Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36727 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36727 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/01/2024 del TRIBUNALE di FOGGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letteYTeTt ritO le conclusioni del PG ck p tfahval del
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo, il Tribunale di Foggia, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME, tesa a ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato in executivis, in relazione a reati separatamente giudicati in sede di cognizione e, segnatamente, tra i reati di cui agli artt. 582 cod. pen. e 4 I. n. 895 del 1967, commessi in Lucera il 4 agosto 2019, giudicati con la sentenza della Corte di appello di Bari in data 8 gennaio 2021, irrevocabile il 20 aprile 2022, e quello di cui all’art. 23 I. n. 1 del 1975, commesso in Lucera il 14 dicembre 2019, giudicato con la sentenza della Corte di appello di Bari in data 23 febbraio 2021, irrevocabile il 9 lugli 2021.
A ragione della decisione il Tribunale poneva l’apoditticità dell’affermazione contenuta nell’istanza, inerente all’identità dell’arma oggetto delle due pronunce, siccome fondata sulla sola parola resa dall’imputato in sede di dichiarazioni spontanee nel corso del primo dei due giudizi, ritenendo indispensabile l’allegazione di dati tecnici a conforto di tale assunto, ciò che unicamente avrebbe consentito di ritenere plausibile la tesi dell’unicità del disegno criminoso.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione COGNOME, per mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, affidato a un unico, articolato motivo.
Si censura la violazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. e il correlato vizio di illogicità della motivazione sull’insussistenza dell’unicità d disegno criminoso.
In primo luogo, si lamenta la mancata valutazione della circostanza, emergente dalla motivazione della prima delle due sentenze suindicate, che attesterebbe come – nella parametrazione della pena – il Giudice del merito avesse considerato, tra gli altri elementi, la natura clandestina dell’arma, quale emergente dalla successiva condanna di COGNOME – all’epoca non ancora irrevocabile – per il reato di cui all’art. 23 l n. 110 del 1975, così mostrando di aderire al tesi dell’imputato sull’identità dell’arma stessa.
In secondo luogo, è avversata l’affermazione del Giudice dell’esecuzione secondo cui sarebbe mancata l’allegazione di «dati tecnici», in realtà inesistenti, perché in occasione del primo dei due reati in materia di armi, commesso il 4 agosto 2019, non furono repertati bossoli, né fu ritrovata l’arma del delitto (sottoposta a sequestro solo successivamente, nel dicembre dello stesso anno).
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Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, con requisitoria scritta depositata il 20 aprile 2024, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Secondo quanto questa Corte ha autorevolmente ribadito (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074), il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita e rigorosa verifica, onde riscontrare se effettivamente, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.
L’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i quali, seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094).
Da quest’ultima non si può prescindere, giacché la ratio della disciplina va ravvisata, con riferimento all’aspetto intellettivo, nell’iniziale previsione de ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente e, in relazione al profilo della volontà, nell’elaborazione di un programma di massima, ancorché richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, ulteriori specifiche volizioni (Sez. 1, n. 34502 del 02/07/2015, Bordoni, Rv. 264294).
La giurisprudenza di legittimità è unanime nell’affermare che il riscontro della serie di elementi rilevanti al fine di stabilire l’unicità di disegno criminoso serie potenzialmente includente le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità delle azioni in rapporto alle abitudini di vita, e ogni altro aspetto grado di riflettere l’unicità o pluralità delle originarie determinazioni – è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamenti di fatto (fra molte, Sez. 1, n. 354 del 28/01/1991, Livieri, Rv. 187740).
Per ciò che qui specificamente interessa, fermo è il principio espresso dalla Corte di legittimità secondo cui, a chi chiede il riconoscimento del vincolo di continuazione tra più reati giudicati con distinte decisioni, incombe l’onere di indicare i reati legati tra loro dall’unicità del disegno criminoso e, quantomeno, di
prospettare, come per ogni aspetto che attiene alla psiche e alla volontà dell’agente, specifici elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria.
Non spetta, invece, al condannato l’onere di provare tale unicità. È «il giudice dell’esecuzione che, tenuto conto delle allegazioni difensive e attraverso l’approfondita disamina dei casi giudiziari oggetto delle sentenze acquisite anche di ufficio, deve individuare i dati sostanziali di possibile collegamento» (Sez. 1, n. 28762 del 28/04/2023, COGNOME NOME COGNOME, Rv. 284970).
Esaminata in tale cornice ermeneutica, la motivazione del Giudice dell’esecuzione si espone al lamentato profilo d’illogicità, poiché imperniata esclusivamente sull’asserita apodittistja mancanza di elementi sulla base dei quali ritenere che l’arma che COGNOME, nell’agosto del 2019, detenne illecitamente e portò fuori dalla propria abitazione, al fine di commettere il coevo reato di lesioni, fosse quella oggetto di sequestro presso la sua abitazione, nel dicembre dello stesso anno, fatto per il quale egli è stato condannato per il reato di cui all’art. 23 I. n. 110 del 1975 con la sentenza della Corte di appello di Bari del 23 febbraio 2021, irrevocabile il 9 luglio 2021.
L’identità dell’arma, al contrario, è già stata affermata con la sentenza della Corte di appello di Bari in data 8 gennaio 2021, divenuta cosa giudicata il 20 aprile 2022, tanto da costituire elemento incidente in peius nella dosimetria della pena in quell’occasione irrogata che, difatti, è stata parametrata in misura superiore al minimo editale proprio in considerazione della natura clandestina dell’arma in parola (così nella motivazione della citata sentenza, in atti).
La motivazione del Tribunale, esclusivamente incentrata sul dato, errato, dell’assenza di prova dell’identità dell’arma e che ha, invece, trascurato di scrutinare il tema, imprescindibile ai fini della riconoscibilità del medesimo disegno criminoso, della progettazione ab origine degli illeciti oggetto delle sentenze di condanna, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali, impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione (cfr. Corte cost., n. 183 del 2013), per un nuovo esame, libero negli siti, ma condotto nel rispetto dei principi di diritto indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Foggia in diversa composizione.
Così deciso il 14 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente