Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27691 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOMECOGNOME nato a Bari il 15/05/1977
NOME NOMECOGNOME nato a Bitonto il 11/01/1989
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 19/03/1970
NOMECOGNOME nato a Bari il 06/12/1967
NOMECOGNOME nato a Bari il 22/09/1971
NOMECOGNOME nato a Terlizzi il 26/01/1974
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 19/08/1966
COGNOME NOME nato a Bari il 09/01/1981
COGNOME NOMECOGNOME nato a San Severo il 17/06/1986
COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 01/12/1971
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 27/05/1978
12. COGNOME NOMECOGNOME nato a Bitonto il 04/01/1981 avverso la sentenza del 19/07/2024 della Corte di appello di Bari visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME
•
COGNOME per il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio da rideterminare in anni nove, mesi dieci e giorni venti di reclusione, e per l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per NOME COGNOME limitatamente al punto concernente il giudizio di comparazione, e per NOME COGNOME limitatamente al punto concernente l’aumento per la continuazione;
udito il difensore della parte civile Comune di Bari, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
uditi i difensori di NOME COGNOME Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
letto l’atto di rinuncia all’impugnazione fatto pervenire dal difensore e procuratore speciale di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari ha deciso sia quale Giudice di rinvio, a seguito di parziale annullamento – con sentenza di questa Corte di cassazione, Sezione Prima penale, n. 8082 del 10 ottobre 2023, dep. 2024 – della sentenza della Corte di appello di Bari del 17 giugno 2022 (che aveva parzialmente riformato la sentenza del 28 gennaio 2020 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari e la sentenza del 5 maggio 2020 del Tribunale di Bari), sia quale Giudice di appello avverso la sentenza del 12 luglio 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari.
Più precisamente, con la sentenza del 28 gennaio 2020 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari, per quanto di interesse in questa sede (la sentenza del 5 maggio 2020 non assume rilievo ai fini del presente giudizio di legittimità), all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la pena responsabilità di:
NOME COGNOME per il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata «RAGIONE_SOCIALE» (capo A), con le attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante dell’essere l’associazione armata e all’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011;
NOME COGNOME per il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata «clan Capriati» (capo Al), con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’essere l’associazione armata;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo A), con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla predetta aggravante, ritenuta la continuazione tra detto reato, ritenuto più grave, e quelli per i quali era già stato giudicato con sentenza della Corte di appello di Bari del 3 aprile 2007, irrevocabile il 29 ottobre 2009;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo A), con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla predetta aggravante;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo A), con il ruolo di capo-organizzatore, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’essere l’associazione armata e all’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011, ritenuta la continuazione tra detto reato, ritenuto più grave, e quelli per i quali era già stato condannato con sentenza della Corte di appello di Bari del 5 novembre 2001, irrevocabile il 21 marzo 2002;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo A) e per il reato di detenzione abusiva di arma comune da sparo aggravata ai sensi dell’art. 7 legge 12 luglio 1991, n. 203, con le attenuanti generiche equivalenti e ritenuta la continuazione tra i due reati;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo Al), con l’aggravante dell’essere l’associazione armata, e per il reato di detenzione abusiva di arma comune da sparo – esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 – (capo C9), con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e ritenuta la continuazione tra i due reati;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo A), con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante;
NOME COGNOME per il reato associativo di cui al capo Al), con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’essere l’associazione armata.
Ha quindi condannato i predetti alle pene ritenute di giustizia, mentre ha
assolto NOME COGNOME dall’imputazione di cui al capo Al) per non aver commesso il fatto.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza del 17 giugno 2022, decidendo sull’appello proposto dal Pubblico ministero, nei confronti di NOME COGNOME e dagli imputati, ha riformato la sentenza di primo grado.
In particolare, ha ritenuto, in relazione alle posizioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti.
Inoltre, quanto a:
NOME COGNOME ha ritenuto la continuazione tra il reato associativo per cui si procede in questa sede ed i reati per i quali era già stato giudicato con la sentenza c.d. «Marte» della Corte di appello di Bari del 23 aprile 2002 ed irrevocabile il 4 dicembre 2003 e con la sentenza «Singer» del 26 ottobre 2006, irrevocabile in data 11 luglio 2007;
NOME COGNOME ha ritenuto la continuazione con il reato per il quale era stato giudicato con sentenza della Corte di appello di Bari del 28 febbraio 2020, irrevocabile in data 12 gennaio 2022;
NOME COGNOME ha escluso l’aumento a titolo di continuazione esterna con i reati per i quali era già stato condannato con sentenza della Corte di appello di Bari del 5 novembre 2001, irrevocabile il 21 marzo 2002;
NOME COGNOME ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati per i quali si procede in questa sede e quelli per i quali era stato già giudicato con la sentenza «Hinterland 2» emessa dalla Corte di appello di Bari il 19 gennaio 2018 e irrevocabile il 5 giugno 2018;
NOME COGNOME ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra il reato per il quale si procede in questa sede e quello per il quale è stato già giudicato con la sentenza «Malaerba» della Corte di assise di appello di Bari datata 8 marzo 2019, irrevocabile in data 17 luglio 2020;
NOME COGNOME ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra il reato per il quale si procede in questa sede e quello per il quale è stato già giudicato con la sentenza «Malaerba» della Corte di assise di appello di Bari datata 8 marzo 2019, irrevocabile in data 17 luglio 2020.
Ha conseguentemente rideterminato le pene nei confronti dei predetti.
Ha pure affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui al capo Al) commesso sino ad epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015 e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti, lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Questa Corte di cassazione, con la sentenza n. 8082 del 10 ottobre 2023, dep. 2024, ha annullato la sentenza di secondo grado, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari, nei confronti di:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al punto concernente l’aumento per la continuazione;
NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al punto concernente il trattamento sanzionatorio;
NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al punto concernente la continuazione;
NOME COGNOME limitatamente al punto concernente il giudizio di comparazione tra le circostanze;
NOME COGNOME limitatamente ai punti concernenti l’aumento per la continuazione ed il trattamento sanzionatorio;
NOME COGNOME limitatamente ai punti concernenti la continuazione ed il trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello di appello di Bari, a seguito del predetto annullamento, ha disposto la riunione di detto processo a quello scaturito dall’appello proposto avverso la sentenza del 12 luglio 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, che, all’esito del giudizio abbreviato aveva, tra l’altro, affermato la penale responsabilità di:
NOME COGNOME per i delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, in qualità di direttore, promotore e organizzatore del sodalizio (capo a), detenzione illecita di cocaina (capo b) e cessione continuata di cocaina (capo cc), con la aggravante di cui all’art. 7 del decreto-legge n. GLYPH 152 del 1991 e le circostanze attenuanti equivalenti alle ulteriori aggravanti contestate in relazione al delitto associativo e ritenuta l continuazione tra i reati;
NOME COGNOME per più delitti di illecito acquisto di cocaina, ritenuta la continuazione tra i reati, con l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva reiterata e ritenuta la continuazione tra i reati.
Quindi la Corte di appello, con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto di interesse in questa sede, ha riformato la sentenza del 12 luglio 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari e la sentenza del 28 gennaio 2020 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari, come riformata dalla Corte di appello di Bari con la sentenza del 17 giugno 2022.
