Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11936 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11936 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso Corte d’appello di Bari nel procedimento a carico di: NOME nato a PUTIGNANO il 25/02/1980 avverso l’ordinanza del 02/02/2024 della Corte d’appello di Bari udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del sostituto procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 2 dicembre 2024, la Corte di Appello di Bari, quale giudice dell’esecuzione, accoglieva la richiesta avanzata da NOMECOGNOME finalizzata ad ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati con le seguenti sentenze: a) sentenza emessa in data 3.11.2022 dalla Corte di Appello di Bari, con la quale l’istante veniva condannato all’esito di giudizio dibattimentale alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione ed euro 1800,00 di multa, per i reati di cui agli artt. 110, 628 comma 1 e 3 n.1 c.p. (commesso il 18.6.2016), artt. 110, 629 comma 1 e 2 c.p. (commesso dal 5.7.2016 al 10.09.2016) e artt. 110, 628 comma 1 e 3 n.1 c.p. (commesso il 10.09.2016); b) sentenza emessa in data 3.11.2022 dal GUP presso il Tribunale di Bari, irrevocabile il 17.2.2023, con la quale NOME all’esito di giudizio abbreviato veniva condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 1200,00 di multa, per il reato ex art. 110, 628 comma 1 e 3 n. 1 e 3 bis c.p., 71 d.lgs. 159/2011 (commesso il 16.3.2016).
Il giudice dell’esecuzione riconosceva il vincolo della continuazione rideterminando la pena finale in anni 4 e mesi 10 di reclusione ed euro 2100,00 di multa; gli elementi valorizzati dal giudice, ai fini dell’applicazione del cumulo giuridico, sono i seguenti: la vicinanza cronologica delle condotte delittuose, ideate e consumate nel breve lasso temporale intercorrente tra il 16.3.2016 ed il
10.09.16, ovvero nel volgere di circa sei mesi, l’identica o similare natura dei reati rubricati che mirano tutti all’ottenimento di un ingiusto profitto economico a titolo predatorio o estorsivo e sono pertanto lesivi del comune bene giuridico patrimoniale e, infine, la medesimezza delle modalità di esecuzione dei delitti posti in essere, in concorso con complici, attraverso l’introduzione in luoghi privati e facendo ricorso alla coartazione nei confronti della vittima.
Avverso la descritta ordinanza, propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata sulla scorta di un unico motivo di ricorso.
Il ricorrente si duole dell’erroneo calcolo effettuato dal giudice dell’esecuzione nel determinare la pena complessiva; l’oggetto del ricorso, infatti, non riguarda la ritenuta continuazione delle sentenze di condanne definitive ma il calcolo aritmetico delle pene inflitte che deve ritenersi in assoluta violazione del giudicato e in evidente trasgressione di quanto deciso in sede di cognizione.
Il ricorrente sostiene che il giudice ha rideterminando la pena commettendo diversi errori; in primo luogo, ha ridotto la pena rispetto a quella inflitta nella sentenza definitiva.
In secondo luogo, la Corte considera che la sentenza del G.U.P. di Bari provenga all’esito di giudizio abbreviato, invece che affermare l’esatta provenienza della sentenza di patteggiamento. Il giudicante, inoltre, ha indicato nella sentenza n.101/2023 una data sbagliata (3.11.2022, ossia la stessa indicata nell’altra sentenza, quella dibattimentale della Corte di Appello di Bari), invece, avrebbe dovuto indicarne l’effettiva data di emissione e deposito contestuale del 19.01.2023.
In ultimo, il Procuratore sostiene che la Corte ha errato nell’indicare pena base per il reato piø grave quello di cui alla sentenza sub n.2, invece che affermare come sicuramente piø grave il delitto di cui alla sentenza n.1.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione appare fondata e va, quindi, accolta.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di piø violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 16/04/2009, COGNOME, Rv. 243632).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel quantificare la pena a seguito di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, il giudice – in quanto titolare di un potere discrezionale esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. – Ł tenuto a motivare, non solo in ordine all’individuazione della pena-base, ma anche in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reati-satellite ex art. 81, comma secondo, cod. pen., in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena-base (Sez. 1, n. 800 del 07/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280216; Sez. 1, n. 17209 del 25/05/2020, COGNOME, Rv. 279316).
Sempre in termini di quantificazione del trattamento sanzionatorio, la giurisprudenza di Codesta Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la necessità di rideterminare la pena complessiva da infliggere a titolo di continuazione rispetto a fatti parzialmente già unificati dal giudice
dell’esecuzione con il vincolo della continuazione, non può condurre ad una modificazione peggiorativa della pena rispetto a quella già determinata in sede di precedente applicazione della continuazione ( Sez. 1, n. 2640 dell’ 11/04/13, Sez. 1, n. 40536 del 14/10/2008).
Il ricorrente, nel censurare la motivazione dell’ordinanza impugnata espone la violazione di alcuni dei principi di diritto fin qui enunciati: la necessità di una corretta e puntuale motivazione in relazione alla determinazione della pena che deve attuarsi tenendo conto del reato piø grave e aggiungendo, previa motivazione, l’aumento per i singoli reati satellite.
L’impegno motivazionale – come da insegnamento della giurisprudenza di legittimità – Ł correlato all’entità degli aumenti di pena.
In sostanza, come precisato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01) il giudice dell’esecuzione ha un obbligo motivazionale elastico nel senso che esso si estende anche ai singoli reati satellite: anche per questi reati, seppure di gravità minore rispetto al reato principale individuato, sorge la necessità di motivare il correlato aumento di pena.
In motivazione, la suddetta pronuncia specifica che su un piano generale risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga piø vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto piø si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464).
E, per converso, quanto piø il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piø ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, COGNOME, 207497).
Quanto, poi, alla individuazione della violazione piø grave cui deve riferirsi il giudice dell’esecuzione per stabilire la base di calcolo della pena finale in caso di riconoscimento del vincolo della continuazione fra piø fatti separatamente giudicati, l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce che si considera violazione piø grave quella per la quale Ł stata inflitta la pena piø grave, anche quando per alcuni reati si Ł proceduto con giudizio abbreviato.
Il giudice dell’esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato in ordine a reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili, Ł vincolato, nell’individuazione della violazione di maggiore gravità, a fare riferimento a quella punita con la pena piø grave inflitta in concreto dal giudice della cognizione, la cui specie o misura non possono essere in nessun caso modificate, in senso peggiorativo o migliorativo, potendo egli operare soltanto una diminuzione delle pene irrogate per i reati satellite. (Sez. 1, n. 38331 del 05/06/2014, Fall, Rv. 260903 – 01)
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, ha l’obbligo di non determinare una pena superiore peggiorativa, tanto da svuotare il principio del favor rei che ispira e costituisce la ratio del reato continuato, ma al contempo non può eludere, riducendo l’entità della pena, quanto deciso dal giudice in sede di cognizione; egli ha il vincolo del precedente giudicato.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, deve correttamente individuare quale sia il reato piø grave, tenendo conto delle diminuzioni, dovute al riconoscimento delle circostanze attenuanti, effettuate in sede di cognizione e, deve tenere in considerazione la pena inflitta precedentemente per il reato che, appunto, considera piø grave.
Ciò premesso, la Corte di Appello di Bari non ha assolutamente individuato correttamente il
reato piø grave poichØ ha effettuato il calcolo considerando violazione piø grave – e dunque reatobase – quello di cui alla sentenza sub. 2).
Nel caso di specie, quindi, Ł evidente l’erroneità del calcolo complessivo modulato dalla Corte territoriale; il giudice ha considerato, in palese violazione del disposto dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., come violazione piø grave non quella per cui Ł stata inflitta in concreto la pena piø grave, cioŁ quella sub 1), come sarebbe stato corretto, bensì quella sub 2) che ha valutato non già nella entità concretamente inflitta, pari ad anni due di reclusione, bensì al lordo delle riduzioni per le attenuanti e il rito.
La necessità di una motivazione omnicomprensiva, che individui correttamene il reato piø grave coinvolgente anche la pena inflitta in sede di cognizione e che tenga in debito conto delle pene dei singoli reati satellite, ha una ratio intoccabile: Ł doveroso che il percorso motivazione sia puntuale al fine di apprezzare la correttezza dell’esercizio del potere discrezionale di cui Ł titolare il giudice.
Solo in tal modo, infatti, Ł possibile un controllo sull’operato del decidente indirizzato alla soppressione di qualsiasi forma di decisione arbitraria.
Il rispetto del principio di intangibilità del giudicato e del cd. vincolo implicito in merito agli aumenti per il trattamento sanzionatorio, sono ispirati alla logica del favor rei, che in quanto tale non va disattesa nØ dimenticata in sede di quantificazione del trattamento sanzionatorio nella sua globalità.
L’ordinanza deve essere dunque annullata relativamente alla determinazione della pena con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla misura della pena complessiva con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Bari
Così Ł deciso, 13/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME