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Reato continuato: come si calcola la pena base?

La Cassazione, con la sentenza 37106/2024, ha annullato un’ordinanza che applicava il `reato continuato` in fase esecutiva. Ha stabilito che per calcolare la pena, il giudice deve ‘scorporare’ i reati già uniti in sentenze precedenti, individuare il singolo reato più grave tra tutti e usare la sua pena come base. Inoltre, il giudice ha il dovere di acquisire tutti gli atti necessari, come le sentenze di primo grado, per effettuare correttamente questa valutazione.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: la Cassazione stabilisce come calcolare la pena

La corretta applicazione dell’istituto del reato continuato in fase esecutiva è un tema cruciale nel diritto penale, con impatti diretti sulla determinazione della pena finale da scontare. Con la recente sentenza n. 37106/2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire un punto fondamentale: come si individua la “violazione più grave” quando si devono unificare pene inflitte con sentenze diverse, alcune delle quali già frutto di un cumulo giuridico? La Corte fornisce una guida precisa per i giudici dell’esecuzione, sottolineando l’importanza di un’analisi dettagliata e non sommaria.

I fatti del caso

Il caso riguarda un’ordinanza della Corte d’Appello che, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra reati giudicati con due distinte sentenze. La prima sentenza riguardava il reato di associazione di tipo mafioso. La seconda, invece, condannava la stessa persona per tentato omicidio e reati in materia di armi, già unificati tra loro sotto il vincolo della continuazione.
Nel ricalcolare la pena totale, la Corte d’Appello aveva erroneamente identificato come “pena base” l’intera pena inflitta con la seconda sentenza (otto anni di reclusione), aumentandola poi per il reato associativo. Il difensore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice avrebbe dovuto individuare la pena per il singolo reato più grave tra tutti quelli in gioco, e non considerare la pena complessiva di una delle sentenze.

La decisione della Corte di Cassazione e il calcolo del reato continuato

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. La decisione si fonda su due principi cardine che il giudice dell’esecuzione non aveva rispettato.

Il principio dello “scorporo” dei reati

Il punto centrale della sentenza è il metodo di calcolo. Quando un giudice dell’esecuzione deve unificare più reati, alcuni dei quali già riuniti in continuazione da una precedente sentenza, non può trattare quel blocco di reati come un’unica entità. Al contrario, ha il dovere di “scorporare” i reati già riuniti.
La procedura corretta, delineata dalla Cassazione, prevede i seguenti passaggi:
1. Analizzare tutti i reati: Considerare singolarmente ogni reato proveniente da tutte le sentenze da unificare.
2. Individuare il reato più grave: Identificare, tra tutti, il reato per cui è stata inflitta in concreto la pena più alta dal giudice della cognizione. Questa diventa la “violazione più grave”.
3. Determinare la pena base: Utilizzare la pena inflitta per tale reato come pena base per il nuovo calcolo.
4. Calcolare gli aumenti: Applicare sulla pena base gli aumenti per ciascuno degli altri reati, considerati “reati satellite”, compresi quelli che erano già stati uniti nella sentenza originaria.

Doveri istruttori del giudice dell’esecuzione

Il secondo errore rilevato dalla Corte riguarda la carenza di informazioni su cui si basava la decisione. Il giudice dell’esecuzione disponeva solo delle sentenze di appello, che non specificavano il trattamento sanzionatorio applicato in primo grado per ogni singolo reato. Questa mancanza impediva di verificare quale fosse effettivamente il reato più grave e la relativa pena.
La Cassazione ha ribadito che il giudice dell’esecuzione, di fronte a una simile lacuna informativa, ha il dovere di porvi rimedio. Non può decidere basandosi su premesse incomplete. Ha il potere e il dovere di acquisire d’ufficio i documenti necessari, come le sentenze di primo grado, per poter svolgere correttamente il suo compito e garantire un pieno controllo sulla decisione.

Le motivazioni della sentenza

Le motivazioni della Corte si basano sulla necessità di rispettare il disposto dell’art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, ai fini della continuazione, si deve considerare come “violazione più grave” quella per cui è stata inflitta la “pena più grave”. Questo impone un’analisi puntuale e non un riferimento a pene complessive risultanti da precedenti cumuli. La Corte ha sottolineato che considerare un “blocco” di reati come violazione più grave significa confondere la “pluralità di reati” con il “singolo reato” per cui è stata inflitta la pena più alta, violando così il principio del favor rei che ispira l’istituto del reato continuato. La decisione impugnata, inoltre, era viziata da una carenza informativa strutturale: senza le sentenze di primo grado, era impossibile determinare con certezza quale fosse la pena base originaria per il reato più grave, rendendo l’intero percorso decisionale incontrollabile e, quindi, illegittimo.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 37106/2024 rafforza un principio fondamentale per la corretta applicazione del reato continuato in fase esecutiva. I giudici non possono limitarsi a un esame superficiale delle sentenze da unificare, ma devono entrare nel merito del calcolo sanzionatorio originario. Devono “smontare” i cumuli giuridici preesistenti per identificare il singolo mattone – il reato più grave – su cui ricostruire l’edificio sanzionatorio. Questa decisione garantisce una maggiore precisione e giustizia nel calcolo della pena, assicurando che l’aumento per i reati satellite sia correttamente commisurato partendo da una base certa e legittimamente individuata. Inoltre, riafferma il ruolo attivo del giudice dell’esecuzione, che non è un mero ratificatore ma ha poteri istruttori per sanare eventuali carenze documentali e decidere con piena cognizione di causa.

Come si determina la pena base quando si applica il reato continuato in fase esecutiva tra più sentenze?
La pena base deve essere quella inflitta per il singolo reato più grave tra tutti quelli considerati per la continuazione. Non si può utilizzare la pena complessiva risultante da una delle sentenze, anche se questa già unificava più reati.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione se una delle sentenze originali già unificava più reati in continuazione?
Deve “scorporare” i reati già riuniti, considerarli singolarmente e poi individuare tra tutti i reati (anche quelli delle altre sentenze) quello punito con la pena più grave, che diventerà la base per il nuovo calcolo.

Qual è il dovere del giudice dell’esecuzione se non ha a disposizione tutti gli atti necessari, come le sentenze di primo grado?
Il giudice ha il dovere di acquisire d’ufficio tutta la documentazione mancante (ad esempio, le sentenze di primo grado) per poter ricostruire correttamente il trattamento sanzionatorio e individuare la violazione più grave. Non può decidere sulla base di informazioni incomplete.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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