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Reato continuato: la Cassazione annulla con rinvio

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di una Corte d’Appello che negava l’applicazione del reato continuato a un condannato per più reati di droga. La Corte ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione avesse erroneamente valutato i fatti, ignorando la vicinanza temporale dei crimini e l’identità dei complici, elementi chiave per riconoscere un unico disegno criminoso. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato in Fase Esecutiva: Quando il Giudice Deve Riconsiderare i Fatti

L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un principio di favore per il reo, consentendo di unificare più condotte illecite sotto un’unica pena, a condizione che siano state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5847/2024) ha ribadito l’importanza di una valutazione attenta e precisa dei fatti da parte del giudice dell’esecuzione quando si trova a decidere su tale istituto. Vediamo nel dettaglio la vicenda.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato con due diverse sentenze definitive per una serie di reati legati al traffico di sostanze stupefacenti, aveva presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione. La richiesta mirava a ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato, sostenendo che tutti i crimini, sebbene giudicati separatamente, fossero in realtà parte di un unico piano criminale.

Le condotte contestate includevano:
1. Un’associazione finalizzata al traffico di droga e vari episodi di produzione e detenzione, commessi tra marzo e ottobre 2012 e giudicati dalla Corte di Appello di Napoli.
2. Ulteriori reati di produzione, traffico e detenzione di stupefacenti, commessi tra giugno e luglio 2011 e giudicati dalla Corte di Appello di Roma.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello di Roma, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la richiesta. Secondo i giudici, non vi era prova di un unico disegno criminoso, poiché i reati mancavano di contiguità temporale, erano stati commessi in luoghi diversi e con l’ausilio di complici differenti.

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione. In particolare, ha sottolineato che il giudice non aveva considerato che i reati erano stati commessi in un arco temporale di soli otto mesi e, soprattutto, con il coinvolgimento dei medesimi complici.

L’Analisi della Corte di Cassazione sul Reato Continuato

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione dell’ordinanza impugnata ‘incongrua’ e basata su un palese travisamento dei fatti. I giudici di legittimità hanno ricordato che, per riconoscere il reato continuato, è necessario verificare l’esistenza di un’unitaria progettualità degli illeciti. Questa verifica deve basarsi su indici esteriori e significativi, come:

* La vicinanza temporale tra le condotte.
* L’omogeneità dei reati.
* La similarità delle modalità di esecuzione.
* L’identità dei complici.

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha evidenziato come il giudice dell’esecuzione avesse commesso un errore cruciale nel valutare la diversità dei correi. Infatti, i complici nei due procedimenti erano le stesse persone, un dato che era stato completamente travisato nell’ordinanza impugnata. Questo elemento, unito alla natura omogenea dei reati e al limitato arco temporale in cui si erano svolti, costituiva un forte indizio a favore dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, che avrebbe meritato un esame più approfondito.

Le Motivazioni

La Cassazione ha affermato che l’applicazione del reato continuato in sede esecutiva impone una riconsiderazione dei fatti giudicati, finalizzata proprio a verificare la prospettata unitarietà del progetto criminale. La motivazione dell’ordinanza della Corte d’Appello è stata giudicata inadeguata e priva di un’effettiva valutazione dei singoli fatti di reato. Il giudice di merito ha travisato un dato fondamentale, quello relativo alla partecipazione degli stessi complici, senza il quale la sua decisione risulta priva di una base logica e fattuale solida. La Corte ha quindi sottolineato che un’analisi superficiale o basata su presupposti errati non può giustificare il rigetto di un’istanza così rilevante per la determinazione della pena complessiva.

Le Conclusioni

Alla luce di questi principi, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha disposto il rinvio degli atti alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame della richiesta. Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’applicazione del reato continuato, deve condurre un’analisi rigorosa e completa di tutti gli indicatori fattuali, senza incorrere in travisamenti che possano compromettere l’esito del giudizio e i diritti del condannato.

Quando si può chiedere l’applicazione del reato continuato dopo la condanna definitiva?
Si può chiedere in fase esecutiva, davanti al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, anche quando i reati sono stati giudicati con sentenze diverse divenute irrevocabili.

Quali elementi deve valutare il giudice per riconoscere il reato continuato?
Il giudice deve verificare la sussistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ basandosi su indici esteriori quali l’omogeneità dei reati, la vicinanza temporale, le modalità della condotta e, come sottolineato in questo caso, l’identità dei complici.

Cosa accade se il giudice dell’esecuzione sbaglia a valutare i fatti?
La sua ordinanza può essere impugnata davanti alla Corte di Cassazione. Se la Cassazione riscontra un’errata valutazione dei fatti (‘travisamento’) o una motivazione illogica, come avvenuto nel caso di specie, annulla il provvedimento e rinvia il caso a un altro giudice per una nuova e corretta decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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