Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37106 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37106 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Catanzaro del 10.7.2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 10.7.2013, la Corte d’Appello di Catanzaro, provvedendo in funzione di giudice dell’esecuzione su un’istanza proposta nell’interesse di COGNOME NOME, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati giudicati:
con la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Catanzaro del 18.6.2019 (parz. rif. dalla Corte di Appello di Catanzaro del 9.6.2021) di condanna alla pena di anni
sei di reclusione (pena base di anni nove di reclusione, ridotta per il rito ad anni sei di reclusione) per il reato di cui all’art. 416-bis, commi 1, 3, 4 e 5, cod. pen. commesso dal 2006 al 2008;
con la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Catanzaro del 21.10.2009 (confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro in data 12.9.2010, irrevocabile in data 3.5.2011) di condanna alla pena di otto anni di reclusione (applicata la diminuente per la scelta del rito) per il reato di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. e per reati in materia di armi, aggravati all’art. 7 legge n. 203 del 1991, commessi il 25.7.2008.
Di conseguenza, l’ordinanza impugnata ha individuato la pena base in quella di otto anni di reclusione di cui alla seconda sentenza e l’ha aumentata per la continuazione di quattro anni di reclusione (pena base di sei anni di reclusione, ridotta alla pena finale per la scelta del rito abbreviato), considerata “misura proporzionata alla gravità e durata della condotta associativa”.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, articolando un unico motivo, con cui, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce violazione degli artt. 671 cod. proc. pen., 187 disp. att. cod. proc. pen., 81 comma 2 cod. pen.
Lamenta, in primo luogo, che il giudice dell’esecuzione abbia individuato la pena più grave in quella complessiva inflitta con la seconda sentenza e non già in quella inflitta per il reato più grave tra quelli giudicati con la predetta sentenza. Lamenta, inoltre, una disparità di trattamento in sede esecutiva con il coimputato NOME, allegando l’ordinanza di esecuzione relativa a quest’ultimo.
Richiama Cass. n. 20981/2009, secondo cui, quando il giudice della cognizione non ha stabilito la pena per ciascuno dei reati satelliti il giudice dell’esecuzione deve fare riferimento nell’applicazione della disciplina della continuazione alla pena minima edittale prevista per ogni singolo reato, nonché Cass. n. 37168/2019, secondo cui il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta dapprima, per l’individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente del rito abbreviato, poi l’applicazione dell’aumento per la continuazione sulla suddetta pena base e infine il computo sull’intero in tal modo ottenuto dalla diminuente per il rito abbreviato. Censura, quindi, che il giudice dell’esecuzione non abbia tenuto conto di questi principi.
Con requisitoria scritta del 2.4.2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, richiamando SS.UU. n. 12 del 2023,
che ha statuito il principio di diritto secondo cui, quando si debba riconoscere la continuazione tra reati oggetto di sentenze di condanna emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati, il giudice dell’esecuzione deve considerare come pena più grave inflitta quella concretamente irrogata nel giudizio della cognizione come indicata nel dispositivo. Di conseguenza, la Corte d’Appello di Catanzaro ha correttamente individuato come violazione più grave la pena in concreto irrogata con la sentenza seconda. Quanto all’aumento di pena, poi, la Corte, sia pure sinteticamente, ha motivato la sua misura con riferimento alla gravità e alla durata della condotta associativa. Quanto, ancora, alla censura relativa alla posizione del coimputato, essa riguarda sentenze distinte che non possono costituire oggetto di confronto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che saranno di seguito precisati.
Dopo aver riconosciuto l’unicità del disegno criminoso, l’ordinanza impugnata individua come pena base, sulla quale operare l’aumento per la continuazione, quella complessivamente inflitta dalla seconda sentenza del g.i.p. del Tribunale di Catanzaro del 21.10.2009 per più reati a loro volta unificati ex art. 81, comma secondo, cod. pen.
In tal modo, tuttavia, la Corte d’Appello di Catanzaro non ha tenuto conto che, ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza (Sez. U, n. 7029 del 28/9/2023, dep. 2024, Giampà, Rv. 285865 – 01).
E non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di reato continuato, il giudice dell’esecuzione che – come nel caso di specie – ridetermini le pene inflitte con distinte condanne, ciascuna delle quali (o anche solo una delle quali) pronunciata per una pluralità di reati unificati a norma dell’art. 81, comma secondo, cod. pen., deve scorporare i reati già riuniti dal giudice della cognizione, individuare quello più grave e infine operare, sulla pena che è stata inflitta per quest’ultimo, autonomi aumenti per ciascun reato satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 1, n. 17948 del 31/1/2024, S., Rv. 286261 – 01; Sez. 1, n. 21424 del 19/3/2019, COGNOME, Rv. 275845 – 01).
L’ordinanza impugnata, infatti, ha preso in considerazione la pena complessiva finale irrogata dalla sentenza in questione, come risultante dal già
calcolato aumento per la continuazione per i reati-satellite, e, dunque, ha considerato come “violazione più grave”, non già il singolo reato per il quale il giudice della cognizione aveva inflitto la pena più alta, ma la pluralità dei reati commessi da NOME e, perciò, la pena conseguentemente determinata dal giudice della cognizione come effetto del cumulo giuridico operato ex art. 81, comma secondo, cod. pen.
Ciò premesso, dalla consultazione degli atti del fascicolo (consentita in ragione della natura della eccezione formulata), risulta che il giudice dell’esecuzione disponesse soltanto della copia delle due sentenze emesse in secondo grado nei confronti dell’imputato dalla Corte d’Appello di Catanzaro e non anche delle sentenze di primo grado.
La sentenza di secondo grado avente ad oggetto i reati di tentato omicidio aggravato e di detenzione e porto aggravati di arma comune da sparo, posti in continuazione già nella fase della cognizione, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado emessa dal g.i.p. del Tribunale di Catanzaro in data 21.10.2009 e non contiene alcun richiamo espresso al trattamento sanzionatorio praticato in primo grado.
Di conseguenza, non è possibile un controllo effettivo del percorso seguito dal giudice della cognizione nella determinazione discrezionale della pena e, soprattutto, non è possibile comprendere se fosse stato specificamente individuato il reato più grave tra quelli unificati sotto il vincolo della continuazione, e, in ca affermativo, quale pena base fosse stata stabilita per tale violazione più grave.
Questo significa, al contempo, che, né dal tenore testuale del provvedimento impugnato né dagli atti sulla base dei quali esso è stato emesso, è consentito verificare se il reato più grave in concreto sia proprio uno di quelli giudicati con la sentenza che ha inflitto la pena complessivamente più elevata o se non sia, invece, quello di associazione per delinquere di tipo mafioso per il quale COGNOME è stato condannato alla pena di sei anni di reclusione con l’altra sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 9.6.2021.
Vale a dire che non è possibile valutare se il giudice dell’esecuzione si sia correttamente attenuto alla procedura prevista dall’art. 187 disp. att. cod. proc. pen.
La motivazione del provvedimento impugnato, pertanto, è originariamente e strutturalmente viziata da una carenza di informazioni rilevanti per la decisione, senza le quali non è possibile il suo controllo pieno.
L’ordinanza si basa su premesse incomplete, che mancano proprio dell’elemento da cui il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto muovere – una volta
riconosciuta l’applicabilità della disciplina del reato continuato – per stabilire l “violazione più grave” e per fare conseguentemente applicazione corretta della regola stabilita dall’art. 187 citato.
Ora, questa insufficienza della base informativa deve essere misurata con il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento della continuazione “in executivis”, l’onere di provare i fatti dai quali dipende l’applicazione dell’istituto è da riteners soddisfatto, non solo con la produzione della copia della sentenza rilevante ai fini del richiesto riconoscimento, ma anche con la semplice indicazione degli estremi di essa, ben potendo, in tale ipotesi, l’acquisizione del documento essere disposta dal giudice, come si ricava dalla esplicita previsione dell’art. 186 disp. att. cod. proc. pen., che riguarda l’applicazione della continuazione in sede di esecuzione (Sez. 1, n. 36289 dell’8/5/2015, Malich, Rv. 265011 – 01).
Alla mancanza in atti delle sentenze di primo grado, pertanto, avrebbe dovuto porre rimedio lo stesso giudice dell’esecuzione, che, avendo ritenuto di procedere comunque a decidere l’istanza difensiva nel merito, non avrebbe potuto prescindere dalla disponibilità di quelle informazioni relative alla determinazione in concreto del trattamento sanzionatorio da parte del g.i.p. del Tribunale di Catanzaro.
Si tratta di un’omissione a cui non potrebbe comunque supplirsi in questa sede, dal momento che la eventuale integrazione documentale delle informazioni mancanti potrebbe comportare che si debba poi procedere alla valutazione di una parte del merito dell’istanza di applicazione della continuazione, che non è consentita nel giudizio di legittimità.
5. Ne consegue, pertanto, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione, in diversa persena fisica (Corte cost. n. 183 del 2013), perché proceda a nuovo giudizio sulla determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento della continuazione, alla luce dei principi sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte
O ( 77. Ui GLYPH , GLYPH z GLYPH · 9 -; ceAppello di Catanzaro. —, ccì cze-1: I’l GLYPH .- -,z· cr) c r.: GLYPH · y.,:N GLYPH ‘·k Così deciso il 7.6.2024