Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18381 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18381 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 07/10/1985
avverso l’ordinanza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso e l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza in accoglimento del secondo motivo.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, dopo avere respinto l’eccezione di mancata formazione del titolo esecutivo ex art. 670 cod. proc. pen. con riferimento alla sentenza emessa dalla medesima Corte il 05/10/2021, irrevocabile il 18/02/2022 (sentenza sub 1), ha accolto l’istanza presentata nell’interesse di Reside Murtic, diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato in relazione ai reati giudicati con la predetta sentenza della Corte di appello di Trieste del 05/10/2021, ed i reati giudicati dal GUP di Pordenone con sentenza 20/09/2017, irr. il 19/10/2017 (sentenza sub 2).
1.1. Più precisamente, il G.E. ha innanzitutto rilevato l’infondatezza dell’eccezione ex art. 670 cod. proc. pen., formulata, in relazione alla sentenza sub 1., dalla difesa di Murtic sul presupposto che la pronuncia non fosse stata tradotta nella lingua croata dell’imputata; la Corte, a fondamento del provvedimento reiettivo, ha evidenziato come dall’analisi del fascicolo processuale fosse emerso che, in sede di verbale di perquisizione e sequestro, l’allora indagata ed il correo Jugopol Ugrin «avevano dimostrato di comprendere la lingua italiana».
1.2. Quanto al riconoscimento della continuazione in executivis, la Corte triestina ha ritenuto sussistente la medesimezza del disegno criminoso tra il reato di ricettazione giudicato dalla medesima Corte con la sentenza sub 1., che aveva già unificato il tentato furto giudicato con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del Tribunale di Udine del 03/04/2017, irr. 04/05/2017, con i quattro furti giudicati dal GUP di Pordenone con la sentenza sub 2.. Il G.E. ha determinato la pena base in quella comminata per la ricettazione giudicata con la sentenza sub 1. di anni 2 di reclusione ed € 600 di multa, aumentata di mesi 2 ed € 100 di multa per il tentato furto giudicato con la sentenza del Tribunale di Udine del 03/04/2017 (già unificato), ulteriormente aumentata di mesi 2 di reclusione ed € 100 di multa per ciascuna delle quattro ipotesi di furto giudicate con la sentenza sub 2., rideterminando la pena inflitta per tale ultima sentenza in complessivi mesi 8 di reclusione ed € 400 di multa, in aumento sulla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione ed € 700 di multa inflitta con la sentenza Corte appello di Trieste del 05/10/2021.
Avverso il provvedimento ricorre Reside COGNOME per mezzo del difensore, Avv. NOME COGNOME articolando i motivi di ricorso che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 143 cod. proc. pen.
La sentenza della Corte di appello di Trieste del 05/10/2021, relativo ad un fatto delittuoso commesso il 17/03/2017, il cui procedimento si è svolto in assenza dell’imputata, non è stata tradotta nella lingua conosciuta dall’imputata (il croato) nonostante, come evidenziato in seno all’incidente di esecuzione avanzato al G.E., in epoca di poco successiva ai fatti, e precisamente il 31/03/2017, la Murtic fosse stata fermata dalla Polizia di Trieste che, in sede di verbale di identificazione, specificava che la donna comprendesse «pochissimo la lingua italiana».
Il G.E., per respingere l’istanza, ha valorizzato il dato emergente dal fascicolo processuale inerente i fatti per cui era stata emessa la sentenza oggetto dell’incidente di esecuzione (Corte di appello di Trieste del 05/10/2021), da cui emergeva che, in sede di verbale di perquisizione e sequestro, gli operanti avessero dato atto che gli indagati «avevano dimostrato di comprendere la lingua italiana» e che i verbali di identificazione, elezione di domicilio e nomina difensore di fiducia fossero stato tutti redatti nella nostra lingua.
Si duole la Difesa che, a fronte di due emergenze contrastanti, il G.E. abbia valorizzato, senza fornire adeguata motivazione, quello da cui poteva desumersi la conoscenza dell’italiano da parte dell’imputata, escludendo la rilevanza delle dichiarazioni successivamente rese dalla Murtic, e ponendosi in contrasto con le decisioni di altri Giudici, che avevano nominato un interprete alla Murtic, ed alla Procura generale di Trieste che aveva tradotto in lingua croata l’ordine di esecuzione delle sentenze di condanna.
L’ordinanza si pone quindi in contrasto con l’art. 143 cod. proc. pen., e la mancata traduzione in lingua croata della sentenza di condanna implica la non esecutività della stessa.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 133 cod. proc. pen.
Il G.E., nel riconoscere la continuazione tra i fatti giudicati con la sentenza della Corte di appello di Trieste del 05/10/2017 (ritenuti più gravi) e quelli giudicati con la sentenza del GIP di Pordenone del 20/09/2017, ha stabilito, in relazione ai quattro furti decisi con tale ultima sentenza, un aumento per la continuazione pari a mesi 2 di reclusione ed C 100 di multa ciascuno, per complessivi mesi 8 di reclusione ed C 400 di multa, a fronte di una pena inflitta in sede di cognizione pari a mesi 8 di reclusione ed C 516 di multa; tale pena in aumento non è sorretta da adeguata motivazione, e si pone in termini di irragionevolezza rispetto alla pena, sempre in aumento, stabilita per il coimputato Jugupol, per il quale il G.E. ha determinato la pena in aumento per i quattro furti di cui alla sentenza sub 2., pari a mesi 1 di reclusione ed C 25 di multa; ancor più contraddittorio appare il diverso trattamento sanzionatorio inflitto alla ricorrente, dal momento che ella, in sede di cognizione, aveva subito una pena meno severa rispetto al correo.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso e l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza in accoglimento del secondo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.
