Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37768 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37768 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/05/2025 del GIP TRIBUNALE di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, resa in data 30 maggio 2025, il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata nell’interesse di COGNOME di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui alle seguenti sentenze: a) sentenza del Tribunale di Pavia, emessa in data 3 febbraio 2022, irrevocabile il 24 febbraio 2022, di condanna per i delitti di cui agli artt. 13, comma 3. tgs. 286 del 1998 e 497 bis cod. pen., accertati il 2 febbraio 2022; b) sentenza del Tribunale di Ancona, emessa 16 gennaio 2024, irrevocabile il 2 febbraio 2024, di condanna per il reato Sk.A.C, di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 comma/cod. pen., commesso il 18 gennaio 2022.
Il giudice, nel motivare il rigetto dell’istanza, ha attribuito rilevanza decisiva alla differente tipologia dei reati per cui vi è condanna.
Inoltre, ritenendo che la richiesta di concessione del beneficio de quo avesse ad oggetto anche il reato giudicato con la sentenza del Tribunale di Trieste del 19 giugno 2019, irrevocabile il 20 settembre 2019, di condanna per il delitto di cui all’art. 13 ; comma 13 1 d. Igs. n. 286 del 1998, ha rilevato la notevole distanza temporale intercorrente tra i due fatti relativi alla medesima fattispecie.
NOME, con atto del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione e inosservanza dell’art. 671 cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione del provvedimento impugnato, giacché il decidente ha omesso di confrontarsi con le argomentazioni difensive tese a dimostrare l’esistenza del medesimo disegno criminoso.
Invero, il ricorrente, consapevole di essere destinatario di un provvedimento di espulsione e di condanna per il rientro illegale nello Stato nel 2019, si era determinato, nel febbraio del 2022, a tornare clandestinamente in Italia e a procurarsi documenti falsi al fine di realizzare i fatti per cui è intervenuta condanna con la sentenza sub b).
Dunque, l’ingresso in Italia e il possesso di documenti falsi, lungi dall’essere fini a sé stessi, avrebbero dovuto essere considerati strumentali alla commissione di reati contro il patrimonio.
Inoltre, il giudice dell’esecuzione è pervenuto al diniego del riconoscimento della continuazione sulla scorta dell’erronea premessa secondo cui tra le sentenze oggetto della richiesta vi fosse anche quella del Tribunale di Trieste del 19 giugno 2019; diversamente, l’istanza riguardava solo le due sentenze concernenti fatti commessi nel 2022.
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il provvedimento impugnato deve essere annullato per le ragioni che seguono, da ritenersi assorbenti rispetto alle prospettazioni contenute nel ricorso.
Preliminarmente deve rilevarsi che risulta estranea alla richiesta dalla quale è originato il procedimento la sentenza del Tribunale di Trieste rispetto alla quale non è stata avanzata alcuna domanda ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen.
I reati che, nel caso di specie, vengono in rilievo hanno formato oggetto di sentenze di patteggiamento (quelle dei Tribunali di Pavia e Ancona), sicché il riferimento normativo è alle disposizioni dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui il condannato deve concordare con il pubblico ministero l’entità della pena detentiva per poter chiedere l’applicazione della disciplina del reato continuato, con il limite che la pena concordata non superi il tetto massimo di pena patteggiabile.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, in mancanza del consenso o dissenso del pubblico ministero, non può entrare nel merito della richiesta, esercitando gli ordinari poteri valutativi di cui all’art. 671 cod. proc. pen., giacché l’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. consente un intervento modificativo sul giudicato, formatosi a seguito di un negozio processuale tra le parti, soltanto per effetto di una successiva loro pattuizione, salvo il caso di dissenso ingiustificato dell’organo requirente (Sez. 1, n. 1527 del 13/07/2018, Rv. 275169).
Nell’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione, come nel caso che occupa, si sia pronunciato al di fuori dello schema previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., deve ritenersi, in sintonia con la costante tradizione di legittimità, che le istanze proposte al di fuori del percorso normativamente tracciato siano inammissibili, anche se la legge non stabilisce alcuna conseguenza specifica, perché le indicazioni di legge sulla modalità di proposizione di questo tipo di istanza non ammettono alternative (fra molte, Sez. 1, n. 22298 del 08/03/2018, Rv, 273138).
Giova ricordare che l’inammissibilità, come è noto, non è disciplinata come istituto generale relativo a tutti gli atti di domanda di parte; una regolazione puntuale è riservata dal codice di rito alle impugnazioni, che tra gli atti di domanda di parte sono i più importanti.
Stabilisce l’articolo 591, comma 4, c.p.p. che “l’inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2”, e quindi dal giudice dell’impugnazione che è
chiamato alla delibazione preliminare ed essenziale di ammissibilità della domanda, “può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento”.
Questa regola, che accomuna l’inammissibilità dell’impugnazione al trattamento delle patologie processuali più gravi – inutilizzabilità, nullità assolute -, ben può estendersi ai difetti delle domande che, al pari degli atti di impugnazione, abbiano la funzione di provocare una decisione giudiziale sul merito della questione devoluta.
Si conferma così un orientamento giurisprudenziale risalente, secondo cui «l’inammissibilità sanziona una invalidità, sempre rilevabile d’ufficio nel corso del processo, per la quale la norma processuale non prevede alcuna sanatoria (salvo il limite preclusivo del giudicato) ed alla quale non possono ritenersi applicabili le sanatorie generali previste per la nullità, neppure quelle derivanti dal raggiungimento dello scopo dell’atto, dovendo per la natura del pubblico interesse posto a base dell’inammissibilità equipararsi quest’ultima alle nullità assolute insanabili» (Sez. 5, n. 2554 del 13/10/1980, Cervi, Rv. 146732 – 01, richiamata da Sez. 1, n. 22298 del 08/03/2018, COGNOME, Rv. 273138 – 01).
La rilevazione dell’inammissibilità della domanda, sfuggita al giudice del merito, può dunque essere compiuta in sede di legittimità pur senza devoluzione con i motivi di ricorso, appunto perché il regime del vizio è tale da consentire una pronuncia d’ufficio ed al di fuori dei motivi, secondo quanto disposto dall’articolo 609, comma 2, cod. proc. pen.
L’inammissibilità della domanda travolge necessariamente il provvedimento impugnato, che non avrebbe dovuto essere pronunciato.
La sopravvenuta assenza di un presupposto della decisione – la domanda, appunto – riconduce il provvedimento impugnato nella categoria di quelli non consentiti dalla legge di cui all’articolo 620, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., che devono essere annullati da questa Corte senza rinvio.
Gli atti vanno dunque restituiti al G.i.p. del Tribunale di Ancona affinché, eliminato il provvedimento assunto in forza di una richiesta inammissibile, il procedimento esecutivo possa essere introdotto validamente da una nuova domanda articolata nel rispetto delle essenziali forme di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Così deciso il 15 ottobre 2025
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