In particolare, quanto a:
NOME COGNOME ha ritenuto la circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 prevalente sulla recidiva reiterata e ha rideterminato il trattamento sanzionatorio;
NOME COGNOME ha ritenuto il reato associativo consumato sino ad epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015 e ha rideterminato il trattamento sanzionatorio;
NOME COGNOME ha ritenuto che i reati per i quali si procede in questa sede siano uniti dal vincolo della continuazione con quelli per i quali è stata emessa la sentenza della Corte di assise di appello di Bari del 20 luglio 2009 e ha rideterminato il trattamento sanzionatorio;
NOME COGNOME tenuto conto della già riconosciuta continuazione con i reati per i quali egli era già stato giudicato con sentenza della Corte di assise di appello di Bari datata 8 marzo 2019, ha ridotto la pena determinata quale aumento per la continuazione con i reati per i quali si procede in questa sede;
NOME COGNOME ha ritenuto la continuazione tra i reati per i quali si procede in questa sede e quelli per i quali egli era già stato condannato con le sentenze del 21 febbraio 2023 e del 20 febbraio 2008 della Corte di appello di Bari (tra loro già unificati con ordinanza della Corte di appello di Bari del 20 febbraio 2008) e ha rideterminato il trattamento sanzionatorio, revocando altresì l’indulto applicato con le ordinanze del 18 dicembre 2007 e del 4 marzo 2009 della medesima Corte di appello;
NOME COGNOME ha riconosciuto la continuazione esterna con la sentenza della Corte di appello di bari del 13 ottobre 2006, irrevocabile il 27 febbraio 2007 e ha rideterminato il trattamento sanzionatorio.
Ha, invece, confermato quanto già deciso con la sentenza oggetto di precedente annullamento nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
7.1. Con il primo motivo deduce che la Corte di appello, riconoscendo la prevalenza dell’attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, ha escluso la recidiva e quindi avrebbe dovuto applicare un’ulteriore riduzione di pena per le attenuanti generiche, che in precedenza erano state ritenute equivalenti alla recidiva reiterata.
7.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’erroneo computo della diminuzione di pena per la predetta attenuante, applicata in misura inferiore a
quella massima, segnalando la contraddittorietà della motivazione sul punto, atteso che l’applicazione dell’attenuante presuppone la significatività della collaborazione prestata dall’imputato, che è stata riconosciuta dalla sentenza di primo grado, avendo egli fattivamente contribuito alla ricostruzione della vicenda delittuosa, mentre la Corte di merito ha affermato che non sono «state di fatto, comunque decisive in toto le sue dichiarazioni».
Avverso la sentenza ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando un solo motivo con il quale si duole dell’errato calcolo della pena.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe dovuto applicare l’aumento per la continuazione con il delitto per cui si procede in questa sede – individuato in anni tre di reclusione dopo la riduzione per le attenuanti e quella per la scelta del rito – aggiungendolo al totale delle pene inflitte in precedenza (pari ad anni dieci di reclusione) e raggiungendo il totale di anni tredici di reclusione, ma avrebbe dovuto procedere ad un nuovo calcolo delle pene per ognuno dei reati avvinti dal vincolo della continuazione, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione secondo la quale la mancata specificazione della pena per ciascun reato impedisce di far emergere l’effettiva entità della pena base e quindi l’entità degli aumenti già quantificati per la continuazione interna, determinando una carenza motivazionale (Sez. Un. n. 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735).
La riduzione di un terzo per la scelta del rito andava applicata sulla pena risultante dopo tutte le altre valutazioni assegnate dalla legge al giudice.
Aggiunge che la Corte di appello, nel quantificare l’aumento di pena per il reato associativo, neppure ha considerato il positivo comportamento processuale consistito nel rinunziare ai vari motivi di ricorso ad eccezione di quello attinente alla pena, in tal modo violando l’art. 133, secondo comma, n. 3, cod. pen.
Sostiene altresì che per il reato associativo risulta irrogata una pena ben maggiore di quelle inflitte con ciascuna delle due precedenti sentenze irrevocabili, sebbene queste avessero ad oggetto reati caratterizzati da un più lungo periodo di partecipazione al sodalizio criminale.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata ed articolando un solo motivo con il quale lamenta l’erronea rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Segnala che la Corte di cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado limitatamente al motivo relativo all’aumento per la continuazione con il
reato associativo per il quale si procede in questa sede della pena inflitta con la sentenza ormai irrevocabile, essendo detto aumento stato fissato in misura prossima a quella inflitta con la sentenza già passata in giudicato senza che sul punto fosse fornita un’adeguata motivazione.
Sostiene che il Giudice del rinvio non ha colmato la lacuna motivazionale, limitandosi ad utilizzare una generica formula di stile, cosicché la motivazione risulta meramente apparente, dovendo questa invece consentire di accertare se sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, se siano stati rispettati i limiti di cui all’art. 81 c se non sia stato surrettiziamente operato un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi di impugnazione.
10.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena. Segnala che la sentenza non spiega perché la pena non sia stata fissata nel minimo edittale e che, sebbene la Corte di appello affermi di voler equiparare la sua posizione a quella di altri imputati per i quali la condotta associativa si è arrestata prima della entrata in vigore della legge n. 69 del 2015 e che sono stati condannati a pene inferiori ai quattro anni di reclusione, egli è stato condannato alla pena detentiva di anni quattro.
10.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della carenza di motivazione in ordine al diniego della riduzione, nella massima estensione, della riduzione di pena per le attenuanti generiche, applicata nella misura di un quarto.
Anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso chiedendo l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.
11.1. Con il primo motivo il ricorrente, nel ripercorrere le precedenti fasi processuali, segnala che la sentenza qui impugnata ha ritenuto la continuazione tra i fatti per i quali è stata pronunciata la sentenza della Corte di assise d appello di Bari del 20 luglio 2009, quelli per i quali è stata emessa la sentenza della Corte di appello di Bari del 5 novembre 2001 (processo Stinger 1), quelli oggetto del presente processo (c.d. Pandora) e quelli di cui alla sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del 20 maggio 2024; ha quindi inflitto la pena complessiva di anni trenta di reclusione sulla base del calcolo riportato nella motivazione della stessa sentenza (a pag. 39).
In particolare, nella motivazione si afferma che «si opera un aumento in continuazione dei fatti reato qui contestati di anni uno, nonché di un ulteriore anno per i fatti-reato di cui alla sentenza 757/21 (procedimento riunito n. 368/22 RG CdA) che ridotti per il rito portano la pena ad anni due, la quale posta in continuazione con i reati qui alla sentenza n. 29/09 porta alla pena massima in applicazione del principio di cui all’art. 78 c.p. – di anni trenta di reclusione»
Si duole, quindi, il ricorrente della reformatio in peius operata dalla Corte di merito evidenziando che per i fatti di cui alla sentenza «Singer 1» il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari, con la sentenza n. 106/2020 del 28 gennaio 2020, aveva determinato un aumento in continuazione di mesi otto di reclusione (aumento di un anno ridotto di un terzo per la scelta del rito).
Sul punto, in difetto di impugnazione del Pubblico ministero, si era formato il giudicato.
La Corte di appello aveva escluso la continuazione e sul punto la sua decisione è stata annullata da questa Corte di cassazione. Il Giudice del rinvio ha poi in modo erroneo ricalcolato autonomamente l’aumento per la continuazione in anni tre di reclusione (ossia anni quattro e mesi sei di reclusione ridotti poi un terzo per la scelta del rito), mentre l’aumento andava fissato in mesi otto, in virtù del giudicato già formatosi sul punto.
