elementi sufficienti a escludere che tutti i reati potessero essere stati programmati sin dall’inizio. Secondo l’accusa, ricondurre ad un unico proposito la commissione di un numero imprecisato di reati per anni significava confondere il reato continuato con l’abitualità. L’istituto della continuazione, infatti, presuppone una programmazione iniziale, almeno nelle sue linee generali, di tutte le violazioni, mentre l’abitualità descrive una tendenza a delinquere che si manifesta in modo occasionale e contingente, seppur sistematico.

le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata limitatamente a uno dei reati, quello commesso nel 2014. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: il decorso di un ampio lasso di tempo tra le violazioni è un elemento decisivo, e tendenzialmente negativo, per poter affermare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

La Corte ha specificato che, sebbene il Giudice dell’esecuzione goda di autonomia nel valutare la sussistenza della continuazione, non può ignorare indici di segno contrario senza fornire una motivazione adeguata. Nel caso specifico, l’ordinanza del Tribunale è stata giudicata carente proprio su questo punto. La motivazione era meramente assertiva e non spiegava come un reato commesso nel 2014 potesse essere considerato parte di un piano originario concepito anni prima, nel 2008.

La Cassazione ha sottolineato che l’onere di allegare elementi specifici a sostegno dell’unicità del disegno criminoso grava sul condannato che ne chiede l’applicazione. Non è sufficiente invocare la contiguità cronologica o l’identità del tipo di reato, poiché questi elementi possono essere sintomatici tanto di un piano unitario quanto di una scelta di vita criminale. La differenza sta proprio nella programmazione iniziale: nel primo caso, i reati sono tappe di un progetto definito; nel secondo, sono manifestazioni di una propensione a delinquere che si rinnova nel tempo.

le conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza che l’istituto del reato continuato non può essere utilizzato per mitigare la pena di chi ha fatto del crimine la propria professione. Il fattore tempo assume un ruolo centrale: più ampio è l’intervallo tra i reati, più improbabile diventa l’esistenza di una programmazione unitaria. La Corte ha quindi rinviato gli atti al Giudice dell’esecuzione per un nuovo esame sul punto specifico del reato commesso nel 2014, che dovrà essere valutato alla luce dei rigorosi principi enunciati. Questa decisione serve da monito: la continuazione è un beneficio che richiede una prova concreta di un’unica volontà criminosa iniziale e non può essere presunta in presenza di una carriera criminale prolungata nel tempo.

Un lungo periodo di tempo tra un reato e l’altro esclude sempre il reato continuato?
No, non lo esclude automaticamente, ma secondo la Corte di Cassazione costituisce un indice negativo molto forte. In assenza di altri elementi che provino una programmazione unitaria iniziale, quanto più ampio è il lasso di tempo, tanto più è improbabile che venga riconosciuto il vincolo della continuazione.

Qual è la differenza tra ‘reato continuato’ e ‘abitualità criminosa’ secondo la Corte?
Il ‘reato continuato’ presuppone un ‘medesimo disegno criminoso’, cioè un piano unitario e predeterminato per commettere più reati. L”abitualità criminosa’, invece, descrive una scelta di vita ispirata alla commissione sistematica di illeciti, senza una programmazione iniziale complessiva, ma come espressione di una costante tendenza a delinquere.

Cosa deve dimostrare un condannato per ottenere il riconoscimento del reato continuato?
Il condannato ha l’onere di allegare elementi specifici e concreti che dimostrino l’esistenza di un unico disegno criminoso. Secondo la Corte, non è sufficiente il semplice riferimento alla vicinanza temporale degli addebiti o all’identità del tipo di reato, poiché questi indici da soli non bastano a distinguere un progetto unitario da una mera abitudine al crimine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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