Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9030 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9030 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/05/2023 del TRIBUNALE di SANTA NOME CAPUA VETERE
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con ordinanza del 22/5/2023, in funzione di giudice dell’esecuzione, pronunciandosi in ordine all’istanza proposta nell’interesse di NOME:
ha dichiarato inammissibile la richiesta di applicare la disciplina della continuazione tra i reati di cui ai fatti oggetto della sentenza emessa dal Giudice delle Indagini Preliminari di Cagliari il 13/11/2013, parzialmente riformata in appello in data 23/1/2015, irrevocabile il 21/4/2016, e quelli di cui alla sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 3/7/2015, irrevocabile il 15/6/2016, in quanto riproposizione di questione già decisa in data 17/5/2019;
b) ha dichiarato inammissibile la richiesta di rideterminare la pena irrogata dal
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza del 17/7/2019, irrevocabile il 30/9/2021, in aumento per i reati ritenuti dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 3/7/2015, in quanto la sentenza della n. 40 del 2019 della Corte costituzionale era già intervenuta allorché la sentenza è stata pronunciata e il calcolo degli aumenti di pena per i reati satellite è stato effettuato al di sotto dei limiti edittali;
c) ha rigettato la richiesta di applicare l’istituto della continuazione tra i fa ritenuti con la sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Cagliari il 13/11/2013, parzialmente riformata in appello in data 23/1/2015, irrevocabile il 21/4/2016, e quelli di cui alla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 18/7/2019, irrevocabile il 24/11/2020, in quanto i fatti, benché si riferiscano sempre a violazioni in materia di stupefacenti, sono stati commessi con modalità diverse, in luoghi diversi e con modalità differenti.
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso l’interessato, che a mezzo del difensore, in un unico motivo, ha articolato distinte doglianze e ha dedotto il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la valutazione del giudice dell’esecuzione sarebbe contraddittoria e illogica e, comunque, fondata su presupposti di fatto errati. In ordine alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di continuazione tra la sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Cagliari il 13/11/20913 e quella del Giudice per le Indagini Preliminari di Santa Maria Capua Vetere del 3/7/2015 il ricorrente rileva che il riferimento al precedente diniego pronunciato dal giudice dell’esecuzione con l’ordinanza del 17/5/2019 sarebbe errato e improprio, ciò in quanto l’attuale istanza si fonderebbe su presupposti diversi come, ad esempio, la richiesta di considerare i fatti oggetto dell’ulteriore sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 17/7/2019. Il rigetto della richiesta di applicare la disciplina della continuazione tra la sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari di Cagliari il 13/11/2013 e quella del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17/7/2019, poi, sarebbe la conseguenza di un errore di valutazione in cui sarebbe incorso il giudice della cognizione, poi reiterato dal giudice dell’esecuzione, che non avrebbe tenuto nel dovuto conto che il ricorrente aveva sempre e comunque operato esclusivamente da Castelvolturno. Quanto, infine, alla dichiarazione di inammissibilità di rideterminare gli aumenti di pena applicati in continuazione con la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17/7/2019 per i reati oggetto della sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del medesimo Tribunale del 3/7/2015, la difesa rileva come questa si fondi su di una presunzione, che la questione è stata posta nel giudizio di appello, e sia comunque errata in diritto in quanto gli aumenti di pena per i reati fine, seppure quantificati in un solo mese, sono comunque riferibili a una cornice edittale dichiarata incostituzionale.
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In data 17 ottobre 2023 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo la difesa articola nella sostanza tre diverse censure.
2.1. Nella prima deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra la sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Cagliari e quella del Giudice per le Indagini Preliminari di Santa Maria Capua Vetere.
La doglianza è manifestamente infondata.
Come correttamente evidenziato nel provvedimento impugnato la questione è stata già posta e decisa del giudice dell’esecuzione con l’ordinanza del 17 maggio 2019 e, quanto meno allo stato, non sono stati evidenziati elementi di novità tali da imporre una nuova valutazione una diversa decisione sul punto.
L’ordinanza ora impugnata, d’altro canto, richiama testualmente il precedente provvedimento, dando conto e atto che tra i fatti vi era una distanza temporale, oltre che il luogo differente di commissione e contestazione, di circa sette anni. Ragione questa per la quale il fatto per cui nell’odierna richiesta siano stati indicati anche reati oggetto di un’ulteriore sentenza appare del tutto irrilevante, ciò soprattutto considerato che i fatti oggetto dell’ultima pronuncia (quella indicata al punto 3 dal ricorrente) sono del 2015, cioè temporalmente e spazialmente contigui a quelli oggetto della sentenza di cui al punto 2, quella del giudice di Santa Maria Capua Vetere, anche questi distanti sette anni da quelli oggetto della sentenza pronunciata dal giudice di Cagliari.
2.2. Nella seconda la difesa censura la mancata applicazione della disciplina del reato continuato tra i fatti oggetto della sentenza pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari di Cagliari il 13/11/2013 e quelli della decisione emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17/7/2019 in quanto il diniego sarebbe la conseguenza di un errore di valutazione in cui sarebbero incorsi sia il giudice della cognizione che quello dell’esecuzione che non hanno tenuto nel dovuto conto che il ricorrente aveva sempre e comunque operato esclusivamente da Castelvolturno.
La doglianza è manifestamente infondata.
2.2.1. Al fine di verificare la possibilità di applicare la disciplina del reat continuato di cui all’art. art. 81 comma secondo cod. pen. il giudice di merito è
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tenuto -attraverso un concreto esame dei tempi e delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse e giudicate- a individuare l’esistenza di elementi dai quali desumere la sostanziale unicità del disegno criminoso tra le condotte poste in essere.
In una corretta prospettiva sistematica, infatti, il trattamento più mite rispetto al cumulo materiale è giustificato dall’esistenza di una rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici -almeno nelle loro linee essenziali- da parte del soggetto agente così da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose.
Ciò perché la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato né, evidentemente, consentono l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite (Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023. COGNOME, Rv. 284420 – 01; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, COGNOME., Rv. 260896 – 01; Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, COGNOME, Rv. 248862 – 01).
La giurisprudenza di legittimità nel corso del tempo ha indicato quali possibili “indici rivelatori” della effettiva preordinazione unitaria: a) la ridot distanza cronologica tra i diversi fatti; b) le concrete modalità della condotta; c) l’omogeneità del bene tutelato dalle previsioni incriminatrici; d) l’apprezzamento della causale e delle condizioni di tempo e luogo delle singole violazioni, aggiungendo che risulta possibile valorizzare anche soltanto alcuni di detti elementi purché significativi (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266413 01; Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254809 – 01; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del disegno criminoso, in altre parole, non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a commettere dei reati (cfr. ancora Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01 e giurisprudenza in precedenza indicata).
La nozione di continuazione, d’altro canto, non può neanche ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previst in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, in quanto tale definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno”, porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle situazioni di fatto e la lo prevedibilità, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, è che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine, concreto e specifico, che può essere ab origine anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale -seppure con una riserva di ‘adattamento alle eventualità del caso- come mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento prefissato (in tal senso di nuovo Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 259094 – 01; Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, P., Rv. 246838 – 01
La difficoltà di applicazione pratica dell’istituto deriva dalla natura indiziaria di tale tipologia di accertamento che impone di risalire dai fatti commessi (evidenza obiettiva) a un aspetto di tipo eminentemente psichico (che si pone come antecedente ideologico), rappresentato dalla unitaria programmazione nell’ambito di una finalità ben individuata e circoscritta.
In questa prospettiva, ad esempio, le decisioni che riconoscono una particolare valenza all’indicatore logico della ‘non eccessiva distanza temporale’ tra le violazioni realizzano, pertanto, una opportuna autolimitazione della discrezionalità affidandosi ad una massima di esperienza che può essere ritenuta ragionevole (cfr. Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266413 – 01; Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258543 – 01
Ciò perché l’elemento teleologico richiesto dal legislatore non può coincidere con un finalismo del tutto generico -come in ipotesi l’obiettivo dell’agente di realizzare profitti illeciti attraverso una tendenziale dedizione al crimine sì da soddisfare in tal modo, per un tempo consistente, i propri bisogni di vita- posto che ciò finirebbe con il contraddire la natura stessa dell’istituto quale norma di favore, tesa a mitigare il rigore del cumulo materiale nei confronti dell’agente che abbia mostrato una ridotta capacità criminale.
Da ciò deriva che un consistente intervallo temporale tra un episodio e quello successivo, salve le ipotesi in cui si rinvenga una chiara ragione giustificatrice di una attuazione temporalmente frazionata di un fine specifico, è indicatore logico di una successione di azioni sorrette da ideazione autonome o comunque orientate a realizzare più che una finalità circoscritta (come richiesto dalla norma) una tendenza soggettiva indeterminata ed ampia.
2.2.2. Nel caso di specie, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, il giudice dell’esecuzione ha dato conto di avere adeguatamente valutato tutti gli elementi e la motivazione sul punto risulta conforme ai principi indicati.
La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, con il riferimento alla diversità delle condotte e alla lungo lasso di tempo intercorso, circa sette anni, ha dato adeguato e coerente conto della conclusione cui è pervenuto quanto alla
mancanza di elementi dai quali poter inferire che il ricorrente negli anni 2008 e 2009, allorché si è occupato di trasportare stupefacenti a Cagliari, si fosse anche solo prefigurato che circa sette anni dopo, tra il novembre 2014 e il febbraio 2015, avrebbe poi commesso ulteriori e numerosi reati, episodi di acquisto, detenzione al fine di cessione e cessione di sostanza stupefacente, a Castelvolturno.
2.3. Nella terza la difesa censura la dichiarazione di inammissibilità di , ?A rideterminare gli aumenti di pena applicati in continuazione con la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17/7/2019 per i reati oggetto della sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del medesimo Tribunale del 3/7/2015.
La doglianza è manifestamente infondata.
Anche in ordine a tale richiesta, al di là dell’affermazione secondo la quale questa “è questione che avrà certamente fatto parte dei motivi di appello”, la conclusione del giudice dell’esecuzione risulta corretta e la motivazione sul punto è adeguata.
Come coerentemente evidenziato, infatti, Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nella sentenza del 17/7/2019, riconosciuta la continuazione con i fatti già giudicati dal Giudice per le Indagini Preliminari di Santa Maria Capua Vetere, ha applicato degli aumenti di pena contenuti in 1 mese per ogni episodio, determinando l’aumento complessivo in anni 1 e mesi 9, applicando così un trattamento sanzionatorio inferiore a quello operato dal giudice per le indagini preliminari, peraltro in un periodo successivo alla pronuncia della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale per cui la pena, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non può ritenersi eccessiva neanche sotto tale profilo.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle tu GLYPHspese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 novembre 2023.