Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46620 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46620 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 15.10.1981
avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo del 23.11.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 23.11.2023, la Corte di Assise d’Appello di Palermo – provvedendo a seguito di annullamento con rinvio (in data 27.4.2023 da parte della Quinta Sezione della Corte di Cassazione) della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo in data 6.4.2022 relativamente alla mancata concessione a COGNOME NOME dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 5), cod. pen. per i fatti di cui ai capi 93) e 94) dell’imputazione – ha riconosciuto a COGNOME NOME, in parziale riforma della sentenza del g.u.p. del Tribunale di Palermo
dell’11.9.2020, la predetta attenuante per i reati di cui ai capi 93) e dell’imputazione e ha confermato la pena inflittagli in primo grado.
In particolare, la sentenza oggi impugnata ha applicato, quanto al trattamento sanzionatorio, il principio di diritto desumibile dalla giurisprudenza di legittim secondo cui, in tema di reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanz trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti e attenuanti che si riferisco al fatto considerato come violazione più grave, dovendosi tenere conto di quelle relative ai reati satellite solo ai fini dell’aumento ai sensi dell’art. 81 cod. p conseguenza, non si deve procedere a un nuovo giudizio di bilanciamento: l’aumento per la continuazione viene determinato avendo riguardo agli aumenti e alle diminuzioni per le circostanze aggravanti e per le circostanze attenuanti considerare in relazione a ciascun reato satellite.
Ciò posto, per NOME NOME, la pena base in primo grado – al netto della riduzione per il rito abbreviato – era stata quantificata in relazione al più g reato di cui al capo 8) dell’imputazione (per effetto dell’applicazione della recid reiterata e specifica, che non v’è più alcuna possibilità di mettere in discussio in anni sedici e mesi otto di reclusione, con l’aumento per la continuazione fino ventidue anni, due mesi e venti giorni di reclusione (limite inderogabile, perch vincolato dall’aumento minimo imposto all’art. 81 ult. comma cod. pen.).
Il giudice di primo grado aveva fissato in un mese di reclusione l’aumento per la continuazione in relazione ai reati di truffa e di lesioni di cui ai capi 93) dell’imputazione. Per effetto del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. n. 5), cod. pen., si riduce l’aumento per la continuazione a venti giorni di reclusi per ciascuno dei due reati, con l’effetto di far scendere la pena finale, al netto riduzione per il rito, ad anni ventidue e mesi due di reclusione, ossia al di sotto minimo imposto dall’articolo 81, ult. comma, cod. pen. In questo modo la pena finale, per effetto della diminuente per il rito, dovrebbe essere pari ad a quatticici, mesi nove e giorni dieci di reclusione, ovvero una pena superiore quella che, per effetto di un mero errore di calcolo, era stata fissata dal giudic appello in anni quattordici, mesi otto e giorni ventisei di reclusione. Ma, giacc non si può modificare in pejus il trattamento sanzionatorio, la pena finale res quella (erronea) fissata dalla sentenza della prima Corte d’Assise di Appello.
Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolandolo in tre motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pe la violazione degli artt. 628, 546 comma 1 lett. e), 627 comma 3 cod. proc. pen, 62 n. 5), 69, 81, 99 cod. pen.
Si lamenta che la motivazione sia manifestamente illogica e carente, perché la Corte di Assise di Appello non si è attenuta al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio, che aveva annullato i capi 93) e 94) in relazione alla mancata concessione delle attenuanti del concorso del fatto doloso della persona offesa ex art. 62 n. 5) cod. pen. Infatti, nella sentenza rescissoria non si è provveduto a bilanciare la detta attenuante con la recidiva reiterata specifica, la cui applicazione, in relazione al reato più grave di cui al capo 8) dell’imputazione, aveva comportato un aumento della pena base di due terzi. La Corte d’Assise d’Appello non ha neppure motivato sul mancato bilanciamento, così aderendo implicitamente e illegittimamente alla tesi secondo cui la recidiva non può essere soggetta a bilanciamento con circostanze attenuanti riconosciute in relazione ai reati posti in continuazione con il reato più grave. Ma questa tesi contrasta con la lettera dell’art. 69 cod. pen., che non prevede alcuna limitazione in questo senso, e dell’art. 81, ult. comma, cod. pen., che non esclude il concorso tra la recidiva e le circostanze attenuanti riconosciute per i fatti in continuazione.
2.2 Con il secondo motivo, eccepisce la illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.
L’art. 69, comma quarto, cod. pen. prevede un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99 comma 4 cod. pen. Questa preclusione impedisce al giudice di adeguare la pena all’effettivo disvalore del fatto, con conseguente manifesta violazione del principio di proporzionalità della pena ex art. 27, comma 3, Cost. e del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché impone l’assoggettamento alla medesima pena di condotte connotate da offensività diversa.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 546, comma 1, lett. e), 597, comma 4, 609, comma 1, 627, commi 3 e 4, cod. proc. pen., 62 n. 5), 69, 81, 99 cod. pen.
La Corte d’Assise d’Appello, calcolando, per effetto del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 5) cod. pen., una diminuzione complessiva della pena per i reati di cui ai capi 93) e 94) di giorni venti di reclusione, ha preso atto in sede di rinvio dell’errore materiale commesso dal primo giudice (in violazione della preclusione di cui all’art. 627, comma 4, cod. proc. pen.) e ha lasciato illegittimamente immutata la pena finale nonostante la concessione dell’attenuante.
Con requisitoria scritta del 30.5.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del primo motivo per carenza di interesse, del secondo motivo per la irrilevanza della questione di legittimità costituzione e del terzo motivo per manifesta infondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Quanto al primo motivo, in realtà i giudici di secondo grado contrariamente a quanto censurato nel ricorso – hanno diffusamente motivato circa il mancato bilanciamento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5) cod. pen. – riconosciuta con riferimento ai reati di cui ai capi 93) e 94) dell’imputazione – con le circostanze aggravanti riferibili al reato più grave di cui al capo 8) dell’imputazione per il quale era intervenuta condanna già irrevocabile per Faija.
Lo hanno fatto richiamando la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati “satellite” esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen. (Sez. 1, n. 13369 del 13/2/2018, Rv. 272567 – 01; Sez. 3, n. 26340 del 25/3/2014, Rv. 260057 – 01; Sez. 1, n. 49344 del 13/11/2013, Rv. 258348 – 01).
Si tratta di un orientamento consolidato, dal quale non c’è motivo di discostarsi, in quanto la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5) cod. pen., riconosciuta dalla sentenza impugnata, riguarda i soli reati satellite.
Il coordinamento tra l’art. 69 cod. pen. e l’art. 81 cod. pen. impone di distinguere l’operazione di bilanciamento tra le circostanze da quella dell’aumento per la continuazione. La prima deve riguardare il reato più grave, mentre le circostanze che riguardano i reati satellite vanno considerate al solo scopo di adeguare l’aumento per l’unicità del disegno criminoso che avvince il reato meno grave (Sez. 2, n. 16352 del 29/2/2024, Rv. 286295 – 01; Sez. 5, n. 4609 del 7/3/1996, Rv. 204840 – 01).
Ne consegue, pertanto, il rigetto del primo motivo di ricorso.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., proposta con il secondo motivo, è priva di rilevanza ai fini della decisione del processo.
La Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha escluso il bilanciamento tra circostanze, non per il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen., ma perché ha ritenuto, per le condivisibili ragioni appena sopra esposte, che al giudizio di comparazione tra aggravanti e attenuanti
si procede solo se si riferiscono entrambe al reato più grave, desumendo il principio semmai dai commi precedenti dell’art. 69 cod. pen.
Di conseguenza, la decisione del processo non richiede affatto la soluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4, cod. pen., sollevata dal ricorrente.
Il giudizio di rilevanza, previsto dall’art. 23, comma secondo, L. n. 87 del 1953, impone, pertanto, di affermare che la questione proposta non è in alcun modo pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio.
Il motivo di ricorso, dunque, è inammissibile per manifesta infondatezza.
Quanto al terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice d’appello che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della Corte di Cassazione per la rideterminazione della pena del reato continuato, non riduce la pena complessivamente inflitta, se questa sia stata illegalmente determinata a vantaggio dell’imputato in misura inferiore al minimo edittale (Sez. 5, n. 51615 del 17/10/2017, Rv. 271604 – 01).
L’obbligo imposto dall’art. 597, comma quarto, cod. proc. pen., infatti, presuppone che la pena da ridurre sia stata determinata in maniera legale (Sez. 4, n. 6966 del 20/11/2012, dep. 2013, Rv. 254538 – 01; Sez. 3, n. 39882 del 3/10/2007, Rv. 238009 – 01).
Il motivo di ricorso, pertanto, è infondato.
A quanto fin qui osservato, consegue, pertanto, il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20.9.2024