Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23361 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23361 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
Il
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 08/08/1963
avverso l’ordinanza del 31/05/2024 del GIP TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con
rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 31 maggio 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, riconosciuta la continuazione tra i reati per i quali NOME COGNOME ha riportato condanna con quattro diverse sentenze, ha rideterminato la pena complessivamente irrogata, a tale titolo, all’imputato in nove anni ed un mese di reclusione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Con il primo motivo, lamenta che il giudice dell’esecuzione è venuto meno all’obbligo – tanto più stringente ove si consideri la modestia della riduzione applicata rispetto alle pene rispettivamente stabilite dal giudice della cognizione – di indicare le ragioni che lo hanno indotto a quantificare la sanzione irrogata, per ciascuno dei reati satellite, a titolo di aumento per la continuazione.
2.2. Con il secondo motivo, ascrive al giudice dell’esecuzione di avere acriticamente mutuato, in relazione ai reati che, già in fase di cognizione, erano stati ritenuti espressione del medesimo disegno criminoso, la pregressa statuizione, in tal modo omettendo di valutare, in funzione di contenimento del complessivo trattamento sanzionatorio, l’incidenza dell’estensione ad ulteriori reati, in executivis, della disciplina della continuazione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Il Giudice per le indagini preliminari, riconosciuta la continuazione tra tutti i reati indicati nell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen., ha, in primo luogo, individuato quello più grave nella bancarotta fraudolenta aggravata, patrimoniale e documentale, che gli è valsa la condanna, con sentenza della Corte di appello di Roma del 26 maggio 2022, alla pena di cinque anni e nove mesi di reclusione.
Ha, quindi, fissato in un anno ed otto mesi di reclusione la pena applicata, a titolo di aumento per la continuazione, per i reati accertati con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 5 dicembre
2016, con riferimento ai quali il giudice di cognizione gli aveva irrogato la pena di due anni e sei mesi di reclusione.
Ha, poi, mutuato, quanto ai reati accertati, rispettivamente, con la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 10 luglio 2018 e del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 26 ottobre 2022, le pene già stabilite in sede di cognizione, a titolo di aumento per la continuazione, con il reato accertato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 5 dicembre 2016.
Il giudice dell’esecuzione ha stabilito le pene testé indicate sulla scorta della valutazione della loro «equità» che, nelle condizioni date, soddisfa, a dispetto delle contrarie obiezioni del ricorrente, il prescritto obbligo motivazionale.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua espressione più autorevole, ha chiarito che «In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. (La Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i lim previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene)» (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 01)».
Con riferimento alla determinazione delle pene irrogate, a titolo di aumento per la continuazione, per reati che, in precedenza, risultavano uniti dal medesimo vincolo rispetto ad altro reato più grave, la trasposizione nel nuovo assetto delle pregresse statuizioni – cioè l’applicazione della pena di un anno e due mesi di reclusione per il reato accertato con la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 10 luglio 2018 e di quella di quattro mesi di reclusione per il reato accertato con la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 26 ottobre 2022 – non è, di per sé, illegittima, posto che, come già osservato, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità, «quanto ai reati che già nei giudizi di cognizione erano considerati come reati così detti satellite, il giudice dell’esecuzione non è tenuto a dare una specifica motivazione, in quanto, trattandosi di aumenti non superiori a quelli applicati dal giudice della cognizione, la motivazione resa in quella sede già fornisce adeguata contezza della decisione assunta» (così Sez. 1, n. 6364 del 14/01/2020, non massimata).
Considerato, peraltro, che, per effetto della decisione qui impugnata, i reati de quibus agitur sono divenuti «satelliti» di un «pianeta» più grande – vale a dire, fuor di metafora, che essi sono espressione di un disegno criminoso del quale fa oggi parte un reato più grave di tutti quelli che, prima, erano legati dal vincolo della continuazione – onde, fermo restando l’invalicabile limite massimo del triplo della pena base, non sussiste la necessità di riparametrare in melius la porzione di pena da applicare ai sensi dell’art. 81 cod. pen..
Il ricorrente, d’altro canto, non indica le ragioni che avrebbero dovuto indurre il giudice dell’esecuzione a ridurre ulteriormente le pene stabilite per i reati in questione, ovvero perché ed in quali termini la sintetica indicazione di «equità» dell’operazione di rideterminazione sarebbe fallace, illogica, contradditoria o, comunque, illegittima, e si limita a sollevare un’obiezione che, in quanto riferita alla pena complessiva e non alla portata innovativa del provvedimento, non appare idonea ad incrinarne la tenuta razionale; la doglianza da lui articolata non si emancipa, pertanto, dal generico riferimento alla pretesa e, si è detto, insussistente, carenza di motivazione.
4. Per quanto concerne, poi, il reato accertato con la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 5 dicembre 2016 con riferimento al quale, in virtù del provvedimento qui censurato e dell’inserimento, nel novero dei reati legati dal vicolo della continuazione, di quello accertato con sentenza della Corte di appello di Roma del 26 maggio 2022, la pena è stata rideterminata – il giudice dell’esecuzione ha operato una riduzione della sanzione nella misura di otto mesi, pari ad oltre un quarto di quella stabilita in sede di cognizione.
Erra, dunque, il ricorrente nel dedurre che la pena, per effetto dell’ordinanza impugnata, è rimasta «praticamente invariata», asserzione che appare ancorata alla complessiva entità della sanzione fissata ai sensi dell’art. 81 cod. pen. che, però, per larga parte, non avrebbe dovuto essere modificata.
Né, va aggiunto, giova alla causa di COGNOME l’evocazione dell’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, il giudice che, per il reato-satellite, ritenga di applicare un aumento di pena prossimo alla pena irrogata dal giudice della cognizione, è tenuto a fornire specifica motivazione sulle ragioni dell’entità di detto aumento, atteso che il riconoscimento del medesimo disegno criminoso implica, di per sé, una minore offensività della condotta illecita aggiuntiva» (Sez. 5, n. 11336 del 17/01/2020, COGNOME, rv. 278792 – 01), condizione, questa, che non ricorre nel caso di specie, che si è visto essere connotato dall’irrogazione, a titolo di
aumento per la continuazione, di pena largamente inferiore a quella stabilita da giudice della cognizione.
Se si considera, allora, che il riconoscimento della continuazione tra tutt reati indicati nell’istanza presentata da COGNOME ha inciso, dal punto di v
pratico, solo sulla pena applicatagli con la sentenza del Giudice per le indagi preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 5 dicembre 2016, il, pur sintetico,
riferimento all’equità della misura della riduzione apportata – da vagliarsi in uni alla complessiva dimensione della vicenda esecutiva e, precipuamente, all’entità
delle sanzioni, proporzionate e non esorbitanti, stabilite per il reato più gra per quelli residui, che induce a stimare la ragionevolezza dell’intera operazione
rideterminazione del carico sanzionatorio – si palesa esente dal vizi motivazionale denunciato dal ricorrente.
5. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc
pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso il 18/03/2025.