Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47347 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Rizziconi il 19/10/1963
avverso l’ordinanza del 07/03/2024 della Corte di Appello di Reggio Calabria
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria con la quale l’avv. NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 7 marzo 2024, ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME di ritenere ai sensi degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. la continuazione tra i reati di cui alle sentenze:
-n. 2115/1995 emessa dalla Corte di Appello di Milano il 9 giugno 1995, irrevocabile il 10 giugno 1996 per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/1990, commesso a Milano il 20 agosto 1991 e per quello di cui all’art. 648 cod. pen., commesso a Villa San Giovanni fino al gennaio 1992;
-n. 290/2020 emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 10 giugno 2020, irrevocabile il 27 ottobre 2022, per il reato di cui all’art. 416 bis, commi primo, terzo, quarto e quinto, cod. pen., commesso fino a ottobre 2012 a Gioia Tauro, Roma e comuni viciniori, nonché per il reato di cui all’art. 12 quinques d.l. 306/1992 aggravato ex art. 7 I. 203/1991, commesso a Gioia Tauro, Roma, Terni, Tivoli, Guidonia e Grottaferrata.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione del giudice sarebbe errata in quanto non sarebbe stato adeguatamente valutato quanto emerge dalle sentenze e cioè che le condotte si inseriscono nel medesimo contesto criminoso al quale il ricorrente appartiene sin dagli anni ’90, che il reato in materia di stupefacenti risulta essere stato commesso in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, soggetti intranei alla cosca COGNOME, che vi era un evidente collegamento tra le indagini dei procedimenti “Mediterraneo” e “Tirreno” e che l’acquisto della sostanza era stato commissionato e finanziato proprio dal gruppo COGNOME.
In data 4 luglio 2024 è pervenuta in cancelleria una memoria con la quale l’avv. NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
In data 3 settembre 2024 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che il giudice dell’esecuzione non avrebbe adeguatamente considerato che il reato in materia di stupefacenti si inseriva nel medesimo contesto criminale nel quale operava e ha poi successivamente operato l’associazione oggetto della seconda condanna.
La doglianza è infondata.
2.1. Al fine di verificare la possibilità di applicare la disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. art. 81 comma secondo cod. pen. il giudice di merito è tenuto – attraverso un concreto esame dei tempi e delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse e giudicate – a individuare
l’esistenza di elementi dai quali desumere la sostanziale unicità del disegno criminoso tra le condotte poste in essere.
In una corretta prospettiva sistematica, infatti, il trattamento più mite rispetto al cumulo materiale è giustificato dall’esistenza di una rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici – almeno nelle loro linee essenziali – da parte del soggetto agente così da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose.
Ciò perché la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato né, evidentemente, consentono l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite (Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023. COGNOME, Rv. 284420 – 01; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B., Rv. 260896 – 01; Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862 – 01).
La giurisprudenza di legittimità nel corso del tempo ha indicato quali possibili “indici rivelatori” della effettiva preordinazione unitaria: a) la ridotta distanza cronologica tra i diversi fatti; b) le concrete modalità della condotta; c) l’omogeneità del bene tutelato dalle previsioni incriminatrici; d) l’apprezzamento della causale e delle condizioni di tempo e luogo delle singole violazioni, aggiungendo che risulta possibile valorizzare anche soltanto alcuni di detti elementi purché significativi (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266413 – 01; Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, Cardinale, Rv. 254809 – 01; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del disegno criminoso, in altre parole, non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a commettere dei reati (cfr. ancora Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01 e giurisprudenza in precedenza indicata).
La nozione di continuazione, d’altro canto, non può neanche ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, in quanto tale definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno”, porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle
situazioni di fatto e la loro prevedibilità, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, è che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine, concreto e specifico, che può essere ab origine anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale -seppure con una riserva di ‘adattamento’ alle eventualità del casocome mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento prefissato (in tal senso di nuovo Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 259094 01; Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, P., Rv. 246838 – 01
La difficoltà di applicazione pratica dell’istituto deriva dalla natura indiziaria di tale tipologia di accertamento che impone di risalire dai fatti commessi (evidenza obiettiva) a un aspetto di tipo eminentemente psichico (che si pone come antecedente ideologico), rappresentato dalla unitaria programmazione nell’ambito di una finalità ben individuata e circoscritta.
In questa prospettiva, ad esempio, le decisioni che riconoscono una particolare valenza all’indicatore logico della ‘non eccessiva distanza temporale’ tra le violazioni realizzano, pertanto, una opportuna autolimitazione della discrezionalità affidandosi ad una massima di esperienza che può essere ritenuta ragionevole (cfr. Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413 – 01; Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258543 – 01
Ciò perché l’elemento teleologico richiesto dal legislatore non può coincidere con un finalismo del tutto generico -come in ipotesi l’obiettivo dell’agente di realizzare profitti illeciti attraverso una tendenziale dedizione al crimine sì da soddisfare in tal modo, per un tempo consistente, i propri bisogni di vita- posto che ciò finirebbe con il contraddire la natura stessa dell’istituto quale norma di favore, tesa a mitigare il rigore del cumulo materiale nei confronti dell’agente che abbia mostrato una ridotta capacità criminale.
Da ciò deriva che un consistente intervallo temporale tra un episodio e quello successivo, salve le ipotesi in cui si rinvenga una chiara ragione giustificatrice di una attuazione temporalmente frazionata di un fine specifico, è indicatore logico di una successione di azioni sorrette da ideazione autonome o comunque orientate a realizzare più che una finalità circoscritta (come richiesto dalla norma) una tendenza soggettiva indeterminata ed ampia.
2.2. I medesimi criteri si applicano anche nel caso in cui si chieda di riconoscere la continuazione tra un reato associativo e i reati fine commessi dai partecipi o rispetto a due reati associativi.
Anche con riferimento a tali reati ciò che deve essere oggetto di verifica è se il secondo reato, all’atto della programmazione e commissione del primo reato, era già stato, anche in termini astratti oggetto di una originaria e unitaria ideazione (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, di Serio, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01; con riferimento al reato associativo e ai reati fine Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285369 – 01; specifiche sul punto Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 23/01/2017, COGNOME, Rv. 268786 – 01 e ancora quanto ai reati associativi Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375 – 01; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 271569 – 01).
2.3. Nel caso di specie il giudice dell’esecuzione ha dato conto di avere adeguatamente valutato tutti gli elementi e la motivazione sul punto risulta conforme ai principi indicati.
Il provvedimento impugnato, infatti, ha dato adeguato conto della necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali, benché vi sia un’apparente contiguità soggettiva tra l’acquisto degli stupefacenti e le altre condotte, non emerge alcun elemento concreto che consenta di retrodatare di ben diciassette anni l’insorgenza del proposito unitario al momento della prima detenzione ai fini di spaccio della sostanza stupefacente (cfr. pag. 3 e 4 del provvedimento impugnato).
Né, d’altro canto, in assenza di prove che il primo reato a essere commesso sia quello associativo, emerge alcuno specifico indicatore che consenta di ritenere che dalla data di ideazione, commissione del primo reato, nel 1992, il ricorrente avesse già in qualche modo pianificato e ideato la commissione degli ulteriori e successivi reati (la cui commissione è accertata solo a partire dall’anno 2008) che, quindi, come ragionevolmente indicato nel provvedimento impugnato, appaiono essere il frutto di determinazioni successive.
In ciò anche dovendosi ribadire che la circostanza che i fatti siano inseriti nello stesso contesto criminale non comporta e non ha come conseguenza necessaria la sussistenza del medesimo disegno criminoso richiesto dall’art. 81 cod. pen., che è caratterizzato da un quid pluris, cioè dall’esistenza di una ideazione unitaria e originaria, che costituisce r19 la
ratio dell’istituto ed è ben diversa e ulteriore rispetto alla mera occasione di commettere reati.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 1° ottobre 2024.