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Reato continuato in appello: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di spaccio ed estorsione, annullando con rinvio la sentenza d’appello su punti cruciali. L’imputato era stato condannato per aver ceduto droga e per aver minacciato l’acquirente per recuperare il credito. La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso relativo al reato continuato, stabilendo che la richiesta di applicazione di tale istituto è ammissibile in appello anche se una delle sentenze di riferimento è divenuta irrevocabile dopo la scadenza dei termini per l’impugnazione. La Cassazione ha inoltre annullato la sentenza per mancanza di motivazione sulla recidiva e su un’aggravante, rinviando il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato in Appello: la Cassazione chiarisce i termini per la richiesta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Num. 16533/2025) offre importanti chiarimenti sulla disciplina del reato continuato, in particolare sulle modalità e tempistiche per richiederne l’applicazione nel giudizio di appello. La decisione interviene in un caso complesso che intreccia reati di spaccio di sostanze stupefacenti e tentata estorsione, fornendo principi fondamentali per la difesa. L’analisi si concentra sulla possibilità di unificare sotto il vincolo della continuazione fatti giudicati con sentenze divenute irrevocabili in momenti diversi del processo.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un uomo per diversi reati. In primo grado, il Tribunale lo aveva ritenuto responsabile di:
1. Cessione di sostanze stupefacenti (cocaina) in due distinte occasioni a un acquirente (capo 1).
2. Estorsione, per essersi impossessato con minacce di un’autovettura di cui l’acquirente della droga aveva la disponibilità, al fine di recuperare il credito illecito (capo 2).
3. Tentata estorsione nei confronti dello stesso soggetto per un’ulteriore pretesa economica (capo 3).

La pena inflitta era di sei anni di reclusione e 2.000 euro di multa.

Il Giudizio d’Appello e i motivi di ricorso

La Corte di Appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado: ha assolto l’imputato dal capo 3 per insussistenza del fatto e ha riqualificato l’estorsione del capo 2 in tentata estorsione, confermando però la pena inflitta.

Avverso questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione basato su quattro motivi principali. Tra questi, spiccava la censura contro la decisione della Corte d’Appello di dichiarare inammissibile la richiesta di applicazione del reato continuato. La difesa aveva chiesto di unificare la pena di questo procedimento con quelle di altre due sentenze divenute irrevocabili. La Corte territoriale aveva rigettato l’istanza sostenendo che fosse stata presentata per la prima volta in appello, nonostante una delle sentenze fosse già definitiva prima della conclusione del primo grado.

La disciplina del reato continuato e la decisione della Cassazione

Il punto cruciale del ricorso riguardava la procedura per richiedere il reato continuato. La difesa lamentava che la Corte d’Appello avesse errato, poiché una delle sentenze indicate era divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per proporre appello avverso la sentenza di primo grado. Pertanto, la richiesta non avrebbe potuto essere formulata prima.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo. Gli Ermellini hanno chiarito che, quando una sentenza di condanna diventa irrevocabile dopo la scadenza del termine per impugnare, la richiesta di applicazione della continuazione è ammissibile se avanzata con motivi nuovi in appello, a condizione che sia corredata dalla documentazione necessaria. Nel caso di specie, la difesa aveva depositato una memoria con motivi nuovi prima dell’udienza d’appello, indicando le sentenze irrevocabili. Questo adempimento era sufficiente per obbligare il giudice d’appello a pronunciarsi nel merito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha affermato che il giudice d’appello, di fronte a una richiesta tempestiva e documentata di applicazione della continuazione, non può sottrarsi alla decisione. Omettere di considerare che una delle sentenze era divenuta definitiva dopo la scadenza dei termini per l’appello costituisce un vizio di motivazione.

Oltre al tema della continuazione, la Cassazione ha accolto anche i motivi relativi alla mancanza di motivazione sulla recidiva e sull’aggravante delle più persone riunite. La Corte d’Appello non aveva fornito una giustificazione adeguata né sull’aumento di pena per la recidiva, né sulla sussistenza dell’aggravante. Per questi motivi, la sentenza è stata annullata con rinvio limitatamente a questi punti e al trattamento sanzionatorio complessivo, che dovrà essere ricalcolato tenendo conto anche dell’eventuale applicazione del reato continuato.

Sono stati invece rigettati gli altri motivi, tra cui quelli sulla valutazione delle prove per il reato di spaccio e sulla qualificazione della tentata estorsione. La responsabilità penale dell’imputato per i fatti-reato è quindi divenuta irrevocabile.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio procedurale di grande importanza pratica: la richiesta di applicazione del reato continuato può essere validamente presentata per la prima volta in appello, tramite motivi nuovi, quando una delle sentenze da unificare è divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per l’impugnazione principale. Questa decisione garantisce il diritto di difesa e il favor rei, consentendo all’imputato di beneficiare del trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dall’istituto della continuazione anche in situazioni processuali complesse. La Corte di Appello, in sede di rinvio, dovrà ora riesaminare il caso attenendosi ai principi espressi dalla Cassazione, procedendo a una nuova valutazione sulla continuazione, sulle circostanze e sulla determinazione finale della pena.

È possibile chiedere l’applicazione del reato continuato per la prima volta in appello?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta è ammissibile in appello se viene avanzata con motivi nuovi e se una delle sentenze da unificare è diventata irrevocabile dopo la scadenza del termine per impugnare la sentenza di primo grado.

Cosa succede se la Corte d’Appello non motiva la decisione su una circostanza aggravante?
La mancanza di motivazione su un’aggravante, come quella delle più persone riunite o sulla recidiva, costituisce un vizio della sentenza. La Corte di Cassazione può annullare la sentenza su quel punto, con rinvio a un nuovo giudice d’appello per una nuova valutazione.

Le minacce per ottenere il pagamento di un debito derivante dalla vendita di droga costituiscono estorsione?
Sì. Secondo la giurisprudenza citata, la condotta minacciosa o violenta finalizzata a costringere l’acquirente di sostanze stupefacenti a pagarne il prezzo integra il delitto di estorsione (o tentata estorsione), in quanto si tratta dell’esercizio di una pretesa non tutelabile dall’ordinamento giuridico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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