Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27262 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27262 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN PIETRO VERNOTICO il 24/07/1986
avverso l’ordinanza del 31/01/2025 della Corte d’appello di Lecce Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica in data 15 maggio 2025, a firma del difensore, avv. NOME COGNOME
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 31 gennaio 2025, la Corte d’appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, giudicando in sede di rinvio, in parziale accoglimento dell’istanza avanzata da NOME COGNOME ha riconosciuto la continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:
sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 01/04/2011 confermata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza in data 26/09/2012 irrevocabile 17/10/2013 (sub 2 dell’istanza);
sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 22/09/2010 confermata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza del 13/07/2012 irrevocabile il 17/10/2014 (sub 3 dell’istanza);
sentenza del GUP presso il Tribunale di Brindisi del 14/12/2012 parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce del 21/1/ 2015 irrevocabile il 17/11/2015 (sub 5 dell’istanza);
sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 20/03/2013 parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza del 31/10/2014 irrevocabile il 20/07/2016 (sub 6 dell’istanza).
Ha invece escluso la sussistenza della continuazione con riguardo alle ulteriori sentenze (nn. 1, 3, 7 e 8) indicate nell’istanza.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione. Con riguardo alla sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 20/01/2008, parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza in data 02/07/2009, irrevo cabile l’11/03/2011 (sub 1 dell’istanza), con la quale il ricorrente era stato condannato per estorsione, la Corte territoriale avrebbe escluso in modo aprioristico il vincolo della continuazione, senza tener conto delle modalità con cui le richieste di denaro erano state rivolte alla persona offesa, e che dimostrerebbero il loro collegamento con gruppo mafioso denominato INDIRIZZO di cui il COGNOME faceva parte. Il giudice dell’esecuzione non avrebbe neppure valutato il momento a partire dal quale il ricorrente aveva aderito al sodalizio mafioso, risalente agli anni 2005/2006, né avrebbe considerato che non era plausibile che la condotta estorsiva fosse posta in essere senza essere consentita o organizzata dall’associazione criminosa operante nel t erritorio di Surbo ove era stato commesso il reato.
In modo altrettanto illogico l’ordinanza impugnata avrebbe escluso il vincolo della continuazione con riguardo ai reati in materia di stupefacenti giudicati con la sentenza sub 4) della Corte d’appello di Lecce del 20/09/2014 per fatti commessi in data anteriore e prossima al 19/11/2007, al 09/12/2007 e al 10/12/2007. Il giudice dell’esecuzione avrebbe ignorato che già la sentenza di primo grado avev a evidenziato l’unicità della condotta criminosa rispetto a quella oggetto del procedimento definito con la sentenza sub 3), cioè la sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 22/09/2010 confermata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza del 13/ 07/2012, dalle quali risulterebbe che l’attività di vendita di stupefacenti posta in essere dal ricorrente era inserita nell’ambito di un sodalizio di natura mafiosa.
Analoga censura muove il ricorrente con riguardo al mancato riconoscimento della continuazione in relazione ai reati giudicati con la sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 20/06/2017, parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza in data 07/117/2018, irrevocabile il 23/12/2018 (sub 7 dell’istanza) e la sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce del 03/10/2019, parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza in data 09/06/2021, irrevocabile in data 08/02 /2022 (sub 8 dell’istanza). Il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che il COGNOME era stato condannato per la partecipazione all’associazione mafiosa Sacra corona unita e per il delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990; inoltre non avrebbe tenuto conto della circostanza che il Tribunale di sorveglianza di Roma, con provvedimento in data del 29/09/2023, aveva prorogato nei suoi confronti il regime di cui all’art. 41 -bis ord. pen. in ragione dei numerosi precedenti relativi a reati tipici delle organizzazioni mafiose. Aveva infine trascurato le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia utilizzate dai giudici della cognizione, le quali attestavano che il ricorrente era al vertice di un’associazione mafiosa dedita al traffico di stupefacenti nella zona di Tuturano.
2.2. Il secondo motivo deduce vizio di violazione di legge in ragione della errata rideterminazione della pena a seguito del riconoscimento della continuazione, operata dalla Corte territoriale in violazione delle previsioni di cui all’art. 81 cod. pen. e dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, nonché del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Con successiva memoria, il ricorrente ha svolto ulteriori considerazioni a sostegno del secondo motivo di ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
È opportuno in via preliminare ricordare che, secondo questa Corte regolatrice, il riconoscimento della continuazione postula, sia in fase di cognizione che in sede di esecuzione, la programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte grossomodo delineate in vista della realizzazione di un disegno criminoso unitario. L’accertamento sulla sussistenza della continuazione consiste nella verifica ex post di una volontà criminosa non necessariamente
esplicitata, in forma chiara e distinta, al momento del fatto, e che, pertanto, deve essere ricostruita, induttivamente, in termini di elevata probabilità o, comunque, di spiccata verosimiglianza della sua effettiva sussistenza. A tal fine, sono state individuate alcune circostanze che possono fungere da pregnanti indicatori della presenza di una programmazione unitaria, quali «l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali» (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, COGNOME, Rv. 270074).
E se è vero che ciascuno di tali indici, singolarmente considerato non è in sé indicativo dell’esistenza di una cornice deliberativa comune ai singoli episodi, deve nondimeno riconoscersi che la presenza di una pluralità di essi consente di formulare, secondo l’unica prospettiva ragionevolmente plausibile, un giudizio di maggiore probabilità o di più spiccata verosimiglianza che essi siano riconducibili a una stessa risoluzione criminosa (Sez. 1, n. 12905de1 17/3/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Alla luce di tali premesse, il primo motivo di ricorso merita accoglimento limitatamente alle censure svolte con riguardo al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati con la sentenza sub 4) e quelli oggetto della sentenza sub 3).
3.1. Con motivazione meramente apparente la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di tale vincolo senza considerare che la sentenza sub 4) concerneva reati di cessione di stupefacente a NOME COGNOME, e con la sentenza sub 3) il COGNOME era stato con dannato per aver fatto parte di un’associazione dedita al narcotraffico operante nella zona di Brindisi, ma con distribuzione della droga a Lecce e rifornimenti anche da Bari (come specificato nella stessa ordinanza impugnata); soprattutto ha omesso di tener conto degli elementi evidenziati dal giudice della cognizione nella sentenza sub 4) e, in particolare, dei collegamenti che nel corso dell’indagine relativa ai reati oggetto di quella decisione erano emersi tra il COGNOME, a capo del gruppo brindisino dedito al traffico di stupefacenti, e il gruppo leccese facente capo a COGNOME NOME e NOME che dal gruppo brindisino si riforniva di droga, fatti che avevano costituito oggetto della sentenza sub 3).
3.2. Le restanti censure articolate con il primo motivo sono infondate.
Con motivazione sintetica, ma adeguata, la Corte territoriale ha escluso che ricorressero elementi sintomatici della sussistenza di un medesimo disegno criminoso, che consentissero di collegare l’estorsione giudicata con la sentenza sub 2) alla associazione mafiosa cui apparteneva il COGNOME A fronte di tali
considerazioni, la censura del ricorrente si risolve in una contestazione del tutto generica, che non tiene conto dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo l ‘omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i quali, seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto di determina zioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094). Da quest’ultima non si può infatti prescindere, giacché la ratio della disciplina va ravvisata, con riferimento all’aspetto intellettivo, nella iniziale previsione della ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente e, in relazione al profilo della volontà, nell’elaborazione di un pr ogramma di massima, ancorché richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, ulteriori specifiche volizioni (Sez. 1, n. 34502 del 02/07/2015, COGNOME, Rv. 264294).
3.3. Del pari infondata è la censura svolta con riguardo al mancato riconoscimento della continuazione in relazione ai reati giudicati con le sentenze sub 7) e 8).
Con particolare riferimento alla continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione criminosa e i reati fine, questa Corte, con indirizzo condiviso dal Collegio, ha affermato che tale vincolo è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. Ragionando diversamente, infatti, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie associativa (Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285369 -01; Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430 -01; conf.: Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 -01). Conseguentemente, la commissione dei reatifine nell’interesse o comunque in vista del consolidamento del sodalizio criminoso costituisce un elemento privo di univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla adesione all’associazione.
L’ordinanza impugnata si è correttamente attenuta a tali parametri ermeneutici. Il giudice dell’esecuzione, invero, con motivazione logica e coerente, ha spiegato le ragioni per cui ha escluso la sussistenza del medesimo disegno criminoso, fondando tale conclusione sulla circostanza che l’associazione dedita al traffico di stupefacenti per la quale il ricorrente era stato condannato con la sentenza sub 8) era stata dal medesimo costituita e diretta mentre era detenuto in carcere, e perciò in un periodo diverso da quello in cui erano operative le altre
associazioni criminose cui egli aveva partecipato e della stessa facevano parte soggetti differenti rispetto ad esse. Ha inoltre sottolineato, in modo ineccepibile, che l’intervenuta condanna per l’affiliazione al clan mafioso denominato Sacra corona unita fin dal 2006 non implicava automaticamente che tutti i reati commessi successivamente avvenissero nel contesto della medesima associazione.
4. Il secondo motivo è fondato.
4.1. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, il giudice dell’esecuzione che debba procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice della cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo ( ex plurimis , Sez. 1, n. 17948 del 31/01/2024, S., Rv. 286261 -01; Sez. 1, n. 21424 del 19/03/2019, COGNOME, Rv. 275845 -01; Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259030).
Le Sezioni unite hanno, altresì, chiarito che, ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come ‘pena più grave inflitta’, che ide ntifica la ‘violazione più grave’, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza (Sez. U, n. 7029 del 28/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285865 -01).
Si è, inoltre, precisato che nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto dell’applicazione della disciplina del reato continuato, il giudice non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna (Sez. U, n. 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268735; Sez. 1, n. 3276 del 21/12/2015, dep. 25/01/2016, COGNOME, Rv. 265909; Sez. 1, n. 44240 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260847).
4.2. Nella specie, il giudice dell’esecuzione ha disatteso i principi richiamati in quanto, dopo avere individuato il reato più grave nel delitto di cui al capo B) della sentenza sub 3), anziché operare sulla pena per quello comminata i singoli aumenti per ciascuno dei reati satellite giudicati con la medesima sentenza nonché quelli giudicati con le decisioni in relazione alle quali è stato riconosciuto il vincolo della continuazione, ha effettuato tale operazione partitamente e distintamente in
relazione ai reati giudicati con ciascuna delle sentenze, pervenendo così ad una erronea determinazione della pena complessiva.
5 . Alle considerazioni espresse consegue l’annullamento della ordinanza impugnata limitatamente alla valutazione della continuazione tra i reati giudicati con la sentenza sub 4) e quelli giudicati con la sentenza sub 3) dell’istanza, nonché con riguardo alla determinazione della pena complessiva, con rinvio sui punti indicati alla Corte d’appello di Lecce. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla continuazione del reato di cui al capo 4) con quello di cui al capo 3) ed alla determinazione della pena, con rinvio sui punti indicati alla corte d’appello di lecce. rigetta il ricorso nel resto.
Così è deciso, 21/05/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME