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Reato continuato: inammissibile il ricorso senza critica

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di stupefacenti. I giudici hanno stabilito che i motivi di ricorso, riguardanti la qualificazione del reato e la motivazione della pena per il reato continuato, erano una mera ripetizione di argomentazioni già respinte nei gradi di merito e, in parte, basati su un presupposto errato, poiché la motivazione richiesta era in realtà presente nella sentenza di primo grado. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato e Motivazione della Pena: La Cassazione Fa Chiarezza

L’istituto del reato continuato è uno strumento fondamentale nel diritto penale per la determinazione della pena, ma il suo corretto utilizzo processuale richiede precisione e rigore, sia da parte del giudice che della difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 12260 del 2024, offre spunti cruciali su come devono essere motivati gli aumenti di pena e quali requisiti deve avere un ricorso per non essere dichiarato inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un soggetto per una serie di reati legati alla cessione di sostanze stupefacenti. Sia il Tribunale in primo grado, con rito abbreviato, sia la Corte d’Appello avevano confermato la sua responsabilità penale. La pena era stata calcolata applicando la disciplina del reato continuato, riconoscendo cioè un unico disegno criminoso dietro le diverse cessioni. Erano state concesse le attenuanti generiche, ma bilanciate come equivalenti alla recidiva.

Contro la sentenza d’appello, la difesa proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due specifiche censure.

I Motivi del Ricorso e la Disciplina del Reato Continuato

I motivi presentati dalla difesa miravano a smontare l’impianto sanzionatorio della sentenza impugnata. In particolare, si lamentava:

1. La mancata derubricazione dei fatti: Si sosteneva che le condotte dovessero essere inquadrate nell’ipotesi di reato meno grave di spaccio di lieve entità, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990.
2. La totale assenza di motivazione sugli aumenti di pena: La difesa eccepiva una violazione del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza “Pizzone” del 2021). Secondo tale principio, nel determinare la pena per il reato continuato, il giudice deve non solo individuare il reato più grave e la pena base, ma anche calcolare e motivare in modo distinto l’aumento di pena per ciascuno dei cosiddetti “reati satellite”.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo “manifestamente infondato”. Le argomentazioni della Suprema Corte sono state nette e precise, fornendo una lezione sulla tecnica redazionale dei ricorsi.

In primo luogo, la Corte ha osservato che la prima doglianza era una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti dai giudici di merito. I giudici d’appello, infatti, avevano già sottolineato il “profilo organizzativo dell’agire dell’imputato” per escludere la lieve entità. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a ripetere le stesse argomentazioni, ma deve contenere una critica specifica e puntuale del ragionamento giuridico della sentenza che si impugna.

Ancora più decisiva è stata la risposta al secondo motivo. La Corte ha rilevato che la critica, pur richiamando un principio di diritto corretto e condivisibile, si basava su un presupposto di fatto errato. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la sentenza di primo grado (a pagina 36) aveva specificamente indicato gli aumenti di pena applicati per ciascuno dei reati satellite, rispettando pienamente il dettato delle Sezioni Unite. La censura era, quindi, palesemente infondata perché non teneva conto del reale contenuto del provvedimento impugnato.

Le Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione ribadisce due principi fondamentali. Il primo è che il ricorso per cassazione deve essere specifico e non meramente ripetitivo delle argomentazioni già disattese. È necessario un confronto critico con la motivazione della sentenza d’appello, evidenziandone eventuali vizi logici o giuridici. Il secondo principio, più pratico ma altrettanto importante, è che le censure devono basarsi su un’attenta lettura degli atti processuali. Contestare un’assenza di motivazione quando questa è invece presente rende il ricorso manifestamente infondato. La conseguenza, come in questo caso, è la declaratoria di inammissibilità, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi già respinti in appello?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che un ricorso non può essere una mera reiterazione di profili di censura già adeguatamente esaminati e disattesi. È necessaria una specifica critica delle argomentazioni a base della decisione impugnata.

Come deve essere motivato dal giudice l’aumento di pena in caso di reato continuato?
In linea con il principio affermato dalle Sezioni Unite, il giudice, nel determinare la pena complessiva, deve calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, e non in modo generico o forfettario.

Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri un’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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