Il primo motivo di ricorso, con il quale la condannata eccepisce la nullità della sentenza emessa dalla Corte di appello di Trieste il 05/10/2021, per mancata traduzione in lingua conosciuta dalla prevenuta, è infondato e dev’essere disatteso.
Nel caso di specie, correttamente il G.E. ha valutato le emergenze relative al procedimento per il quale era avanzato l’incidente di esecuzione, ravvisando, all’interno del fascicolo processuale, elementi dai quali trarre la comprensione, in capo all’imputata, della lingua italiana: in particolare si è evidenziato come detta comprensione fosse stata attestata da pubblici ufficiali nel verbale di perquisizione e sequestro del 13/03/2017, ove si dava espressamente atto che gli imputati «avevano dimostrato di comprendere la lingua italiana».
Trattasi di argomentazione logica ed ancorata ad atti specifici, che sfugge ad ogni rilievo in questa sede.
Si è infatti già affermato (Sez. 2, n. 11137 del 20/11/2020, dep. 2021, Dong, Rv. 280992 – 01) che, in tema di diritto alla traduzione degli atti, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana costituisce una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se – come avvenuto nella specie – motivata in termini corretti ed esaustivi.
Il secondo motivo, nel quale si censurano gli aumenti irrogati all’esito del riconoscimento del vincolo della continuazione, per i quattro furti definiti con la sentenza del GIP di Pordenone del 20/09/2017, è fondato.
Questa Corte ha affermato che il giudice dell’esecuzione che debba procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice della cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 5, n. 8436 del
27/9/2013, depositato il 2014, COGNOME, Rv. 259030). Ed inoltre ha affermato che il giudice dell’esecuzione deve dare conto dei criteri utilizzati nella rideterminazione della pena per applicazione della continuazione, in modo da rendere noti all’esterno non solo gli elementi che sono stati oggetto del suo ragionamento, ma anche i canoni adottati, sia pure con le espressioni concise caratteristiche dei provvedimenti esecutivi (Sez. 1, sentenza n. 23041 del 14/5/2009, COGNOME, Rv. 244115); specificando in particolare che detto giudice – in quanto titolare di un potere discrezionale esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. è tenuto a motivare, non solo in ordine all’individuazione della pena-base, ma anche in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reati-satellite ex art. 81, comma secondo, cod. pen., in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all’uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena base (Sez. 1, n. 17209 del 25/05/2020, COGNOME, Rv. 279316).
Sono, poi, intervenute le Sezioni Unite di questa Corte – Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01 – che, componendo un contrasto sul punto, hanno chiarito, sia pure con riferimento a un caso in cui veniva in rilievo la continuazione in sede di cognizione, che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. La Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operat surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Conf. Sez. U, n.7930/95, Rv.20154901).
4.Nel caso in esame, il G.E., dopo avere esattamente individuato, ex art. 187 disp. att. cod. proc. pen., la pena più grave da porre a base del calcolo per la continuazione, ha, con un automatismo che non trova spazio in materia, tenuto fermo l’aumento già stabilito per la continuazione, in relazione al reato già unificato di cui alla sentenza del Tribunale di Udine del 03/04/2017, applicando poi il medesimo aumento per ciascuno dei quattro reati di cui alla sentenza (sub 2) del GUP del Tribunale di Pordenone del 20/09/2017, irr. il 19/10/2017.
Nel fare ciò, la Corte si è tuttavia sottratta all’onere motivazionale sulla stessa incombente, che impone di. valutare, per ciascun reato satellite, gli elementi che, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., incidono sulla gravità dei singoli reati unificati “quoad poenam” e di indicare l’entità e le ragioni degli aumenti di pena, avuto riguardo alla
cornice edittale prevista per le fattispecie contestate e alle relative circostanze aggravanti o attenuanti.
Il G.E. non era vincolato alla valutazione operata in sede di cognizione nella determinazione dell’aumento per il reato giudicato con la sentenza Tribunale di Udine
del 03/04/2017; conseguentemente, nel limitarsi a richiamare gli aumenti già
stabiliti per i fatti già unificati («non appare ragionevole e giustificato applicare per i più gravi furti consumati del 31 marzo 2017 un aumento inferiore») non ha fornito
adeguata motivazione rispetto alla determinazione degli aumenti relativi ai reati di cui alla sentenza del GUP di Pordenone del 20/09/2017.
Nel caso di specie, quindi, non risulta che la rideterminazione della pena a seguito del riconoscimento del beneficio de quo sia stato operato in modo corretto,
con la conseguenza che il motivo di ricorso deve ritenersi fondato.
5. Per le rilevate lacune, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata, limitatamente alla determinazione della pena del reato continuato, con rinvio per
nuovo giudizio su tale punto alla Corte di appello di Trieste.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della pena del reato continuato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trieste. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 21 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Hresdente