Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13935 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13935 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CUI 03ITICW) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/07/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, in epigrafe indicata, con cui è stata confermata la pronuncia del Tribunale di Vicenza di condanna alla pena di anni 2, mesi 4 di reclusione ed euro 6000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90.
All’imputato era contestato di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illecitamente coltivato n. 9 piante di sostanza stupefacente del tipo marijuana e detenuto gr. 322,766 della medesima sostanza, contenente grammi 23,657 di principio attivo.
La difesa ha articolato i seguenti motivi di ricorso.
Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 e 163 c.p. in relazione al diniego del riconoscimento della continuazione e della concessione della sospensione condizionale della pena.
II) Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 671, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen.; mancanza di motivazione circa l’omesso riconoscimento della continuazione prevista da tale norma.
III) Contraddittorietà della motivazione, risultante dal testo della sentenza impugnata relativamente al diniego del riconoscimento della continuazione, della concessione della sospensione condizionale della pena e delle circostanze attenuanti generiche.
IV) Contraddittorietà della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata in relazione alla conferma dell’aumento della pena per il fatto di coltivazione della sostanza stupefacente.
Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 20 bis c.p. e correlato vizio di motivazione circa la mancata applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo ed secondo motivo, attinenti al mancato riconoscimento della continuazione “esterna”, sono reiterativi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale con argomentazioni del tutto corrette in diritto. I giudici di merito hanno evidenziato come il notevole lasso di tempo intercorso tra i fatti di cui al presente giudizio e quelli oggetto della sentenz irrevocabile non consentisse di ritenere che l’imputato, al momento della commissione del primo reato, avesse già preordinato, sia pure nelle sue linee essenziali, la realizzazione della condotta per la quale si procede. La motivazione è conforme ai principi stabiliti in questa sede, in base ai quali deve tenersi distinta la continuazione, la quale postula una programmazione previamente
ideata, dalla generica inclinazione alla commissione di reati (cfr., ex multis, Sez. 2 n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, Qomiha, Rv. 284420:”In tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula un programma di condotte illecite previamente ideato e voluto, ma non si identifica con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato”).
Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso: la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è assistita da congrua motivazione, avendo la Corte d’appello evidenziato la gravità del fatto e la negativa personalità dell’imputato. Invero, ai fini della concessione del beneficio invocato, non è richiesto che il giudice di merito consideri tutti gli elementi all’uopo valutabili contenuti nell’art. 133 cod, pen., dovendo ritenersi sufficiente il richiamo soltanto ad alcuno di essi, ritenuti prevalenti rispetto agli al elementi (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02:”Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente”). La contraddizione rilevata dalla difesa nel ricorso è soltanto apparente: la Corte di merito, nella parte dedicata al diniego delle circostanze attenuanti generiche, nel definire “recente” la precedente condanna, intendeva sottolineare che essa è intervenuta nel quinquennio, infatti precisa subito dopo che la condanna è divenuta irrevocabile tre anni prima dei fatti per cui si procede. Il riferimento evidenziato dalla difesa nel ricorso non incide sulla correttezza della motivazione adottata ai fini del diniego della continuazione esterna. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto al motivo quarto di ricorso, la Corte d’appello, facendo uso dei poteri che le competono di piena cognizione del fatto, ha confermato l’aumento di pena per la continuazione interna riconosciuto dal primo giudice, provvedendo a correggere la motivazione perplessa del Tribunale (cfr. Sez. 5, n. 11920 del 27/10/2004, dep. 2005, Cinelli, Rv. 231702 — 01: “In tema di appello, non costituisce motivo di nullità della sentenza di primo grado una motivazione totalmente errata, potendo il secondo giudice, che ritenga di confermare il dispositivo della sentenza di primo grado, sostituire integralmente la motivazione di questa”).
In ordine al quinto motivo di ricorso s osserva: la Corte di appello, nell’affermare che la pena inflitta all’imputato non consente di accedere alle pene sostitutive richieste ha evidentemente inteso riferirsi alla pena complessiva
derivante dalla condanna precedente per la quale era stata revocata la sospensione condizionale. Ad ogni modo è possibile evincere dai complesso argomentativo della sentenza, nella parte in cui la corte di appello si sofferma sulla negativa personalità dell’imputato, un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva.
Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616, cod. proc. pen., al versamento della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in data 20 marzo 2024
Il Consigliere estensore
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