Reato Continuato: Quando Più Reati Non Fanno un Unico Piano
L’istituto del reato continuato rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, permettendo di unificare più condotte illecite sotto un’unica valutazione sanzionatoria, a condizione che siano legate da un medesimo disegno criminoso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 27023/2024) torna su questo tema, offrendo chiarimenti cruciali sui criteri per la sua applicazione, specialmente in relazione a reati ripetuti nel tempo, come lo spaccio di stupefacenti.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato con cinque diverse sentenze per violazione della legge sugli stupefacenti. L’interessato sosteneva che tutti gli episodi di spaccio dovessero essere considerati come parte di un unico progetto criminale, chiedendo quindi l’applicazione della disciplina più favorevole del reato continuato. Il Tribunale di Milano, in fase di esecuzione, aveva respinto tale richiesta, evidenziando l’assenza di elementi concreti che potessero dimostrare l’esistenza di un piano unitario. In particolare, il giudice aveva sottolineato l’ampio lasso di tempo tra i vari episodi, la loro natura estemporanea e la presenza di periodi di carcerazione che interrompevano la presunta continuità dell’azione criminosa.
La Prova del Reato Continuato e il Ruolo del Ricorrente
Il ricorrente si è rivolto alla Corte di Cassazione, ma il suo ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine. Innanzitutto, ha specificato che le censure presentate erano di merito, ovvero miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità, dove la Corte si limita a verificare la corretta applicazione della legge.
La decisione si allinea alla consolidata giurisprudenza, secondo cui spetta al condannato che invoca il reato continuato fornire la prova dell’esistenza di un disegno criminoso unitario. Non è sufficiente, a tal fine, la semplice contiguità temporale dei reati o la loro medesima natura (in questo caso, tutti legati agli stupefacenti).
Distinzione tra Disegno Criminoso e Abitualità Criminale
Uno degli aspetti più interessanti dell’ordinanza è la netta distinzione tra l’unicità del disegno criminoso e la mera abitualità a delinquere. La Corte chiarisce che il movente, come il fine di lucro, è radicalmente diverso dal disegno criminoso. Mentre il primo può essere comune a innumerevoli reati non collegati, il secondo implica una programmazione iniziale, una deliberazione preventiva che abbraccia tutte le future condotte illecite.
La ripetizione di reati della stessa indole, intervallati da mesi e da periodi di detenzione, viene interpretata dalla Corte non come l’attuazione di un piano, ma piuttosto come indice di un’abitualità criminosa, ovvero una scelta di vita basata sulla consumazione sistematica di illeciti.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su una motivazione chiara e rigorosa. Il ricorrente non ha fornito alcun elemento specifico e concreto a sostegno della sua tesi. Il semplice riferimento alla natura dei reati (violazione della legge sugli stupefacenti) non basta a dimostrare che essi fossero stati programmati sin dall’inizio come parte di un unico piano. Gli elementi evidenziati dal giudice dell’esecuzione – la distanza temporale tra i fatti e le interruzioni dovute alla carcerazione – sono stati ritenuti elementi logici che contrastano con l’idea di un’azione unitaria. In assenza di prove concrete di un progetto criminoso preordinato, la richiesta del ricorrente si è rivelata infondata, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: per ottenere il riconoscimento del reato continuato, non basta asserire l’esistenza di un piano, ma bisogna provarlo con fatti specifici. La decisione sottolinea che l’onere della prova grava interamente sul richiedente. Questa pronuncia serve da monito: la disciplina di favore prevista per il reato continuato non è un automatismo applicabile a tutte le carriere criminali, ma un istituto riservato ai soli casi in cui sia dimostrabile una reale e preventiva programmazione unitaria di più illeciti. In sua assenza, la ripetizione di reati simili sarà considerata, più verosimilmente, come espressione di una scelta di vita criminale.
Quando si può applicare il reato continuato a più violazioni della legge?
Si può applicare solo quando si dimostra, con elementi specifici e concreti, che tutte le violazioni sono state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario deliberato prima della commissione del primo reato.
La somiglianza tra i reati commessi è sufficiente per dimostrare un disegno criminoso unitario?
No. Secondo la Corte, la somiglianza dei reati o del movente (come il fine di profitto) non è sufficiente. Anzi, può essere un indice di semplice abitualità criminosa piuttosto che di un piano preordinato.
Su chi ricade l’onere di provare l’esistenza del reato continuato?
L’onere di allegare e provare gli elementi specifici e concreti da cui desumere l’esistenza di un disegno criminoso unitario ricade interamente sulla parte che ne richiede l’applicazione, in questo caso il condannato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27023 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27023 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CUI 053SPZV) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/03/2024 del TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (c Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01), atteso che, con motivazione affatto illogica, il G.E. ha ritenuto insussistenti gli elementi per rit l’unitarietà della programmazione criminosa tra i fatti giudicati con le cinque sentenze istanza specificate, evidenziando, nonostante l’omogeneità delle norme incriminatrici violate (violazione legge stupefacenti), il lasso temporale intercorrente tra le condott l’estemporaneità degli episodi di spaccio, tra loro interrotti anche da periodi di carcerazion osservato che le censure attengono tutte al merito e invocano, sostanzialmente, una nuova valutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità;
considerato che consolidata è l’affermazione della radicale diversità dell’identità della spinta criminosa o del movente pratico (es. fine di lucro o di profitto) alla base di plu violazioni della legge penale rispetto alla unicità del disegno criminoso richiesto per configurabilità del reato continuato;
ritenuto del pari radicato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui all’is incombe un onere di allegazione di elementi specifici e concreti da cui desumere la fondatezza dell’assunto, irrilevante essendo, in difetto di tali dati sintomatici, il solo riferime relativa contiguità cronologica degli addebiti od all’identità od analogia dei titoli di reato, per lo più, di abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e conti consumazione di illeciti piuttosto che di attuazione di un progetto criminoso unitario;
rilevato, in particolare, che il ricorrente non ha indicato alcun concreto elemento a sostegno della pretesa identità di disegno criminoso tra le diverse violazioni (della normativ sugli stupefacenti), intervenute ad una distanza di mesi l’una dall’altra;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.