11.2. Con il secondo motivo il ricorrente evidenzia l’errore di calcolo in cui è incorso il Giudice del rinvio, atteso che la somma dei due aumenti per la continuazione è pari ad anni due di reclusione, che ridotti di un terzo è pari ad un anno e quattro mesi di reclusione e non ad anni due di reclusione, come indicato nella motivazione della sentenza qui impugnata.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
12.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., e 416-bis cod. pen. nel testo modificato dalla legge n. 69 del 2015, nonché carenza o contraddittorietà della motivazione.
Segnala che questa Corte di cassazione, con la precedente sentenza di annullamento, aveva rilevato una carenza motivazionale, non avendo la Corte di merito dato risposta alle obiezioni difensive relative alla valenza probatoria delle dichiarazioni dei collaboranti NOME COGNOME e NOME COGNOME inidonee a dimostrare che la sua partecipazione al sodalizio criminale si fosse protratta anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015.
Il Giudice del rinvio, sostiene il ricorrente, nel dare risposta a dett
obiezioni, avrebbe omesso di rilevare che le dichiarazioni di NOME COGNOME sebbene ritenute dal Giudice attendibili, sono rimaste prive di riscontro.
In ogni caso, afferma il ricorrente, laddove il Giudice del rinvio ha desunto, dalla sua adesione al clan COGNOME avvenuta nel 2019, la sua permanenza nel clan Mercanti/Diomede sino a tale anno, la motivazione risulta apodittica e fondata su una mera congettura, non valendo la prima a dimostrare necessariamente la seconda.
Quanto ad NOME COGNOME, la Corte di merito ha affermato che la tabella riportante i movimenti carcerari del Favia dal 4 luglio 2014 al 15 aprile 2016 – finalizzata a neutralizzare le propalazioni del collaborante, ininterrottamente detenuto dal 3 marzo 2016 e quindi impossibilitato a conferire con un soggetto sottoposto agli arresti domiciliari dal 2014 a data successiva alla sua scarcerazione – non avrebbe rilievo poiché le propalazioni del COGNOME sono state rese nel 2021 e hanno confermato l’affiliazione del ricorrente sino al momento della sua collaborazione. Il ricorrente, a tale proposito, sostiene che la circostanza che il collaborante abbia reso le sue dichiarazioni nel 2021 non vale a dimostrare che l’affiliazione sia rimasta immutata sino a tale momento, tanto è vero che il collaborante NOME COGNOME ha sostenuto che il Favia nel 2019 avrebbe aderito ad un diverso sodalizio criminale, con la conseguenza che le dichiarazioni del COGNOME non valgono a riscontrare quelle del De COGNOME
La Corte di merito ha osservato che l’eventuale venir meno dell’appartenenza del COGNOME al clan sarebbe stata sicuramente comunicata, entro il periodo dal 2015 al 2021, al COGNOME, considerato il grado elevato della partecipazione al sodalizio mafioso del collaborante, che ha invece collocato il COGNOME nel clan Mercante con ruolo specifico.
Anche in tale parte, denuncia il ricorrente, la motivazione risulta fondata su mere congetture e su un ragionamento che in ogni caso confligge con le stesse dichiarazioni del collaborante, dalle quali si ricava una sua scarsa conoscenza delle dinamiche associative mafiose relative ai paesi limitrofi.
Inoltre, il ricorrente evidenzia che la Corte di merito, laddove ha affermato che «Non vi sono elementi da cui desumere una dissociazione, nè elementi da cui desumere il transito illo tempore in altre consorterie», ha omesso di confrontarsi con i plurimi elementi, segnalati sia nell’atto di appello sia nell memoria difensiva depositata in data 20 maggio 2022, dai quali si ricavava che la partecipazione al sodalizio indicato al capo A) si era arrestata ad epoca di molto anteriore all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015, ossia:
– gli interrogatori dei collaboranti NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati assunti nel 2010 e l’interrogatorio del collaboratore NOME COGNOME era stato reso in data 3 marzo 2015, prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del
2015;
la vicenda che riscontrava le dichiarazioni di NOME COGNOME era relativa a cessioni di stupefacente accertate sino al 2013;
il collaborante NOME COGNOME non aveva reso dichiarazioni a carico di NOME COGNOME ma solo a carico del fratello NOME COGNOME;
le intercettazioni e le attività di videosorveglianza relative al ricorrent riguardavano il periodo dal 2008 al 2009, mentre i servizi di osservazione coprivano il periodo dal 2008 al 2013, mentre i flussi di corrispondenza erano circoscritti agli anni 2009 e 2010.
Inoltre, a partire dal 2014 NOME COGNOME aveva svolto l’attività di bracciante agricolo, interrotta solo a seguito del suo arresto in data 4 luglio 2014 per la vicenda Hinterland 2, relativa ad episodi di piccolo spaccio fino al 2013, e poi ripresa sino all’arresto nell’ambito del presente procedimento.
12.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 81, 62-bis, 132 e 133 cod. pen., dell’art. 125 cod. proc. pen., nonché carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Sostiene che la sentenza è carente di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicare il minimo edittale e che la motivazione è meramente apparente in ordine alla applicazione della diminuzione di pena per le attenuanti generiche in misura inferiore rispetto a quella massima di un terzo della pena, non essendo state valutate in alcun modo le argomentazioni difensive sul punto.
Neppure il Giudice del rinvio ha tenuto conto della condotta successiva al reato, come documentata con la produzione documentale effettuata all’udienza del 19 giugno 2024.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME attraverso il suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi di impugnazione.
13.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Segnala che la Corte di appello di Bari, con la sentenza di secondo grado, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli già giudicati con la sentenza «Malaerba», aveva aumentato la pena di anni otto di reclusione inflitta con la sentenza già irrevocabile di ulteriori anni tre di reclusione sulla base del seguente calcolo: pena base di anni quattro e mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo Al), ridotta ad anni tre di reclusione per le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante, aumentata di anno uno e mesi sei di reclusione per la continuazione
con il capo C9) e poi ridotta di un terzo per la scelta del rito.
Il Giudice del rinvio, a seguito dell’annullamento pronunciato da questa Corte di cassazione, ha lasciato invariato l’aumento di pena per il capo Al), mentre ha ridotto l’aumento per il capo C9), fissandolo in mesi sei di reclusione. Nel motivare la decisione, il Giudice del rinvio ha ritenuto congruo l’aumento per il capo Al), osservando che risultava rispettato il criterio di proporzione con la pena base fissata nella sentenza «Malaerba» di anni sei e mesi otto di reclusione e che il reato di cui al capo Al) risultava particolarmente grave considerata la lunga durata della partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale, di quasi dieci anni, e la sua totale adesione alle attività illecite dell’associazione mafiosa.
Sostiene, quindi, il ricorrente che la decisione si pone in contrasto con la ratio del reato continuato, ossia la unicità del disegno criminoso e quindi il minor disvalore insito nella condotta di chi, pur commettendo più reati, ha indirizzato il suo percorso delinquenziale verso un unico scopo, come riconosciuto dalla stessa sentenza qui impugnata in relazione al capo C9), per il quale è stata ritenuta la necessità di rapportare l’entità dell’aumento di pena agli aumenti di pena applicati nella sentenza «Malaerba» per i reati satelliti, pari a soli anni due di reclusione per ben diciannove reati.
13.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. sostenendo che la Corte di appello, con la sentenza di secondo grado, ha determinato l’aumento di pena per il reato di cui al capo C9) in mesi sei di reclusione, mentre il Giudice del rinvio ha fissato tale aumento in misura superiore a quella fissata dal primo giudice, pari a mesi quattro di reclusione, operando in tal modo un’indebita reformatio in peius.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando un solo motivo con il quale sostiene che vi sia stata violazione del divieto di reformatio in peius per avere il Giudice del rinvio revocato d’ufficio l’indulto già applicato ai sensi della legge n. 241 del 2006.
Sostiene che la revoca non potesse essere dichiarata in assenza di richiesta del Pubblico ministero, dovendo essere rispettato il principio devolutivo, e non avendo la precedente sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte di cassazione affidato al Giudice del rinvio alcun giudizio sul punto.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata ed articolando un solo motivo con il quale lamenta la carenza ed illogicità della motivazione in ordine agli aumenti di pena applicati per la continuazione.
La Corte di cassazione aveva annullato in relazione a tale punto la sentenza di appello poiché quest’ultima aveva applicato aumenti di pena per la continuazione piuttosto consistenti e non lontani dalla pena applicata dal giudice della cognizione senza, tuttavia, fornire sul punto adeguata motivazione.
Sostiene il ricorrente che il Giudice del rinvio non ha posto rimedio al vizio rilevato dalla Corte di cassazione, poiché ha applicato per i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 un aumento di anni due e mesi tre di reclusione, sensibilmente maggiore rispetto all’aumento di pena per la continuazione con il reato associativo contestato al capo A), di anno uno e mesi sei di reclusione, limitandosi a dare atto che l’aumento di pena di anni due e mesi tre di reclusione si compone di un aumento di anno uno e mesi nove di reclusione e di altro aumento di mesi sei di reclusione per altro reato già posto in continuazione interna nel procedimento Malaerba e che l’entità dell’aumento trova giustificazione nel quantitativo di marijuana (kg. 5) oggetto del reato.
Si duole il ricorrente che la motivazione risulta carente ed illogica poiché comunque non rispetta il criterio di proporzionalità, permanendo un sensibile squilibrio rispetto al delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando un solo motivo con il quale lamenta violazione di legge e omessa, contraddittoria o apparente motivazione in ordine all’esito del giudizio di bilanciamento.
La Corte di cassazione ha annullato, in relazione al giudizio di bilanciamento delle circostanze, la sentenza di secondo grado, poiché questa aveva parificato la posizione del ricorrente a quella dei coimputati COGNOME e COGNOME, ma mentre per questi aveva ritenuto le attenuanti prevalenti sulle aggravanti, per il ricorrente era pervenuta ad un giudizio di mera equivalenza.
Il Giudice del rinvio ha ribadito il giudizio di equivalenza tra circostanze eterogenee, affermando che la posizione del La Notte e del Di COGNOME, che avevano rinunciato ai motivi di appello, era diversa da quella dell’odierno ricorrente che in primo grado era stato prosciolto dalla imputazione. Sebbene la memoria difensiva depositata nell’interesse dell’odierno ricorrente dal suo difensore fosse stata definita quale «appello incidentale», la stessa aveva il valore di una semplice memoria difensiva.
Evidenzia, invece, il difensore che la memoria era stata espressamente qualificata dal difensore quale appello incidentale e che sebbene il Pubblico ministero nel corso del giudizio di appello avesse chiesto la condanna di COGNOME e di COGNOME alla pena di anni dieci di reclusione e la condanna del COGNOME alla
pena di anni sei e mesi otto di reclusione, il La Notte era stato poi condannato alla pena di anni cinque e mesi tre di reclusione, con le circostanze attenuanti generiche prevalenti, il COGNOME era stato condannato, riconosciuta la prevalenza delle attenuanti, ad anni sette e mesi sei di reclusione, mentre NOME COGNOME, ritenute le attenuanti equivalenti alle aggravanti, era stato condannato ad anni quattro e mesi otto di reclusione.
Il Giudice del rinvio avrebbe, invece, dovuto ritenere la posizione di NOME COGNOME meno «gravata» rispetto a quella dei due coimputati e ridurre ulteriormente la pena riconoscendo la prevalenza delle attenuanti, anche al fine di ottemperare a quanto già stabilito nella sentenza di annullamento, ai sensi di quanto previsto dall’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe ed articolando un solo motivo con il quale lamenta violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio ed in particolare per avere applicato l’art. 416-bis cod. pen. nel testo vigente a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015 in violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.
17.1. La Corte di appello, con la sentenza annullata, aveva affermato di voler condividere il ragionamento del Pubblico ministero che, in sede di conclusioni, aveva delimitato la contestazione del reato associativo al periodo anteriore all’entrata in vigore della legge sopra citata, ma poi, in sede di determinazione della pena, aveva erroneamente e contraddittoriamente applicato la cornice edittale introdotta dalla legge citata.
Per tale motivo la sentenza di appello era stata annullata con rinvio da questa Corte di cassazione limitatamente al trattamento sanzionatorio riservato all’odierno ricorrente.
Segnala il ricorrente che il Giudice del rinvio, in violazione dell’art. 627 cod. proc. pen., invece di limitarsi a rideterminare il trattamento sanzionatorio sulla base delle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, ha illegittimamente affermato che solo per errore il Pubblico ministero, nel rassegnare le sue conclusioni in grado di appello, lo aveva incluso tra i numerosi soggetti per i quali la condotta associativa si era arrestata prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015, poiché in realtà nella tabella finale depositata dallo stesso Pubblico ministero egli era invece incluso tra i soggetti che avevano partecipato al sodalizio criminale anche dopo il 2015 e anche nelle conclusioni rassegnate il 22 marzo 2022, richiamate nelle conclusioni scritte depositate in data 10 luglio 2024 nel giudizio di rinvio, il Pubblico ministero aveva sostenuto che la partecipazione all’associazione mafiosa si era protratta anche oltre il 2015,
in tal modo operando una non consentita reformatio in peius.
Sostiene il ricorrente che, in realtà, il Pubblico ministero, nelle conclusioni rassegnate in appello, aveva chiesto di applicare il regime sanzionatorio anteriore alla legge sopra citata.
17.2. In ogni caso, afferma il ricorrente, la motivazione della sentenza qui impugnata è contraddittoria laddove protrae la condotta associativa oltre il 2015.
Si afferma in motivazione che il collaborante NOME COGNOME ha riferito di essere passato nel maggio 2014 dal clan COGNOME al clan COGNOME a seguito di divergenze con il COGNOME e che egli, proprio in virtù della appartenenza del COGNOME al clan COGNOME, dovette chiedere l’autorizzazione di quest’ultimo.
Inoltre, nella motivazione si afferma che la partecipazione di NOME COGNOME al clan mafioso anche oltre il 2015 si ricava dall’avere il collaborante NOME COGNOME nell’interrogatorio del 26 gennaio 2016, indicato il COGNOME come ancora militante nella consorteria di appartenenza.
Il ricorrente sostiene che da tali dichiarazioni non può ricavarsi la prova della protrazione della condotta associativa, atteso che le dichiarazioni di NOME COGNOME riferiscono episodi collocati nell’anno 2014, mentre NOME COGNOME aveva iniziato a collaborare il 5 novembre 2015 e doveva ritenersi che la sua conoscenza delle dinamiche associative si arrestasse a tale data e non sino al 2016, come affermato dal Giudice del rinvio. Inoltre, le dichiarazioni di NOME COGNOME erano generiche, perché non precisavano fino a quando il collaborante fosse certo della permanenza del COGNOME nell’associazione criminale, il che assumeva rilievo considerato che quest’ultimo aveva sofferto un lungo periodo di detenzione e in tale periodo non aveva commesso reati fine.
18. Ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe sulla base di due motivi di ricorso, con i quali lamenta violazione di legge e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena base e soprattutto in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione.
Il ricorrente richiama i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza «COGNOME», secondo la quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01, che ha pure precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto d
proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risult rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia oper surrettiziamente un cumulo materiale di pene) per denunciare che non risulta adeguatamente motivata la determinazione della pena per il reato più grave e l’aumento per i reati satellite.
Il difensore di NOME COGNOME ha fatto pervenire una memoria difensiva con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il difensore di NOME COGNOME ha fatto pervenire rituale rinuncia al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza qui impugnata, non ha escluso la recidiva, ma si è limitata a riconoscere la prevalenza su di essa dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990. Ne deriva che la recidiva reiterata continua a spiegare i suoi effetti in relazione al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche.
Questa Corte di cassazione ha recentemente affermato, in tema di concorso di circostanze eterogenee, che ove sia riconosciuta la sussistenza di più attenuanti, per una sola delle quali opera il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata ex art. 99, quarto comma, cod. pen., deve operarsi una sola diminuzione, in caso di ritenuta prevalenza dell’attenuante per la quale la preclusione non è operante, fermo restando il divieto di prevalenza sulla recidiva dell’altra attenuante (Sez. 2, n. 19546 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286422, relativa a fattispecie in cui concorrevano le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4), cod. pen., rispetto alla quale la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza sulla recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen.).
Del tutto correttamente, quindi, la Corte di appello, pur riconoscendo la prevalenza della sola attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 ed applicando la relativa diminuzione di pena, non ha applicato un’ulteriore riduzione per le attenuanti generiche, stante il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata stabilito dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.
1.2. Anche il secondo motivo è infondato.
In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante speciale della collaborazione, prevista dall’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, si fonda sul mero presupposto dell’obiettiva proficuità della collaborazione prestata dall’imputato e, se riconosciuta, la sua incidenza sul calcolo della pena non può essere ridimensionata in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del fatto (Sez. 2, n. 32645 del 18/06/2013, Di, Rv. 256789 – 01).
Nel caso di specie la Corte di appello, pur riconoscendo la proficuità della collaborazione prestata, non ha applicato la diminuzione di pena nella sua massima estensione, osservando che le sue dichiarazioni non si erano rivelate sempre proficue ai fini della ricostruzione dei fatti.
Né può rilevare una eventuale contraddizione tra la sentenza di primo grado e quella di appello.
Il vizio di contraddittorietà di motivazione si verifica soltanto se, in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti, vi sia inconciliabilità logica fra l’una l’altra affermazione della stessa sentenza impugnata per Cassazione, e non quando vi sia contrasto fra le considerazioni svolte nella sentenza di appello e quelle della decisione di primo grado (Sez. 2, n. 3308 del 04/12/1984, dep. 11/04/1985, Vasta, Rv. 168637).
2. Il ricorso di NOME COGNOME è complessivamente infondato.
Con la precedente sentenza di annullamento questa Corte di cassazione aveva ribadito (vedi pag. 51 della sentenza n. 8082/2024) il principio per cui, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite e precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Aveva, quindi, rilevato che nel caso di specie tali principi non erano stati rispettati, poiché la Corte di appello aveva affermato (cfr. pag. 165) che «violazione più grave deve ritenersi quella giudicata con le sentenze COGNOME e COGNOME, per cui l’imputato ha riportato una pena determinata complessivamente in anni 10 di reclusione a cui, in applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c. deve aggiungersi un aumento di tre anni di reclusione a titolo di continuazione per il reato ascrittogli nel presente procedimento al capo A) della rubrica (p.b. anni 6 di reclusione, ridotta ad anni 4 e mesi 6 di reclusione ex art. 62 bis c.p.
…, ulteriormente ridotta di 1/3 per il rito ad anni 3 di reclusione) per giungere a una pena complessiva pari ad anni 13 di reclusione»; in tal modo la Corte di appello aveva espressamente parametrato l’aumento, a titolo di continuazione, per il reato per il quale si procede in questa sede alla pena complessivamente determinata per tutti i reati già accertati invece che, come avrebbe dovuto, al più grave di essi, individuato da questa Corte di cassazione in quello di associazione finalizzata al narcotraffico aggravata, contestato ad NOME nel procedimento c.d. «Marte», per il quale egli aveva riportato, al netto della riduzione per il rito, la pena di otto anni e quattro mesi di reclusione.
Questa Corte di cassazione ha aggiunto che «Dalla corretta individuazione del più grave tra i reati commessi dall’odierno ricorrente in esecuzione del medesimo disegno criminoso discende, d’altro canto, la necessità di rispettare, in ossequio alle indicazioni provenienti dal massimo consesso nomofilattico, il rapporto di proporzione tra le sanzioni che, in assenza di congrua spiegazione, risulta vulnerato dall’applicazione, nel presente procedimento, di un aumento triplo (tre anni di reclusione, al netto della riduzione per il rito, in luogo di rispetto a quello disposto per il reato di associazione mafiosa contestato ad NOME nel procedimento c.d. «COGNOME» e, addirittura, più che quadruplo rispetto a quello disposto per il reato di associazione mafiosa contestato al medesimo imputato nel procedimento c.d.COGNOME».
La Corte di cassazione ha quindi annullato la sentenza di appello «limitatamente all’aumento per la continuazione» e a pag. 52 della motivazione della sentenza di annullamento si precisa che l’annullamento è limitato «al punto concernente la determinazione della pena da irrogarsi, per il reato associativo di cui al capo A), in aumento ed a titolo di continuazione».
Ne deriva che oggetto del giudizio di rinvio era solo la determinazione dell’aumento per il reato associativo contestato al capo A) e non la determinazione del reato più grave e degli aumenti di pena per i reati per i quali l’Anaclerio era già stato definitivamente condannato, in relazione ai quali il ricorso risulta inammissibile.
Il Giudice del rinvio ha, peraltro, colmato le carenze motivazionali riscontrate da questa Corte di cassazione con la precedente sentenza, in cui si chiedeva di chiarire perché l’aumento di pena per la continuazione con il reato per cui si procede in questa sede fosse stato determinato in misura pari al triplo dell’aumento di pena per il reato di associazione mafiosa per il quale già era stato giudicato con la sentenza del 26 ottobre 2006 ed addirittura più che quadruplo rispetto a quello per il quale era stato condannato con sentenza del 23 aprile 2002 (processo Marte); in particolare, ha osservato che all’epoca in cui erano stati commessi i fatti per i quali sono state emesse le sentenze ormai
definitive le pene edittali erano inferiori e che il periodo di partecipazione a Cosa Nostra per il quale l’COGNOME è imputato in questo processo è di quindici anni, mentre le condotte già giudicate riguardano periodi più brevi, di tre anni e di un anno; inoltre, la maggiore gravità del reato per cui si procede in questa sede è stata desunta anche dall’avere l’COGNOME continuato a partecipare al sodalizio criminale, nonostante le due condanne già riportate.
Laddove, poi, il ricorrente sostiene che la riduzione di un terzo per la scelta del rito andava applicata sulla pena risultante dopo tutte le altre valutazioni assegnate dalla legge al giudice, il motivo non risulta autosufficiente, poiché dal ricorso e dalle sentenze emesse nei gradi precedenti non risulta se le sentenze già passate in giudicato siano state emesse a seguito di giudizio abbreviato.
La circostanza assume rilievo perché il riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e, infine, il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rit abbreviato (Sez. 1, n. 37168 del 19/07/2019, Ben, Rv. 276838 – 01), mentre l’applicazione della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinario e al giudicati con il rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi – siano essi reati cd. satellite ovvero reati che integrino la violazione più grave deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 35852 del 22/02/2018, COGNOME, Rv. 273547 – 01).
Peraltro, si è già detto che oggetto del giudizio di rinvio è il solo aumento per la continuazione con il reato associativo per cui si procede in questa sede, mentre il motivo di ricorso è diretto a rimettere in discussione l’intero trattamento sanzionatorio per il reato continuato, cosicché anche per tale ragione il motivo è, in parte qua, inammissibile.
3. Anche il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
Il Giudice del rinvio ha adeguatamente motivato in ordine all’aumento per la continuazione con il reato associativo per il quale si procede in questa sede, segnalando, al pari di quanto già motivato in relazione alla posizione di NOME COGNOME, che l’aumento per la continuazione, già determinato nella misura indicata nella sentenza di secondo grado, trova giustificazione in una serie di parametri, come la lunga durata della partecipazione al sodalizio mafioso, tale da comportare l’applicazione di una pena edittale più elevata, nonché la estrinsecazione di tale partecipazione in delitti, come il tentato omicidio, a loro
volta particolarmente gravi e pericolosi per le loro modalità, per i quali ha già riportato condanna.
4. Il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
4.1. Nel caso in cui venga irrogata, come nel caso di specie, una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talché è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 de 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464).
Né sussiste la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione lamentata dal ricorrente, atteso che, in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali. (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839) ipotesi che non ricorre nel caso di specie.
4.2. Quanto alla misura della riduzione di pena per le attenuanti generiche, deve rilevarsi che anche nei confronti dei coimputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, indicati dallo stesso ricorrente come coloro le cui posizioni sono assimilabili alla propria, la riduzione di pena per le attenuanti generiche è stata calcolata nella misura di un quarto, cosicché tale misura trova proprio nella volontà, espressamente dichiarata nella sentenza qui impugnata, di voler tendenzialmente equiparare i trattamenti sanzionatori.
Deve, peraltro, aggiungersi che nel caso in cui il giudice, concessa un’attenuante, diminuisca la pena in misura prossima al massimo consentito dalla legge non ha l’obbligo di esporre le ragioni per le quali la pena non è stata ridotta nella misura massima (Sez. 4, n. 48541 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 258100 – 01; Sez. 2, n. 1490 del 22/11/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203731 – 01).
5. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
5.1. Quanto al primo motivo di ricorso, deve qui evidenziarsi che la sentenza di primo grado del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del 28 gennaio 2020 ha ritenuto la continuazione tra il reato associativo contestato al capo A) ed i reati per i quali NOME COGNOME era stato giudicato con la sentenza c.d. Singer della Corte di appello di Bari n. 1911 del 5 novembre 2011, irrevocabile il 21 marzo 2002, mentre non era stata applicata la continuazione tra questi reati e quelli di cui alle sentenze «RAGIONE_SOCIALE» e quelli di cui
alla sentenza della c.d. «Strage di San Valentino».
La sentenza di primo grado ha ritenuto più grave il delitto di cui al capo A) e ha applicato un aumento per la continuazione con i reati della sentenza COGNOME di anno uno di reclusione, ridotto a mesi otto di reclusione per la scelta del rito.
La sentenza di secondo grado, poi oggetto di annullamento parziale, ha invece escluso la continuazione tra il reato associativo di cui al capo A) e la sentenza COGNOME e proprio per tale motivo è stata annullata da questa Corte di cassazione, che ha pure sollecitato un nuovo giudizio in ordine alla continuazione con i reati per i quali NOME COGNOME era stato già giudicato con la sentenza per la c.d. «Strage di San Valentino».
Ne consegue che la Corte di appello di Bari, quale giudice del rinvio, ha operato per la continuazione con i reati per i quali era stata emessa la sentenza COGNOME un aumento pari ad anni tre di reclusione, mentre in primo grado l’aumento era stato quantificato, all’esito della riduzione per la scelta del rito, soli mesi otto di reclusione e su tale punto, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, si era ormai formato il giudicato.
La Corte di appello di Bari, quale Giudice del rinvio, ha ripristinato la continuazione erroneamente esclusa dal Giudice di appello e ha rilevato che con la sentenza per la «Strage di San Valentino» n. 29 del 20 luglio 2009 era già stata ritenuta la continuazione con i reati per i quali era stata emessa la sentenza c.d. «Singer 1» del 5 novembre 2001 ed irrevocabile il 21 marzo 2002 e quale reato più grave era stato ritenuto un delitto di omicidio per il quale era stata fissata la pena di anni ventuno di reclusione; la pena era stata poi aumentata ex art. 81 cod. pen. di anni tre di reclusione per un secondo omicidio, di anni due di reclusione per il reato di lesioni plurime, di un anno di reclusione per la violazione della legge sulle armi «e di ulteriori anni tre a titolo continuazione per i reati giudicati con sentenza irrevocabile, di cui anni due per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e anni uno per i reati satellite». Su tale pena complessiva di anni ventotto di reclusione è stato poi applicato l’aumento per la continuazione per il reato associativo di anno uno di reclusione e un ulteriore aumento di un anno per i reati di cui alla sentenza n. 757 del 2021, ossia la sentenza per la quale è stato emesso il provvedimento di riunione dei processi da parte del Giudice del rinvio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue che l’aumento per la continuazione con i reati per i quali è stata pronunciata la sentenza COGNOME va rideterminato in mesi otto di reclusione.
5.2. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello ha determinato in anno uno di reclusione l’aumento di pena per la continuazione con il reato associativo contestato nel presente processo e in un ulteriore anno di reclusione l’aumento di pena per la
continuazione con i reati giudicati con la sentenza n. 757 del 12 luglio 2021 emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari e, dopo la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato ha erroneamente determinato in anni due di reclusione l’aumento complessivo di pena per tutti tali reati, mentre l’aumento andava correttamente individuato in complessivi anni uno e mesi quattro di reclusione.
5.3. Sulla base di quanto sopra esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al computo della pena.
6. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Il Giudice del rinvio ha ritenuto attendibili le dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME secondo il quale NOME COGNOME si sarebbe associato al clan COGNOME nel 2019, ma non chiarisce sulla base di quali elementi da tale circostanza dovrebbe desumersi la permanenza del predetto nel clan COGNOME sino al 2019 o comunque sino ad epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015.
Quanto al COGNOME il Giudice del rinvio sottolinea che il collaborante ha reso le sue dichiarazioni nel 2021 ed in tale occasione ha indicato NOME COGNOME come un soggetto stabilmente attivo nel clan Mercante.
La Corte di merito, tuttavia, non chiarisce se tale indicazione riguardi il ricordo del COGNOME relativo ad un periodo anteriore rispetto a quello in cui egli ha iniziato a collaborare e quale sarebbe tale periodo oppure se il COGNOME abbia inteso affermare la permanenza di NOME COGNOME all’interno del clan RAGIONE_SOCIALE sino al 2021, anno in cui è iniziata la sua collaborazione. Nel primo caso le dichiarazioni del COGNOME sarebbero generiche e come tali inidonee ad affermare che la appartenenza al clan COGNOME si sia protratta sino a dopo l’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015. Nel secondo caso le sue dichiarazioni sarebbero rilevanti, ma non riscontrate dalle dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME che invece a partire dal 2019 colloca NOME COGNOME nel clan Capriati, cosicché, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, esse risultano inidonee a dimostrare la permanenza di NOME COGNOME all’interno del sodalizio criminale indicato al capo A).
Ne consegue che la motivazione risulta illogica e comunque risulta violato l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME con assorbimento del secondo motivo di ricorso.
7. Il ricorso di NOME COGNOME è parzialmente fondato.
7.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che il Giudice del rinvio ha correttamente motivato in ordine alla misura dell’aumento per la continuazione con il reato associativo contestato al capo Al), evidenziando, nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., sia la lung durata della partecipazione del COGNOME all’associazione mafiosa, sia la entità del contributo da lui arrecato alla realizzazione degli scopi del sodalizio criminale.
7.2. Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di giudizio di rinvio, che la cognizione del giudice riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277438, che ha precisato che l’accoglimento di motivi di ricorso, cui segua l’assorbimento di altre questioni controverse, implica la sospensione della loro valutazione da parte del giudice di legittimità, conseguente al rapporto di pregiudizialità logica del tema assorbente sul quale deve rinnovarsi l’esame, la cui definizione impone la progressiva verifica delle questioni dipendenti che da quella premessa traggono il proprio caposaldo argomentativo).
Nella sentenza di primo grado l’aumento di pena per la continuazione del reato C9) con il reato associativo è stato fissato in mesi quattro di reclusione, poi ridotto per la scelta del rito (vedi pag. 1399 della sentenza di primo grado).
Nella sentenza di appello, invece, viene riconosciuta la continuazione tra i reati di cui ai capi Al) e C9) con quelli già giudicati con la sentenza «Malaerba», ma l’aumento di pena per la continuazione con il capo C9) viene elevato ad anno uno e mesi sei di reclusione (vedi pag. 177 della sentenza di appello).
Nella sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte di cassazione si dà atto (a pag. 35) che con il terzo motivo di appello il COGNOME si era già doluto della violazione del divieto di reformatio in peius e nella motivazione della decisione (a pag. 98) si afferma che il motivo di appello è rimasto assorbito.
Ne consegue che il Giudice del rinvio, in applicazione del principio di diritto sopra esposto, avrebbe dovuto pronunciarsi sul motivo di ricorso ritenuto assorbito.
Il motivo è, peraltro fondato, poiché mentre il Giudice di primo grado aveva fissato l’aumento di pena in mesi quattro di reclusione per il reato di cui al capo C9), quello di appello aveva fissato un aumento di anno uno e mesi sei.
Il Giudice del rinvio lo ha fissato in mesi sei di reclusione, comunque superiore all’aumento fissato dal Giudice di primo grado.
La sentenza qui impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
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8. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Il giudice del rinvio non può revocare di ufficio l’indulto precedentemente concesso per altri reati in mancanza di gravame da parte del pubblico ministero, atteso che, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., egli decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge.
In particolare, il giudice del rinvio è tenuto a rispettare il princip devolutivo, cosicché gli è precluso il potere di revoca di ufficio dell’indulto i assenza di impugnazione del pubblico ministero.
In materia di benefici, sospensione condizionale e non menzione e di attenuanti, anche il giudice di appello ha un potere di concessione al di là del devoluto, per espressa previsione di legge contenuta nell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., ma tale disposizione, comportando un’eccezione alla regola generale dell’effetto devolutivo, ha natura eccezionale ed è di stretta interpretazione e non può essere applicata oltre i casi in essa considerati (vedi Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125 – 01).
Peraltro, nel caso di specie, tale punto esulava da quelli per i quali la sentenza di appello era stata annullata con rinvio.
Ne consegue che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla revoca del beneficio dell’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006.
9. Il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
I reati da porre in continuazione sono quattro e tra di essi il più grave è stato indicato in quello contestato al capo Al), per il quale è stata fissata la pena di anni undici di reclusione, considerato l’elevato ruolo dell’imputato all’interno del sodalizio mafioso, poi ridotta per le attenuanti generiche ad anni otto e mesi tre.
La pena è stata poi aumentata di anno uno e mesi sei di reclusione per la continuazione con il reato associativo contestato al capo A), e poi aumentata di anni due e mesi tre di reclusione per la condanna riportata con la sentenza Malaerba.
Il Giudice del rinvio ha, tuttavia, evidenziato che quest’ultimo aumento di pena è in realtà inferiore, essendo di un anno e mesi sei di reclusione, in quanto anch’esso assoggettato alla riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato e che esso si compone in realtà di un aumento per la continuazione pari ad anno uno e mesi nove di reclusione per un reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e di un ulteriore aumento di mesi sei di reclusione coperto da giudicato.
Il Giudice del rinvio ha cura di precisare che l’aumento di un anno e mesi nove di reclusione trova giustificazione nella gravità del reato desunta dalla consistente quantità di sostanza stupefacente oggetto del reato (kg. 5 di marijuana) e che risulta rispettato il criterio di proporzionalità, poiché la pena corrisponde a meno della metà della pena base.
Ne consegue che la censura, sollevata dal ricorrente, di carenza o illogicità della motivazione, anche per violazione del criterio di proporzionalità, risulta infondata, avendo il Giudice del rinvio fornito adeguata motivazione, sia in ordine alla misura dei singoli aumenti di pena, sia in ordine al criterio di proporzionalità.
10. Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999 – 01).
Nel caso di specie la Corte di cassazione ha rilevato la contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte di appello affermato da una parte che la posizione di NOME COGNOME era equiparabile, quanto al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, a quella dei coimputati e poi riservato a NOME COGNOME un trattamento sanzionatorio deteriore, quanto al giudizio di bilanciamento, rispetto ad essi.
Il Giudice del rinvio ha sanato il vizio di contraddittorietà della motivazione intervenendo su una delle due affermazioni in contrasto, ossia che la posizione di NOME COGNOME era equiparabile a quella dei due coimputati, evidenziando che mentre il La Notte ed il COGNOME avevano rinunciato ai motivi di appello, egli non poteva avervi rinunciato in quanto, essendo stato prosciolto, non poteva rivestire la posizione di appellante e il suo «appello incidentale» aveva il valore di una mera memoria difensiva. La motivazione fornita sul punto appare giuridicamente esatta, non potendo proporre appello l’imputato prosciolto per non aver commesso il fatto, a nulla valendo la qualificazione assegnata dal difensore all’atto depositato.
Né la precedente sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte di cassazione imponeva, ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., al Giudice del rinvio la prevalenza delle attenuanti.
11. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Con la sentenza di primo grado NOME COGNOME è stato condannato per aver fatto parte del sodalizio criminale fino ad epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 69 del 2015.
Nella motivazione si afferma (a pag. 385) che è dimostrata la sua partecipazione in epoca antecedente a tale momento e che la partecipazione successiva può ritenersi dimostrata dalla circostanza che «non risulta acclarata positivamente la sua dissociazione dal clan Mercante-Diomede».
La sentenza di appello (pag. 188) inserisce NOME COGNOME tra coloro che hanno rinunciato ai motivi di appello inerenti alla loro penale responsabilità insistendo unicamente in quelli inerenti il trattamento sanzionatorio ed in particolare nei motivi volti alla aplicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole ante 2015, alla prevalenza delle attenuanti generiche e alla continuazione esterna.
Sempre in motivazione la Corte di appello ha affermato (pag. 188) che quanto al primo profilo, quello relativo al trattamento sanzionatorio, non è necessario argomentare circa l’applicazione del trattamento più favorevole per quegli imputati per i quali il Procuratore generale, nelle proprie conclusioni, aveva modificato formalmente il tempus commissi delicti, fissandolo ad epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015.
Inoltre, la sentenza di appello afferma di dover applicare il regime più favorevole anche a quegli imputati per i quali il Procuratore generale aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado «sulla base della mera mancanza di prova di una dissociazione dal sodalizio criminoso e/o del passaggio ad altra consorteria criminale prima dell’entrata in vigore della novella».
Nella motivazione della sentenza di appello si chiarisce che il criterio della mancanza di prova della dissociazione si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte di cassazione in materia di partecipazione ad un’associazione a delinquere di tipo mafioso.
In motivazione la posizione di NOME COGNOME non viene specificamente affrontata allo scopo di illustrare le ragioni e soprattutto le prove sulla base dell quali deve ritenersi positivamente dimostrata la permanenza di NOME COGNOME all’interno del sodalizio criminale anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 69 del 2005.
Anche nella precedente sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte di cassazione si dà atto, in relazione alla posizione di NOME COGNOME (vedi pag 87), che la Corte di appello «ha spiegato di avere ancorato la collocazione temporale della partecipazione associativa di ciascun imputato all’acquisizione di elementi, di ordine storico o logico, dimostrativi, in positivo, della protrazione
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della militanza in epoca posteriore al 14 giugno 2015» e che in tal modo «ha inteso aderire all’orientamento interpretativo, mutuato da una parte della giurisprudenza di legittimità, stando al quale ‘In presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69), è specifico onere dell’accusa dimostrare che la condotta si sia protratta per tutto il periodo contestato e, comunque, anche dopo detta modifica, con conseguente illegittimità, in difetto, della sentenza di condanna alla pena determinata sulla base delle deteriori previsioni sanzionatorie sopravvenute’ (Sez. I, n. 14823 del 28/02/2020, COGNOME, Rv. 279061 – 01; nello stesso senso cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 01)».
Poiché nella sentenza di primo grado si afferma che la permanenza del COGNOME nel sodalizio criminale dopo il 14 giugno 2015 si ricava dalla mancanza di prova della sua dissociazione prima di tale data e poiché anche nella sentenza di appello non si chiarisce, nonostante l’impugnazione del COGNOME, perché la partecipazione di quest’ultimo all’associazione mafiosa dovrebbe ritenersi positivamente dimostrata anche per il periodo successivo, deve ritenersi che la Corte di appello abbia inteso affermare che non era provata la protrazione della condotta associativa di NOME COGNOME anche dopo il 14 giugno 2015.
Peraltro, questa Corte di cassazione, con la precedente sentenza di annullamento, nella parte dedicata all’odierno ricorrente (pag. 73), afferma che la Corte di appello ha inteso «perimetrare temporalmente la condotta associativa a data anteriore l’entrata in vigore della legge 27 maggio 2015 n. 69», ma poi, nella concreta determinazione del trattamento sanzionatorio, ha applicato la cornice edittale più severa introdotta da questa legge, che viene ad essere «applicata in modo inammissibilmente retroattivo».
Questa Corte di cassazione ha, quindi, annullato la sentenza impugnata, quanto alla posizione di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, senza richiedere al Giudice del rinvio un nuovo accertamento in ordine alla durata della condotta associativa, che deve, pertanto, essere mantenuta ferma entro il limite già indicato dalla sentenza di secondo grado, venendosi altrimenti a realizzare una violazione del divieto di reformatio in peius, poiché l’imputato, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, verrebbe ad essere condannato, all’esito del giudizio di rinvio, per una condotta associativa temporalmente più ampia di quella per la quale era stato condannato con la sentenza di appello.
Se, infatti, la parziale riforma, su appello dell’imputato, della sentenza di
primo grado, con esclusione della punibilità in relazione ad un apprezzabile periodo temporale del reato permanente in imputazione, comporta la motivata rideterminazione, in forza del divieto della reformatio in peius, della misura della pena in rapporto all’offensività della condotta (Sez. 2, n. 6739 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278232 – 01, relativa a fattispecie di arbitraria invasione di terreni; Sez. 6, n. 26083 del 14/05/2010, R., Rv. 248044 – 01, relativa a fattispecie in materia di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza), deve ritenersi costituire violazione del medesimo divieto anche la decisione che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, mantenga ferma la pena determinata sulla base di una cornice edittale più sfavorevole introdotta successivamente alla commissione del reato, per come accertato nella sentenza di primo grado, attraverso la affermazione della penale responsabilità dell’imputato per un reato permanente di durata più ampia ed estesa ad un periodo anche successivo alla introduzione della norma penale sfavorevole.
Ne consegue che la sentenza qui impugnata deve essere nuovamente annullata nei confronti di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio limitatamente al punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile avendo il difensore, munito di procura speciale, validamente rinunciato alla impugnazione.
All’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
All’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 500,00.
Al rigetto dei ricorsi di COGNOME Giacomo, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME consegue, ai sensi della diposizione appena citata, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La domanda della parte civile Comune di Bari di condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali da essa sostenute non può essere accolta, neppure nei confronti degli imputati i cui ricorsi sono stati dichiarati inammissibili
o integralmente rigettati.
Difatti, tutti i ricorrenti hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe esclusivamente in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, in
relazione al quale la parte civile non può vantare alcun concreto interesse.
Qualora dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione proposta dall’imputato non possa derivare alcun pregiudizio alla parte civile, quest’ultima,
non avendo interesse a formulare proprie conclusioni nel conseguente giudizio, pur se esercita il suo diritto di partecipare allo stesso, non ha titolo alla rifusio
delle spese processuali (Sez. 6, n. 8326 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 262626 –
01, che ha annullato senza rinvio, nella parte relativa alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, la sentenza emessa all’esito di giudizio di rinvio
concernente esclusivamente questioni inerenti l’entità della pena).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME limitatamente alla revoca dell’indulto, revoca che elimina.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NicolaCOGNOME NOME e NOME COGNOME limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquecento in favore della Cassa delle ammende.
Nulla per le spese della parte civile.
Così deciso il 20/06/2025.