Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/06/2025
5 E A) -r- c- –
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Mazzarino il 21/01/1982
avverso
l’ordinanza emessa il 21/03/2025 dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Gela visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Gela, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 24 marzo 2025, ritenendo che la stessa costituisse la mera riproposizione di una richiesta già rigettata, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 co pen. tra i fatti oggetto della sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari
del Tribunale di Gela il 22 marzo 2022, irrevocabile il 25 novembre 2022, e quelli della sentenza emessa dallo stesso giudice il 19 dicembre 2023, irrevocabile il 5 gennaio 2024.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli art. 188 disp. att. cod. proc. pen. evidenziando che la richiesta, diversamente da quanto indicato nel provvedimento impugnato, non si riferiva al riconoscimento della continuazione, che in effetti era stata oggetto di una precedente istanza già rigettata, ma che questa, piuttosto, considerato che le due sentenze erano state pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., era di applicare la disciplina prevista dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen.
In data 31 maggio 2025 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli art. 188 disp. att. cod. proc. pen. evidenziando che la richiesta, diversamente da quanto indicato nel provvedimento impugnato, non si riferiva al riconoscimento della continuazione, che in effetti era stata oggetto di una precedente istanza già disattesa, ma era finalizzata, piuttosto, considerato che le due sentenze erano state pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a applicare la disciplina prevista dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen.
La doglianza è manifestamente infondata.
2.1. L’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce: “1. Fermo quanto previsto dall’articolo 137, nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che quest’ultima non superi complessivamente cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, ovvero due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, nei casi previsti nel comma 1-bis dell’articolo 444 del codice. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero, il giudice, se lo ritiene ingiustificato, accoglie ugualmente la richiesta.”
Il presupposto di applicazione della norma è, comunque, che sia riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto delle sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. per cui il giudice in ogni caso è tenuto a verificare che i fatti siano parte di un medesimo disegno criminoso.
Ciò, d’altro canto, risulta evidente anche considerando la previsione secondo la quale il giudice deve verificare se l’eventuale disaccordo espresso dal pubblico ministero in merito alla inesistenza del vincolo sia ingiustificato o meno.
2.2. La richiesta di riconoscere la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. proposta ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., e quella proposta ai sensi dell’art. 188 cod. proc. pen., pertanto, sono equivalenti quanto al merito.
La seconda è una ipotesi “speciale” della prima ed è l’unica ammissibile nel caso in cui tutte le sentenze siano state pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. per cui si prevede che sul punto ci possa essere un accordo con il pubblico ministero, come se fosse una sorta di “prosecuzione” in fase esecutiva della richiesta di applicazione di pena che, qualora la contestazione fosse stata unica, sarebbe stata avanzata in quella sede in relazione a tutte le contestazioni che, invece, non per scelta della difesa, sono state contestate separatamente.
In generale, pertanto, il rigetto della richiesta presentata con una qualunque delle due forme preclude la proposizione di una seconda, ulteriore e nella sostanza identica, richiesta avanzata nell’altra forma.
Ciò anche perché il giudice dell’esecuzione, come in precedenza evidenziato, conserva, anche nel caso in cui la richiesta sia proposta ai sensi dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., il potere di apprezzamento della ricorrenza dei requisiti previsti dal predetto art. 188 e dall’art. 81 cod. pen., inclusa l’identità del disegno criminoso preesistente la commissione delle singole violazioni, la cui assenza giustifica il rigetto della domanda (Sez. 1, n. 41312 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 264890 – 01: «in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, anche quando le parti abbiano concordemente richiesto tale applicazione con riferimento a reati oggetto di distinte sentenze di patteggiamento, ai sensi dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione conserva il potere di apprezzamento della ricorrenza dei requisiti previsti dal predetto art. 188 e dall’art. 81 cod. pen. inclusa l’identità del disegno criminoso preesistente la commissione delle singole violazioni, la cui assenza giustifica il rigetto della domanda»).
2.3. Ora, La decisione del giudice dell’esecuzione è corretta e le attuali doglianze sono manifestamente infondate, in quanto dal ricorso, così come dal provvedimento, non risulta che l’istanza sia stata trasmessa al pubblico ministero e come e in che termini questo si sia espresso, nello specifico procedimento disciplinato dall’art. 188 cit. Come detto, la richiesta, invece, avrebbe dovuto, a
pena di ammissibilità, essere proposta con il consenso o con il dissenso espresso del pubblico ministero e non direttamente, come appare essere avvenuto nel caso
di specie (Sez. 1, n. 22298 del 08/03/2018, Ben, Rv. 273138 – 01: «in materia di esecuzione, è inammissibile la richiesta di continuazione tra reati oggetto di
sentenze di patteggiamento presentata senza l’osservanza dello schema procedimentale delineato dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., a termini del quale
è necessario che il Pubblico Ministero esprima formale consenso o dissenso su una pena determinata nei limiti indicati dall’art. 444 cod. proc. pen., fermo il potere
del giudice, cui compete il controllo di congruità della pena, di ritenere ingiustificato l’eventuale suo dissenso, atteso che le indicazioni di legge sulle
modalità di proposizione della predetta richiesta non ammettono alternative).
Ne discende che, indipendentemente dalle soggettive finalità del ricorrente, la richiesta non rappresenta altro, sul piano oggettivo – secondo quanto avvertito
dal giudice dell’esecuzione -, che una mera riproposizione della precedente istanza, non emergendo che sia stato seguito il previsto modulo procedimentale
delineato dall’art. 188 cit.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso il 23 giugno 2025
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale