Calcolo della Pena nel Reato Continuato: La Decisione della Cassazione
L’istituto del reato continuato rappresenta un fondamentale strumento di mitigazione della pena, ma come si determina concretamente l’aumento per i cosiddetti reati satellite? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito alcuni aspetti cruciali, respingendo il ricorso di un condannato che lamentava un’ingiustificata severità nel calcolo della pena rispetto a un coimputato. Analizziamo la vicenda e le conclusioni dei giudici.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dalla richiesta, presentata da un soggetto condannato con quattro sentenze definitive per delitti legati al traffico di sostanze stupefacenti, di vedere riconosciuto il vincolo della continuazione tra i vari reati. Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Palermo accoglieva l’istanza, unificando le pene sotto il medesimo disegno criminoso.
Tuttavia, nel determinare la pena finale, il giudice applicava un aumento di un anno di reclusione per uno dei reati ‘satellite’. L’imputato, attraverso il suo difensore, decideva di ricorrere in Cassazione, ritenendo tale aumento eccessivo e immotivato, soprattutto se confrontato con il trattamento più mite riservato a un suo concorrente nel medesimo reato.
Il Ricorso in Cassazione e il Calcolo per il Reato Continuato
La difesa ha basato il ricorso su due argomenti principali:
1. Vizio di motivazione: L’aumento di un anno di reclusione non sarebbe stato supportato da una giustificazione adeguata, violando i principi che regolano la determinazione della pena.
2. Disparità di trattamento: Un altro soggetto, condannato per lo stesso reato, aveva ricevuto un aumento di pena di soli sei mesi, creando un’ingiustificata e deteriore differenza di trattamento.
L’obiettivo era ottenere una riduzione dell’aumento di pena, contestando la discrezionalità del giudice di merito.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato per diverse ragioni.
In primo luogo, i giudici hanno osservato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e correttamente valutate dal Giudice dell’esecuzione, senza muovere una critica specifica e puntuale all’ordinanza impugnata.
Nel merito, la Corte ha stabilito che la motivazione per l’aumento di pena, sebbene implicita, era comunque sufficiente. L’aumento di un anno era giustificato dagli elementi concreti del reato, ovvero la qualità della sostanza (cocaina) e il quantitativo illecitamente detenuto. Questi sono criteri previsti dall’art. 133 del codice penale che il giudice può e deve considerare per commisurare la pena.
Il punto più significativo della decisione riguarda però la presunta disparità di trattamento. La Cassazione ha smontato completamente questa tesi, evidenziando come le posizioni dei due concorrenti non fossero paragonabili. Per il ricorrente, il reato in questione era un ‘reato satellite’, che comportava un aumento sulla pena base. Per il concorrente, invece, quello stesso reato era stato considerato il più grave e, di conseguenza, utilizzato come base di calcolo per l’intera pena del reato continuato. Questa differenza procedurale rende impossibile un confronto diretto e dimostra l’assenza di qualsiasi trattamento deteriore.
Le Conclusioni
La decisione della Suprema Corte riafferma un principio chiave in materia di reato continuato: la valutazione della pena per i reati satellite è affidata alla discrezionalità del giudice, che deve basarsi sugli elementi concreti del fatto. Una motivazione può essere considerata sufficiente anche se implicita, purché ancorata ai criteri legali. Inoltre, il confronto con la posizione di un coimputato è valido solo se le situazioni processuali e soggettive sono identiche. In questo caso, la diversa qualificazione del reato (satellite per uno, principale per l’altro) ha reso il paragone improponibile, confermando la legittimità della decisione del giudice di merito.
È possibile contestare un aumento di pena per un reato satellite se la motivazione non è esplicita?
Sì, ma la contestazione potrebbe non essere accolta. La Corte ha ritenuto che una motivazione, anche se implicita, può essere sufficiente se si basa su elementi concreti e valutabili del reato, come la qualità e la quantità della sostanza stupefacente, in linea con i criteri dell’art. 133 del codice penale.
Si può chiedere una pena identica a quella di un concorrente nello stesso reato continuato?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che il trattamento sanzionatorio dipende dalla specifica posizione soggettiva e processuale di ciascun concorrente. Se per un imputato un reato è ‘satellite’ e per un altro è il ‘reato più grave’ su cui si basa il calcolo, le loro situazioni non sono comparabili e una differenza di pena è giustificata.
Per quali motivi principali il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché era riproduttivo di argomenti già esaminati dal giudice di merito, senza contenere una critica specifica e necessaria contro le argomentazioni dell’ordinanza impugnata. Inoltre, la censura è stata ritenuta manifestamente infondata nel merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 16801 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 08/08/1988
avverso l’ordinanza del 08/11/2024 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con l’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha accolto l’istanza, proposta nell’interesse di NOME COGNOME diretta ad ottenere il riconoscimento, ex art. 671 cod. proc. pen., del vincolo della continuazione tra reati giudicati con quattro sentenze definitive, relative a delitti di cessione illeci di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e una anche al reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti (capo 44).
Considerato che il motivo unico proposto dalla difesa, avv. NOME COGNOME (vizio di motivazione in relazione agli artt. 438, 671, cod. proc. pen., 133 cod. pen., 187 d. Igs. n. 271 del 1989, per non essere sufficientemente motivato l’aumento di un anno di reclusione irrogato con riferimento alla sentenza n. 1156 del 2023 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo) è inammissibile perché riproduttivo di argomenti già contenuti nell’istanza e vagliati dal giudice di merito, con argomenti ineccepibili e, comunque, non scandito da necessaria specifica critica rispetto alle argomentazioni a base della ordinanza impugnata.
Rilevato, comunque, che la censura è manifestamente infondata in quanto deduce asserito difetto o contraddittorietà della motivazione non emergente dal contenuto del provvedimento impugnato, tenuto conto l’aumento di anni uno di reclusione avvenuto, secondo la prospettazione difensiva, senza motivazione (a differenza del provvedimento adottato nei confronti del fratello del condannato, al quale sarebbe stata irrogata la pena, in aumento, di soli mesi sei di reclusione), sia pure implicitamente risulta giustificato dall’indicazione della qualità della sostanza (cocaina) e dal quantitativo detenuto illecitamente, quindi vagliando gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
Ritenuto, in ogni caso, che a fronte dell’ordinanza adottata nei confronti del concorrente nel reato allegata al ricorso, non si riscontra il denunciato diverso e deteriore trattamento riservato al condannato, tenuto conto della diversa posizione soggettiva dei concorrenti; infatti, il reato di cui alla sentenza n. 1156/2023 che, per il ricorrente, ha comportato l’aumento di un anno di reclusione come reato satellite (capo 5), è reputato, per il concorrente nel reato, più grave e posto a base del calcolo della pena irrogata per il reato continuato, ex art. 187 disp. att. cod. proc. pen. (cfr. p. 1 dell’ordinanza emessa nei confronti di NOME COGNOME).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo tenuto conto dei motivi devoluti.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, in data 6 marzo 2025
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