Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7177 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7177 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME, nato a OSIMO (ANCONA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/01/2023 del TRIBUNALE di TERAMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 gennaio 2023, il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati giudicati da ventiquattro sentenze irrevocabili.
Il giudice dell’esecuzione ha escluso l’unicità del disegno criminoso in ragione della distanza cronologica intercorrente tra i reati, del differente contesto geografico, delle diverse modalità esecutive in concorso con sodali variabili, ritenuti tutti elementi dimostrativi dell’assenza di un’unica deliberazione iniziale.
L’impugnata ordinanza ha valorizzato altresì, ai fini dell’esclusione del vincolo criminoso, la lunga carriera delinquenziale del condannato, già dichiarato recidivo, intrapresa dai primi anni ’70 dello scorso secolo, espressione di una generale propensione a delinquere e di una concezione di vita improntata al crimine, di per sé preclusiva della fruizione del benevolo trattamento sanzionatorio ex art. 671 cod. proc. pen.
Avverso tale decisione il condannato ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, AVV_NOTAIO, articolando i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui l’ordinanza impugnata ha negato la continuazione dei reati accertati nella sentenza n. 23 con quelli accertati nelle sentenze nn. 20, 21, 22, 24, già tra loro unificati.
Il ricorrente si duole che il giudice dell’esecuzione abbia negato il riconoscimento della continuazione parziale, sostenendo trattarsi di reati lontani nel tempo e maturati in contesti del tutto diversi. Invece, i reati accertati nella sentenza n. 23, cioè quella della Corte di appello di L’Aquila del 15/2/2006, irrevocabile il 2/4/2006 (n. 51 del certificato del casellario giudiziale) avrebbero ad oggetto fattispecie delittuose analoghe a quelle già riunite in continuazione, e commesse in maniera ininterrotta in un territorio limitato. Ciò denoterebbe che COGNOME era dedito a reati contro il patrimonio in un circuito territoriale ben delineato, trovando motivazione a delinquere nel suo stato di disoccupazione e nella necessità di sostentare se stesso e la famiglia, avendo un figlio a carico appena maggiorenne.
2.2. Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui l’ordinanza reiettiva afferma genericamente l’assenza degli indici di unificazione dei reati accertati con tutte le altre sentenze di condanna indicate nell’istanza.
NOME
In particolare, il ricorrente censura che il giudice dell’esecuzione non abbia specificamente valutato l’istanza di continuazione in relazione a gruppi di sentenze di condanna (indicate secondo la numerazione del casellario giudiziale, e non secondo quella riportata nell’ordinanza impugnata), ritenendo che i raggruppamenti suggeriti dalla difesa individuino reati “tra loro omogenei per natura come facilmente evincibile, … commessi in maniera ininterrotta in un territorio limitato e delimitato”, da ciò derivando che “l’imputato era dedito ai reati contro il patrimonio in un circuito territoriale ben delineato”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è manifestamente infondata e generica, oltre a non confrontarsi con la ratio motivazionale principale dell’impugnata ordinanza.
1.1. Vanno premessi i criteri generali per l’individuazione della continuazione nel reato, alla stregua dell’esegesi di legittimità.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, Di NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti e altro, Rv. 266413)
L’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece’ l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, COGNOME e altro, Rv. 254793).
La ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (Sez. 2, n. 4012.3 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Infine, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
1.2. Ciò premesso, il giudice dell’esecuzione ha ragionevolmente argomentato in ordine all’impossibilità di ritenere i reati di cui alle menzionate sentenze legati dal medesimo disegno criminoso in ragione della distanza temporale tra essi intercorsa, in totale difetto di elementi di fatto comprovanti l’esistenza di un’unica risoluzione criminosa, affatto allegati dal ricorrente, che si è confusamente espresso in termini di reati “tra loro omogenei per natura come facilmente evincibile, … commessi in maniera ininterrotta in un territorio limitato e delimitato”, da ciò derivando che “l’imputato era dedito ai reati contro il patrimonio in un circuito territoriale ben delineato”. Del resto, la pretesa di ritenere avvinti ne medesimo disegno criminoso “plurimi fatti di furto, rapina, detenzione di armi e munizioni, lesioni personali, sequestro di persona, ricettazione, violazione di domicilio e violenza sessuale, tutti commessi in diverse e numerose frazioni delle regioni Marche, Abruzzo, Umbria ed Emilia Romagna, in un arco temporale compreso tra il 1972 ed il 1999” è all’evidenza priva di ogni corrispondenza con l’istituto della continuazione, che non può intendersi esteso fino a ricomprendere in un cumulo indistinto reati commessi nell’arco di un trentennio.
In conclusione, il ricorso è inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della congrua somma indicata in dispositivo alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27 ottobre 2023
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