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Reato continuato: calcolo pena, la Cassazione detta le regole

Con la sentenza n. 28015/2024, la Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che applicava il reato continuato senza la corretta procedura. La Corte ha ribadito che il giudice deve prima ‘scorporare’ tutti i reati, individuare la violazione più grave su cui basare la pena e, successivamente, applicare aumenti distinti e motivati per ogni singolo reato satellite. La decisione impugnata è stata cassata per non aver seguito questo percorso logico, limitandosi ad un aumento generico della pena.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: la Cassazione stabilisce i criteri per il calcolo della pena

L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione in fase esecutiva, specialmente quando si devono unificare pene derivanti da diverse sentenze, richiede un percorso logico-giuridico rigoroso. Con la recente sentenza n. 28015 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per ribadire i passaggi obbligati che il giudice dell’esecuzione deve seguire per una corretta determinazione della pena, pena l’annullamento del provvedimento.

Il caso: unificazione di più condanne e l’errore del giudice

Nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva accolto la richiesta di un condannato di applicare la disciplina del reato continuato tra i reati già oggetto di una precedente unificazione da parte della Corte d’Appello e quelli di un’altra condanna irrevocabile. Il GIP aveva individuato la pena più grave in quella già unificata dalla Corte d’Appello (pari a 8 anni e 7 mesi di reclusione) e l’aveva aumentata di ulteriori 2 anni di reclusione per i reati della seconda condanna. Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.

I principi sul calcolo del reato continuato in fase esecutiva

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno richiamato la propria giurisprudenza consolidata, incluse le Sezioni Unite, per delineare il corretto iter che il giudice dell’esecuzione deve seguire. La procedura non può essere una semplice somma algebrica o un aumento generico, ma deve fondarsi su due passaggi fondamentali:

1. Scorporo e individuazione del reato più grave: Il giudice deve prima ‘scorporare’, ovvero separare virtualmente, tutti i singoli reati che compongono le diverse sentenze da unificare. Anche se una sentenza precedente ha già operato un’unificazione, è necessario ‘smontare’ quel cumulo giuridico per analizzare ogni singola violazione. Solo dopo questa operazione, il giudice può e deve individuare quale, tra tutti i reati, sia oggettivamente il più grave, sulla cui pena base verrà costruito il calcolo complessivo.

2. Aumenti distinti e motivati per i reati satellite: Una volta stabilita la pena base per il reato più grave, il giudice deve procedere ad aumenti distinti per ciascuno degli altri reati, detti ‘reati satellite’. Ogni aumento deve essere autonomamente motivato. Non è sufficiente un aumento complessivo e generico.

Le motivazioni della Corte Suprema

La Suprema Corte ha censurato l’operato del GIP di Napoli proprio perché non ha seguito questo percorso. In primo luogo, il giudice non ha effettuato lo scorporo dei reati, ma ha erroneamente considerato come pena base l’intero ‘pacchetto’ sanzionatorio già unificato dalla Corte d’Appello, senza individuare la singola violazione più grave. In secondo luogo, ha applicato un aumento di pena indifferenziato per la seconda condanna, senza specificare se questa riguardasse uno o più reati e, soprattutto, senza fornire alcuna motivazione sui criteri adottati per quantificare tale aumento. La Corte ha ricordato che il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena deve essere esercitato nel rispetto dei parametri legali (artt. 132 e 133 c.p.) e il suo percorso logico deve essere trasparente e controllabile. L’assenza di una motivazione specifica per ogni aumento di pena per i reati satellite non permette di verificare il rispetto della proporzionalità e il divieto di un cumulo materiale mascherato.

Le conclusioni: l’importanza di un percorso trasparente

La sentenza in commento riafferma un principio di garanzia fondamentale: il calcolo della pena in caso di reato continuato deve essere un processo analitico e trasparente. Il giudice dell’esecuzione non può limitarsi a un’operazione sommaria, ma deve rendere esplicito il suo ragionamento, permettendo alle parti e alla stessa Corte di Cassazione di verificare la correttezza del percorso logico-giuridico seguito. La decisione, pertanto, viene annullata con rinvio a un nuovo giudice, che dovrà attenersi scrupolosamente ai principi enunciati, garantendo un calcolo della pena giusto e motivato in ogni sua componente.

Come deve essere calcolata la pena dal giudice dell’esecuzione in caso di reato continuato tra più sentenze?
Il giudice deve prima ‘scorporare’ tutti i singoli reati giudicati nelle diverse sentenze, poi individuare la violazione più grave e determinare la relativa pena base. Successivamente, deve applicare aumenti di pena distinti e specificamente motivati per ciascuno degli altri reati (cosiddetti reati satellite).

È sufficiente indicare come pena base quella risultante da una precedente unificazione operata da un’altra corte?
No, non è sufficiente. Secondo la Cassazione, il giudice deve ‘smontare’ anche le unificazioni precedenti per risalire alla singola violazione più grave tra tutte quelle oggetto del nuovo giudizio di continuazione. Indicare genericamente una pena già unificata come base di calcolo costituisce un errore procedurale.

Perché è necessaria una motivazione distinta per ogni aumento di pena relativo ai reati satellite?
È necessaria per consentire un controllo effettivo sul percorso logico e giuridico seguito dal giudice. La motivazione distinta per ogni aumento garantisce che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene e i limiti legali, evitando che si operi un cumulo materiale di pene non consentito e rendendo trasparente l’esercizio del potere discrezionale del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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