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Reato continuato: come provarlo in fase esecutiva

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31884/2025, ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione del reato continuato per unificare diverse pene. La Corte ha chiarito che, in fase esecutiva, non basta l’omogeneità dei reati o la vicinanza temporale per ottenere il beneficio. È nell’interesse del richiedente fornire elementi specifici che dimostrino l’esistenza di un unico disegno criminoso, concepito prima della commissione del primo reato, soprattutto quando i fatti sono distanti nel tempo.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: la prova del ‘disegno’ spetta a chi lo chiede

L’istituto del reato continuato rappresenta una fondamentale valvola di mitigazione del sistema sanzionatorio penale, permettendo di unificare più condanne sotto un’unica pena più favorevole. Ma come si dimostra, specialmente dopo che le sentenze sono diventate definitive? Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 31884/2025) offre chiarimenti cruciali sull’onere di allegazione che grava su chi invoca questo beneficio in fase esecutiva.

Il caso in esame

Un soggetto, già condannato con cinque diverse sentenze per reati contro il patrimonio e la persona (furto, ricettazione, rapina, lesioni e possesso di armi) commessi in un arco temporale di circa tre anni, presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del reato continuato. L’obiettivo era unificare le pene, sostenendo che tutti i reati fossero espressione di un unico “medesimo disegno criminoso”.

Il Tribunale di Benevento, in qualità di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. La motivazione del rigetto si basava sulla constatazione che il ricorrente non aveva fornito elementi specifici a sostegno della sua tesi. Secondo il Tribunale, la semplice omogeneità dei reati e una generica contiguità temporale non erano sufficienti. In particolare, appariva “improbabile” che un reato commesso nel 2016 fosse stato programmato insieme a delitti consumati nel 2019. Di fronte a questa decisione, il condannato proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione sul reato continuato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire i principi che governano la valutazione del reato continuato in fase esecutiva.

La Corte ha sottolineato che il “medesimo disegno criminoso” è un elemento psicologico che deve preesistere alla commissione del primo reato. Si tratta di una programmazione, almeno a grandi linee, di una pluralità di condotte illecite finalizzate a un unico scopo. Questo concetto si distingue nettamente dalla semplice inclinazione a delinquere o da una scelta di vita criminale, che anzi possono giustificare un trattamento sanzionatorio più severo.

Le motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nella chiarificazione dell’onere probatorio, o meglio, dell'”onere di allegazione”. La Cassazione spiega che, sebbene non si possa parlare di un onere della prova in senso tecnico a carico del condannato, è nel suo evidente interesse rappresentare al giudice tutti gli elementi che possano dimostrare l’esistenza del disegno unitario. Questi elementi, infatti, potrebbero non emergere dalle sentenze di condanna, che si concentrano sull’accertamento del singolo fatto-reato.

Di conseguenza, la mancata allegazione di elementi specifici da parte della difesa non può essere ignorata dal giudice. Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente evidenziato la notevole distanza temporale tra i primi e gli ultimi reati e l’assenza di qualsiasi indicazione concreta che potesse collegarli in un piano unitario. Il ricorso in Cassazione, a sua volta, si limitava a una critica generica della decisione, senza fornire quegli elementi concreti che erano mancati anche in primo grado.

La Corte ha quindi concluso che la motivazione del giudice dell’esecuzione, sebbene sintetica, era adeguata e coerente. Aveva correttamente valorizzato l’assenza di prove a sostegno della richiesta, ritenendo indimostrata e inverosimile l’esistenza di un’unica programmazione criminosa per fatti così eterogenei e distanti nel tempo.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio pratico fondamentale: chi richiede l’applicazione del reato continuato in sede esecutiva deve assumere un ruolo attivo. Non è sufficiente elencare le sentenze e sperare che il giudice trovi d’ufficio i collegamenti. È necessario, invece, costruire un’argomentazione solida, basata su elementi fattuali (contesto, modalità esecutive, comunanza di complici, finalità economica unitaria, ecc.) che possano convincere il giudice dell’esistenza di quel momento deliberativo iniziale che unifica tutti i reati. In assenza di tale sforzo allegatorio, soprattutto di fronte a reati commessi a grande distanza di tempo, la richiesta rischia seriamente di essere rigettata.

Che cos’è il ‘medesimo disegno criminoso’ necessario per il reato continuato?
È la rappresentazione e programmazione, da parte del soggetto agente, della futura commissione di più reati, delineati in vista di un unico fine. Questo ‘disegno’ deve esistere psicologicamente prima della commissione del primo reato della serie.

In fase esecutiva, chi deve fornire le prove per il riconoscimento del reato continuato?
Sebbene non si tratti di un onere della prova in senso tecnico, è nell’interesse della parte che richiede il beneficio (il condannato) allegare e fornire al giudice gli elementi specifici che dimostrino l’esistenza di un comune disegno criminoso, specialmente se questi non emergono già dalle sentenze di condanna.

La sola vicinanza nel tempo o la somiglianza tra i reati sono sufficienti per ottenere il reato continuato?
No. La Corte ha ribadito che l’omogeneità dei reati e la contiguità temporale non sono, da sole, sufficienti a dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Questi elementi possono essere compatibili anche con una mera inclinazione a delinquere, che è un concetto diverso e incompatibile con l’istituto della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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