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Reato continuato e stile di vita criminale: il no della Cassazione

Con l’ordinanza n. 24254/2025, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del reato continuato. La Corte ha stabilito che la reiterazione di condotte illecite, espressione di uno stile di vita criminale, non può beneficiare del ‘favor rei’ previsto per la continuazione, essendo già sanzionata da istituti come la recidiva e l’abitualità nel reato.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: Non si Applica a uno Stile di Vita Criminale

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: l’istituto del reato continuato non può essere invocato quando la pluralità di crimini commessi è espressione di uno stile di vita orientato all’illegalità. Questa decisione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, traccia una linea netta tra la commissione di più reati sotto un unico disegno criminoso e la scelta deliberata di vivere ai margini della legge.

Il Caso in Esame

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso un’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli. L’imputato, con un passato caratterizzato da diverse condotte illecite, chiedeva verosimilmente l’applicazione del reato continuato, un istituto che consente di unificare più reati sotto un’unica pena, generalmente più mite rispetto alla somma delle singole condanne. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto la richiesta, dichiarando il ricorso inammissibile.

L’Analisi della Cassazione sul Reato Continuato

La Suprema Corte ha centrato la sua analisi sulla differenza sostanziale tra l’istituto della continuazione e altri istituti giuridici pensati per sanzionare la persistenza nel crimine.

Distinzione tra Continuazione e Abitualità nel Reato

Il punto cruciale della decisione risiede nella distinzione tra la logica del reato continuato e quella che governa istituti come la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere. Mentre il primo presuppone un’unica programmazione criminosa che si manifesta in più azioni, gli altri descrivono una condizione personale dell’autore del reato, caratterizzata da una propensione stabile a commettere illeciti. Questa propensione non è un singolo “disegno”, ma un vero e proprio “programma di vita” orientato al crimine.

Il Principio del “Favor Rei” non è Assoluto

L’istituto della continuazione è ispirato al principio del favor rei, ovvero mira a garantire un trattamento sanzionatorio più favorevole a chi, pur commettendo più violazioni, lo fa all’interno di un medesimo progetto. La Cassazione ha chiarito che applicare questo principio a un soggetto la cui condotta rivela una scelta di vita criminale sarebbe una contraddizione logica e giuridica. Il sistema penale, infatti, prevede strumenti specifici e più severi per affrontare tali situazioni, che denotano una maggiore pericolosità sociale del soggetto.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici hanno motivato la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proprio su questa base. Hanno ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite da parte del ricorrente non potesse essere interpretata come l’esecuzione di un singolo disegno criminoso. Al contrario, essa rappresentava l’espressione di una professionalità nel reato e di una tendenza a delinquere. Pertanto, la fattispecie doveva essere inquadrata non nell’ambito del reato continuato, ma in quello degli istituti che sanzionano la persistenza criminale. La Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali conformi per rafforzare la propria argomentazione, sottolineando la coerenza dell’orientamento su questo tema.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale. Questa ordinanza rafforza un importante confine interpretativo: il beneficio della continuazione è riservato a specifiche circostanze e non può diventare uno strumento per alleggerire la posizione di chi dimostra una consolidata carriera criminale.

Quando non si può applicare l’istituto del reato continuato?
Non si applica quando la reiterazione dei reati non deriva da un unico disegno criminoso, ma è l’espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nei casi di recidiva, abitualità o professionalità nel reato.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, salvo casi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Perché la Cassazione distingue tra continuazione e recidiva?
La Corte li distingue perché hanno finalità opposte. La continuazione opera in favore dell’imputato (favor rei) per mitigare la pena in caso di unico disegno criminoso. La recidiva e gli altri istituti simili, invece, sanzionano più gravemente la persistenza nel commettere crimini, indicando una maggiore pericolosità sociale del soggetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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