Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3790 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3790 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 10/9/1958 avverso l’ordinanza del Tribunale di Pesaro del 5/6/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 5/6/2024, il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha provveduto su un’istanza, formulata nell’interesse di COGNOME, di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati di cui alle seguenti sentenze: 1) sentenza della Corte di Assise d’Appello di Napoli del 12/7/1996 (rif. sentenza della Corte di Assise di Napoli dell’1/3/1994, irrev. il 21/4/1997) di condanna alla pena di sei anni di reclusione per il reato di cui all’art.
416-bis, commi 1 e 8, cod. pen., commesso in Napoli dal dicembre 1990 al gennaio 1991; 2) sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli del 12/5/2004 (conf. sentenza del g.u.p. del Tribunale di Napoli del 22/4/2003, irrev. il 23/3/2005) di condanna alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 110, 575, 577, comma 3, cod. pen., commesso in Napoli il 14/10/1988; 3) sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli del 17/12/2007 (conf. sentenza della Corte di Assise di Napoli del 7/10/2006, irrevocabile il 4/7/2008) di condanna alla pena di trent’anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 575, 577, comma 3, cod. pen., commessi in Napoli tra il 26/1/1988 e il 27/11/1989.
Il Tribunale ha rigettato l’istanza, considerando, quanto ai reati di cui ai nn. 2) e 3), che, pur trattandosi di reati contro la persona commessi a distanza di tempo ravvicinata, si tratta di atti commessi dall’imputato in esecuzione di mandati provenienti da persone diverse, in occasione di tradimenti o comunque di comportamenti ritenuti di detrimento al prestigio criminale dei mandanti stessi: COGNOME pertanto, ha rivestito un ruolo di esecutore di un disegno criminoso premeditato da terzi. Peraltro, in relazione alla sentenza sub 3) la Corte di Assise di Napoli ha già escluso che il vincolo della continuazione potesse sussistere con riferimento agli omicidi commessi dal condannato; di conseguenza, lo stesso ragionamento può essere posto fondamento del rigetto anche in relazione alla sentenza sub 2).
Quanto, poi, al reato di cui alla sentenza n. 1), il Tribunale ha ritenuto che la circostanza che il condannato abbia fatto parte di un’associazione di stampo camorristico e che, quindi, i delitti da lui compiuti siano stati consumati come attuazione di una consolidata organizzazione criminale non è da sola sufficiente per il riconoscimento della continuazione, perché il mero inserimento all’interno di un’associazione non costituisce un predicato di continuità rispetto alla commissione dei reati, soprattutto quando, come nel caso di specie, i fatti omicidiari siano il frutto di una esecuzione organizzata da altri soggetti, che sviluppano il proprio disegno criminoso in relazione a singole circostanze sconnesse le une dalle altre.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolandolo in un unico motivo, con il quale ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale e della legge processuale penale in relazione agli artt. 663, 671 cod. proc. pen., 81 cod. pen., nonché il vizio di motivazione carente, illogica ed errata.
Il ricorso evidenzia che l’associazione criminale alla quale apparteneva COGNOME risale alla metà degli anni ’80 e che il condannato è stato ritenuto responsabile della partecipazione alla organizzazione inizialmente capeggiata dai
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fratelli COGNOME e poi, dopo una scissione, della partecipazione al clan degli ex affiliati che faceva riferimento a COGNOME e COGNOME. Gli omicidi commessi tra gennaio 1988 e dicembre 1989 si inseriscono in un periodo in cui egli ha fatto parte dell’associazione camorristica.
La motivazione del Tribunale di Pesaro è illogica nella parte in cui non considera che la decisione di far parte dell’associazione camorristica rappresentava una scelta di vita irreversibile e che all’interno dell’organizzazione il ruolo di COGNOME era quello di esecutore materiale di decisioni imposte dai capi del sodalizio e non dettate dai propri singoli impulsi o dalla propria personale inclinazione a delinquere. Il partecipe ad un’associazione camorristica non può adottare decisioni proprie, ma, fin dal momento dell’affiliazione, si presta ad attuare il programma criminoso che è alla base della esistenza stessa dell’associazione criminale. Ad applicare i principi espressi dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza impugnata, si dovrebbe riconoscere la continuazione soltanto per i soggetti in posizione apicale dell’organizzazione criminosa e non anche per i sodali privi di poteri decisori. Invece, i reati di cui alle sentenze indicate nella istanza riguardano fatti avvenuti in conseguenza della partecipazione di COGNOME al sodalizio criminale, in un brevissimo lasso temporale e in violazione di norme omogenee, e tutti riconducibili agli scopi dell’associazione.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in quanto il provvedimento impugnato -ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di continuazione e ha disatteso una istanza generica.
In data 10.10.2024, il difensore del ricorrente ha trasmesso una memoria difensiva, che la Corte, tuttavia, non prende in esame, in quanto non è stato osservato il termine di quindici giorni “liberi” prima dell’udienza previsto dall’art. 611 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
E’ utile premettere che, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, n. 12936 del 3/12/2018, dep. 2019, Rv. 275222 – 01).
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Ciò detto, la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, n. 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 – 01; Sez. 1, n. 1534 del 9/11/2017, dep. 2018, Rv. 271984 – 01).
Ma non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reatifine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili “ah origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. .259481 – 01; Sez. 5, n. 54509 dell’8/10/2018, Rv. 275334 – 02).
Ora, si deve tenere conto innanzitutto che COGNOME, con la sentenza sub 1), è stato condannato per il reato associativo riferibile ad un periodo successivo a quello in cui sono stati commessi tutti gli omicidi di cui all’istanza di continuazione. Di conseguenza, deve ritenersi che, quando sono stati commessi gli omicidi, egli appartenesse ad un’associazione diversa da quella nella quale – per quanto esposto nel ricorso stesso – è confluito dopo, a seguito di una scissione dalla prima. Questo esclude ogni possibilità di riconoscere la continuazione tra i pregressi omicidi sub 2) e 3) e il successivo reato associativo sub 1).
In ogni caso, è del tutto congrua la motivazione del giudice dell’esecuzione quando evidenzia – per escludere la continuazione – che i singoli fatti omicidiari erano stati deliberati in relazioni a singole circostanze sconnesse le une dalle altre, e cioè in occasione di specifici tradimenti o comportamenti ritenuti di detrimento al prestigio criminale dell’associazione e dei suoi capi.
In questo modo, l’ordinanza fa corretta applicazione del principio, sopra menzionato, secondo cui non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine quando questi ultimi dipendano da eventi occasionali.
Se è vero che la eliminazione fisica dei soggetti sospettati di infedeltà all’associazione, intranei o meno che siano alla stessa, è verosimilmente uno dei punti suscettibili di una previsione generale e ipotetica nel contesto di un’organizzazione di stampo mafioso, ciò nondimeno è necessario un disegno criminoso, che non è identificabile nel programma dell’associazione, ma è piuttosto la ideazione e la deliberazione di una serie di reati da compiere.
Efficacemente è stato osservato in una delle precedenti pronunce già sopra citate (Sez. 1, n. 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 – 01) che, ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente trattamento sanzionatorio irK
di favore, in virtù del quale tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.
La finalità ultima collegata ai reati commessi in ambito associativo può contribuire a provare il disegno criminoso, ma è esterna ai reati stessi e non lo integra da sola. La commissione dei reati-fine nell’interesse del sodalizio mafioso è un elemento di non univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla costituzione all’associazione o all’adesione ad essa del singolo partecipe. E’ necessario, dunque, che l’associazione e i reati ulteriori siano contemporaneamente ideati e deliberati nella loro tendenziale specificità.
Conseguentemente, la motivazione del giudice dell’esecuzione non è affatto illogica o contraddittoria quando considera che la continuazione non sia ravvisabile tra fatti determinati da circostanze contingenti e non prevedibili nella loro singolarità.
Sarebbe, al contrario, manifestamente illogico ritenere che quando sia costituita un’associazione necessariamente plurisoggettiva ovvero quando si coopti un nuovo associato nel gruppo già costituito, si preveda parallelamente l’eventualità di eliminare gli originari o i nuovi adepti, e ciò nel momento stesso in cui essi costituiscono l’associazione o ne entrano a far parte, in quanto potenzialmente pericolosi per l’associazione medesima.
I delitti commessi per punire gli associati che eventualmente vengano meno alle regole di comportamento, e quindi finalizzati a garantire l’efficienza e la disciplina interne, riguardano il funzionamento dell’associazione, non già il suo programma criminoso, che deve svolgersi necessariamente all’esterno del sodalizio mafioso.
Lo stesso ragionamento è stato adeguatamente impiegato nell’ordinanza impugnata quando è stata esclusa la applicazione della disciplina della continuazione agli omicidi di cui alle sentenze 2) e 3).
S’è trattato, anche in questi casi, di delitti occasionali, commessi nel corso della vita dell’associazione senza essere stati programmati preventivamente e venuti di volta in volta in rilievo successivamente alla sua costituzione.
Basti considerare, a tal proposito, che l’associazione a delinquere di tipo mafioso, secondo la formulazione dell’art. 416-bis cod. pen., ha il programma di commettere delitti funzionali all’acquisizione della gestione o al controllo di attività economiche e comunque alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, ovvero al turbamento delle elezioni e al procacciamento di voti. Gli omicidi degli associati, quindi, non sono funzionali alle finalità economico-elettorali dell’associazione.
Né il condannato ha indicato specifici elementi sintomatici della riconducibilità a una preventiva programmazione unitaria degli omicidi di cui richiede l’unificazione.
Anzi, si rappresenta nel ricorso che i fatti sarebbero stati commessi in un periodo in cui COGNOME faceva parte, dapprima, del clan COGNOME e, in seguito, del clan degli scissionisti: dunque, egli avrebbe agito prima per conto dell’uno e poi per conto dell’altro, così da rendere non poco problematica in radice la ipotizzabilità di un medesimo disegno criminoso.
Si può affermare, dunque, che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente valutato i fatti già giudicati e ha ritenuto di escludere che i reati fossero riconducibili ad una preordinazione di fondo con una motivazione del tutto adeguata e ragionevole.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente sollecita non più che una diversa valutazione degli indici della eventuale medesimezza del programma criminoso, ma gli elementi che adduce non sono idonei a superare l’apprezzamento dei fatti operato in sede esecutiva.
Ne consegue, dunque, il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25.10.2024