Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9612 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9612 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
UP – 05/02/2025
R.G.N. 25485/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Melito di Porto Salvo il giorno 13/03/1977 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 25/3/2024 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che Ł stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione ai capi B e C della rubrica delle imputazioni e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con riguardo ai fatti di cui al capo A;
udito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso in relazione a tutti i capi di imputazione con conseguente annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 25 marzo 2024 la Corte di Appello di Milano, per la parte che in questa sede interessa, ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato in data 9 novembre 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza con la quale era stata affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione ai reati di concorso (con NOME COGNOME – deceduto – e con NOME COGNOME) in rapina aggravata ai danni dell’esercizio commerciale Esselunga S.p.a. (capo A della rubrica delle imputazioni), violazione della legge sulle armi (capo B) e furto aggravato di un’autovettura (capo C), uniti dal vincolo della continuazione tra loro e con i fatti giudicati dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como con la sentenza n. 77/18 del 13 febbraio 2018 (irrevocabile dal 8 luglio 2020).
NOME COGNOME, già tenuto conto della riduzione per il rito, era stato condannato alla pena alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed euro 700,00 di multa in aumento alla pena irrogata con la sentenza sopra indicata.
I fatti-reato in contestazione risalgono al 21 gennaio 2017.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in riferimento ai fatti di cui alle imputazioni.
Rappresenta, al riguardo, la difesa dell’imputato che l’unico elemento che lega lo COGNOME ai fatti di cui Ł processo Ł rappresentato da una conversazione intercettata tra l’odierno ricorrente e NOME COGNOME alle ore 13:58 del giorno dei fatti, conversazione che, secondo i Giudici di merito, sarebbe avvenuta in un contesto temporale a ridosso della rapina ed in particolare durante la fuga tra due auto in staffetta (la Citroen C3 con la quale erano fuggiti i due rapinatori ed altra con a bordo il ricorrente).
In realtà, osserva la difesa del ricorrente, detto contatto telefonico sarebbe avvenuto oltre mezzora dopo la consumazione della rapina.
A ciò si aggiunge che non sarebbe dato comprendere quale contributo causale lo COGNOME avrebbe fornito in relazione all’azione delittuosa.
Quanto al reato di cui al capo B della rubrica delle imputazioni non vi sarebbe, poi, prova che l’arma utilizzata sia vera.
Infine, in ordine al reato di furto dell’autovettura Citroen C3 di cui al capo C della rubrica delle imputazioni la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, avendo riconosciuto i Giudici di merito che il furto Ł stato materialmente commesso dal (già) coimputato COGNOME e non sarebbe dato comprendere quali siano gli elementi per ritenere lo COGNOME concorrente anche in tale reato.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento al trattamento sanzionatorio ai sensi degli artt. 81 e 20-bis cod. pen.
Lamenta, al riguardo, la difesa del ricorrente l’eccessività del trattamento sanzionatorio irrogato ed il fatto che la Corte di appello ha ritenuto inapplicabile il disposto dall’art. 20-bis cod. pen. in quanto la pena complessiva irrogata in continuazione anche con la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Como supererebbe i limiti di legge, mentre il parametro per l’effettuazione di tale valutazione avrebbe dovuto essere quello della sola pena irrogata per i fatti di cui al presente procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso nella parte vertente sui reati di cui ai capi A e C della rubrica delle imputazioni Ł manifestamente infondato.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre, detta motivazione, non Ł certo apparente, nØ ‘manifestamente’ illogica e tantomeno contraddittoria.
I Giudici di entrambi i gradi di merito in una c.d. ‘doppia conforme’ hanno nel dettaglio indicato una serie di elementi che, seppure di carattere indiziario, complessivamente intesi, hanno consentito, per prova logica, di ritenere il coinvolgimento a livello concorsuale dell’odierno ricorrente sia nella rapina ai danni dell’esercizio commerciale Esselunga di Arcore che nel furto dell’autovettura Citroen C3 utilizzata dai rapinatori per allontanarsi dal luogo dell’azione predatoria.
L’incrocio dei tabulati telefonici e dei movimenti dell’autovettura e dei soggetti interessati all’azione, unitamente alle telefonate intercettate che hanno visto coinvolto lo COGNOME, sia nell’immediatezza del furto dell’autovettura che nel contesto di esecuzione della fuga dopo la commissione della rapina e prima che l’autovettura fosse parcheggiata in un luogo utile per eventuali successivi utilizzi, sia, ancora, i riferimenti verbali contenuti nella conversazione delle ore 13:58 intercorsa tra lo COGNOME ed il COGNOME dalla quale si evincono elementi certamente riconducibili alla rapina commessa pochi minuti prima, sia infine, quelli contenuti in una successiva telefonata registrata in data 24 febbraio 2017 che ha visto come parte sempre l’odierno ricorrente (v. pag. 5 della sentenza impugnata) costituiscono elementi idonei a delineare un solido quadro indiziario, debitamente quanto logicamente esplicitato dai Giudici di merito, per affermare la penale
responsabilità dell’imputato.
Del resto, questa Corte di legittimità ha chiarito che «In tema di processo indiziario, il giudice può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso» (ex ceteris: Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441 – 02), situazione certamente configurabile nel caso in esame.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità Ł infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Fondato Ł invece il motivo di ricorso che riguarda il reato di cui al capo B della rubrica delle imputazioni laddove Ł contestata la violazione della legge sulle armi (nella specie una pistola non meglio individuata ma da ritenersi arma comune da sparo).
Il G.i.p. (v. pagg. 22 e 23 della relativa sentenza) così si era testualmente espresso sul punto: «Del pari provato Ł il porto di arma comune da sparo (pistola) al fine di commettere la rapina (capo B) stante il tenore inequivoco delle dichiarazioni dei testi oculari e delle immagini della videosorveglianza. Non si ritiene di condividere quanto ipotizzato dal PM circa la natura di arma giocattolo della pistola impiegata. Invero si Ł in presenza di azione delittuosa che, per le modalità di organizzazione, per i mezzi impiegati, per la suddivisione dei ruoli, appare espressione di una certa professionalità nel reato. Tutto lascia intendere che gli autori della rapina siano soggetti appartenenti ad ambienti criminali di un certo spessore, abitualmente dediti alle rapine, certamente in grado di procurarsi armi in perfetta efficienza per perseguire i propri illeciti scopi. D’altronde, dalle immagini e dalle dichiarazioni acquisite non emerge alcun elemento che possa far ritenere che la pistola utilizzata sia un’arma giocattolo».
In sede di appello (v. pag. 5 del relativo atto) il difensore dell’imputato aveva contestato che «… non v’Ł alcuna prova che l’arma utilizzata per la rapina fosse vera».
La Corte di appello ha dato atto (pag. 9 della sentenza impugnata) dell’esistenza di tale motivo di impugnazione ma non ha dedicato alcuna parola per darvi risposta.
La carenza di motivazione in relazione al reato di cui al capo B della rubrica delle imputazioni consente di configurare una nullità della sentenza impugnata che impone l’annullamento in parte qua della sentenza stessa con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di
appello di Milano.
L’annullamento di cui al punto che precede, avendo potenziale incidenza sul complessivo trattamento sanzionatorio riservato all’imputato rende assorbito il motivo di ricorso relativo, in generale, alla quantificazione della pena finale irroganda per effetto della già riconosciuta continuazione ‘interna’ tra i fatti-reato di cui al presente procedimento ed ‘esterna’ in relazione ai fatti i fatti giudicati dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como con la sentenza n. 77/18 del 13 febbraio 2018 (irrevocabile dal 8 luglio 2020).
Non fondato Ł, infine, il motivo di ricorso nel quale parte ricorrente lamenta la mancata applicazione del disposto dell’art. 20-bis cod. pen. sostenendo che per valutare il (mancato) superamento dei limiti edittali indicati dalla norma i Giudici di merito avrebbero dovuto prendere in considerazione la sola pena detentiva irrogata per i fatti di cui al presente procedimento (anni 1 e mesi 8 di reclusione) e non la pena finale complessiva determinata per effetto della riconosciuta continuazione esterna con la menzionata sentenza del G.i.p. del Tribunale di Como.
Il motivo di ricorso pone, quindi, in materia di sostituzione delle pene detentive brevi, oggetto dell’intervento riformatore attuato con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la questione attinente le modalità di individuazione della soglia di pena massima che delimita la funzionalità del sistema di nuovo conio, nella ipotesi di reato continuato.
Come già correttamente ricordato da questa Corte di legittimità in una propria precedente decisione (v. Sez. 1, Sentenza n. 1776 del 20/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285836 – 02, in motivazione) il sistema delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ha subito una importante evoluzione nel tempo.
Le stesse furono introdotte con la legge 24 novembre 1981, n. 689, entro un perimetro applicativo, in origine, prudentemente ristretto. L’area della sostituibilità era circoscritta alla misura massima di sei mesi di pena detentiva ed erano delineate numerose condizioni, soggettive ed oggettive, preclusive del riconoscimento del beneficio.
Negli anni successivi, il tetto superiore di pena, compatibile con la sostituzione, Ł stato progressivamente esteso, prima alla misura di un anno (art. 5 d.l. 14 giugno 1993, n. 187, conv. dalla legge 12 agosto 1993, n. 296), poi a quella di due anni (art. 4, comma 1, legge 12 giugno 2003, n. 134). Sono state anche eliminate, con l’abrogazione dell’art. 60 della legge n. 689 del 1981, le esclusioni oggettive correlate al titolo di reato (stesso art. 4, comma 1, legge n. 134, cit.).
In presenza di una situazione che, nonostante una progressiva valorizzazione dell’istituto Ł stata tale da rendere nella prassi sempre meno rilevante il meccanismo deflattivo specificamente ideato per arginare, sin dalla fase di cognizione, le brevi detenzioni e scongiurare l’effetto di desocializzazione da esse indotto e nel contesto di un piø ampio disegno volto al miglioramento dell’efficienza del processo penale, e al raggiungimento degli obiettivi cui Ł stata condizionata l’erogazione dei finanziamenti del Piano europeo di investimenti, varato per risanare le perdite causate dalla nota recente pandemia, il Parlamento ha quindi delegato il Governo, con l’art. 1, commi 1 e 17, della legge 27 settembre 2021, n. 134, a rivitalizzare il sistema.
L’azione del legislatore delegato, tradottasi nelle disposizioni dettate dall’art. 71 d.lgs. n. 150 del 2022, si Ł snodata in una duplice fondamentale direzione.
Innanzitutto, si Ł realizzata una radicale rivisitazione delle tipologie sanzionatorie, con estensione dell’ambito applicativo del regime di sostituibilità (non oltre i quattro anni per le sanzioni piø gravose).
In secondo luogo, la sede elettiva della prognosi finalizzata all’applicazione delle sanzioni sostitutive Ł stata incentrata sul giudizio di cognizione, luogo deputato per le decisioni inerenti l’ an e il quomodo della sostituzione.
L’indicata evoluzione normativa, da ultimo operata con il d.lgs. n. 150 del 2022, ha anche inciso
sulle modalità di determinazione del limite quadriennale di pena sostituibile in caso di reato continuato.
Nel sistema originario, previsto dalla legge n. 689 del 1981, ai fini dell’applicazione delle sanzioni sostitutive in caso di reato continuato, o di concorso formale, valeva un duplice regime:
a) nel caso in cui i reati in concorso formale o in continuazione fossero risultati tutti compatibili, per titolo, con l’istituto (non rientrando alcuno di essi nel campo delle esclusioni oggettive previste dall’art. 60), l’art. 53, ultimo comma, della legge n. 689 disponeva che si tenesse conto dei limiti di pena massima «soltanto per la pena infliggersi per il reato piø grave»; la sostituzione andava dunque riferita all’intera pena risultante dal cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen. ed era ammessa alla sola condizione che la pena base del reato piø grave rientrasse nei limiti di legge;
b) in caso diverso (uno o piø dei reati, in concorso formale o in continuazione, rientranti nel campo delle esclusioni oggettive previste dall’art. 60), il medesimo art. 53, ultimo comma, prevedeva che il giudice, se riteneva di doverla disporre, «determina, al solo fine della sostituzione, la parte di pena per i reati per i quali opera la sostituzione», il che significava che la sostituzione poteva, in questo caso, essere limitata alla porzione di pena, rientrante nei limiti di legge, riferibile ai reati non ostativi.
L’art. 60 della legge n. 689 del 1981 Ł stato però abrogato dalla legge n. 134 del 2003. Con l’abrogazione Ł venuta meno la previsione delle ostatività riferite al titolo di reato. Dall’entrata in vigore della legge n. 134 del 2003, il secondo scenario sopra delineato non era dunque piø verificabile.
La sostituzione, d’ora in avanti, avrebbe avuto sempre a parametro la pena cumulata e, per il rispetto dei limiti, occorreva verificare solo la pena base piø grave (Sez. 2, n. 4465 del 07/10/1999, COGNOME, Rv. 214661-01; Sez. 6, n. 1429 del 19/04/1999, COGNOME, Rv. 213374-01).
L’aumento di pena, conseguente al cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., in altri termini, era sterilizzato, dovendosi tenere conto solo della pena da infliggersi per il reato piø grave e se questa non era superiore al limite indicato dalla legge dell’epoca la sostituzione stessa poteva comunque aver luogo, anche se la pena inflitta, per effetto della continuazione fosse stata, al limite, di sei anni.
La applicazione di detto sistema aveva trovato conferma nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (v. Sez. 3, n. 35973 del 07/05/2021, Zoncada, Rv. 282478 – 01).
In tale assetto ordinamentale Ł però intervenuto l’art. 71 d.lgs. n. 150 del 2022, che, nel ridisegnare l’istituto in piø punti, ha innalzato sino a quattro anni il limite di pena detentiva compatibile con l’ammissione alle pene sostitutive.
Il comma 1, lett. a), dell’art. 71 riscrive, in particolare, l’art. 53 della legge n. 689, cit., il cui ultimo comma Ł venuto così a stabilire: «Ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’articolo 81 del codice penale».
Nel nuovo regime Ł, pertanto, espressamente stabilito che la sostituzione vada riferita alla pena cumulata, senza che sia possibile scindere l’unità dei reati formalmente concorrenti, o del reato continuato; ma Ł anche testualmente sancito che il limite di pena, entro cui misurare la possibilità stessa della sostituzione, sia quello complessivo, e non piø quello del solo reato piø grave.
Ne consegue che in forza della disciplina oggi dal dicembre 2022 e quindi applicabile al caso qui in esame, ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si deve guardare al fenomeno del concorso formale o della continuazione nella sua unitarietà e si deve tener conto della pena così come aumentata ai sensi dell’art. 81 cod. pen. Il giudice potrà sostituire la pena detentiva solo se, dopo aver determinato l’aumento di pena per il concorso formale o la continuazione dei reati, la pena detentiva risulti irrogata in misura complessiva non superiore a quattro anni.
Bene ha quindi operato la Corte di appello nel non accogliere la richiesta di applicazione di una sanzione sostitutiva di pena detentiva ai sensi dell’art. 20-bis cod. pen. essendo la pena complessiva irrogata all’odierno ricorrente, per effetto delle menzionate continuazioni, superiore al limite massimo previsto dalla predetta norma.
Quanto detto impone il rigetto dell’esaminato motivo di ricorso.
PoichØ l’annullamento (con rinvio) della sentenza impugnata concerne solo il capo B della rubrica delle imputazioni, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. deve dichiararsi l’irrevocabilità dell’affermazione della responsabilità dell’imputato con riferimento ai capi A e C della rubrica delle imputazioni.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara definitivo il giudizio di responsabilità con riferimento ai reati di cui capi A) e C).
Così Ł deciso, 05/02/2025
Il Consigliere estensore
NOME
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME