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Reato continuato: calcolo e obbligo di motivazione

Un soggetto, condannato con due sentenze separate per omicidio, porto d’armi e spaccio, ha ottenuto in fase esecutiva il riconoscimento del reato continuato. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza che rideterminava la pena, poiché il giudice non aveva motivato l’aumento applicato per il reato satellite di spaccio e aveva errato nel metodo di calcolo. La Suprema Corte ha ribadito che, in presenza di più sentenze, è necessario prima ‘scorporare’ i reati già unificati, individuare il più grave in assoluto e poi motivare singolarmente ogni aumento di pena per gli altri reati.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione detta le regole su calcolo della pena e obbligo di motivazione

L’istituto del reato continuato rappresenta un principio di favore per l’imputato, volto a mitigare il trattamento sanzionatorio quando più crimini sono riconducibili a un unico disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione in fase esecutiva, specialmente quando si devono unificare pene inflitte con sentenze diverse, richiede un rigore metodologico preciso. Con la sentenza n. 7317 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per ribadire due principi fondamentali: l’obbligo per il giudice di motivare ogni singolo aumento di pena per i reati satellite e la necessità di ‘scorporare’ i reati già unificati in precedenza per un corretto calcolo della pena complessiva.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso di un condannato che stava scontando pene derivanti da due distinte sentenze definitive. La prima, emessa dalla Corte di assise di appello, lo condannava a 25 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio e violazioni in materia di armi, reati già considerati in continuazione tra loro. La seconda sentenza, del Tribunale di Busto Arsizio, infliggeva una pena di 2 anni e 2 mesi di reclusione e 9000 euro di multa per reati legati agli stupefacenti.

Il condannato si rivolgeva al Tribunale di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione, chiedendo di applicare la disciplina del reato continuato anche tra i fatti giudicati nelle due sentenze, sostenendo che fossero tutti parte di un medesimo disegno criminoso. Il Tribunale accoglieva l’istanza e, partendo dalla pena base della prima sentenza (quella per il reato più grave, l’omicidio), applicava un aumento per il reato di droga, determinando una pena finale di 26 anni e 10 mesi di reclusione.

I motivi del ricorso e la disciplina del reato continuato

La difesa ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due censure cruciali.

1. Assenza di motivazione: Il giudice dell’esecuzione aveva applicato un aumento di pena di 1 anno e 6 mesi per il reato di droga, senza spiegare in alcun modo i criteri seguiti per quantificare tale aumento. Si contestava una violazione del potere discrezionale del giudice, che non può essere arbitrario.
2. Errato metodo di calcolo: Si sosteneva che il giudice avesse sbagliato a prendere come base di calcolo la pena di 25 anni e 4 mesi. Questo importo era già il risultato di una continuazione tra omicidio e reati in materia di armi. Il procedimento corretto, secondo la difesa, avrebbe richiesto di ‘scorporare’ i reati della prima sentenza, individuare il reato più grave in assoluto (l’omicidio), e solo dopo applicare distinti aumenti sia per i reati di armi sia per quello di droga.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondate entrambe le doglianze, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame.

Sul primo punto, la Corte ha richiamato un principio consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite (sent. Pizzone, n. 47127/2021), secondo cui nel determinare la pena per il reato continuato, il giudice deve calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. Questo obbligo non è un mero formalismo, ma una garanzia fondamentale che permette di controllare il percorso logico-giuridico seguito dal giudice e di verificare che il suo potere discrezionale sia stato esercitato correttamente, nel rispetto dei limiti di legge e del principio di proporzionalità.

Sul secondo punto, la Corte ha confermato l’errore metodologico. Quando il giudice dell’esecuzione deve unificare pene di sentenze diverse, e una di queste già contiene una continuazione interna, la procedura corretta è la seguente:
Scorporare tutti i reati riuniti nella sentenza che già applicava la continuazione.
Individuare il reato più grave in assoluto tra tutti quelli oggetto del nuovo giudizio.
Determinare la pena base per tale reato.
Applicare autonomi e motivati aumenti di pena per ciascuno degli altri reati satellite, compresi quelli ‘scorporati’ dalla prima sentenza.

Procedere diversamente, utilizzando come base una pena già frutto di un precedente cumulo, impedisce un calcolo trasparente e corretto degli aumenti per i singoli reati satellite.

Le conclusioni

La sentenza in commento rafforza le garanzie difensive nel delicato ambito della fase esecutiva. Stabilisce con chiarezza che la determinazione della pena in caso di reato continuato non può risolversi in un calcolo sommario. Ogni aumento deve essere giustificato, consentendo un controllo sulla ragionevolezza della decisione. Inoltre, il principio dello ‘scorporo’ garantisce che il calcolo parta da una base certa (la pena per il singolo reato più grave), evitando confusioni e potenziali duplicazioni sanzionatorie. La decisione della Cassazione impone, quindi, ai giudici dell’esecuzione un approccio analitico e trasparente, essenziale per assicurare che la pena finale sia giusta e conforme alla legge.

Quando si applica il reato continuato, il giudice deve motivare l’aumento di pena per ogni singolo reato satellite?
Sì, la Corte di Cassazione, richiamando un principio affermato dalle Sezioni Unite, ha ribadito che il giudice ha l’obbligo di calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, per permettere un controllo sul percorso logico e giuridico seguito.

Come si calcola la pena se una delle sentenze da unificare in continuazione riguarda già più reati unificati tra loro?
Il giudice deve prima ‘scorporare’ tutti i reati riuniti nella continuazione c.d. interna, poi individuare il reato più grave in assoluto tra tutti quelli considerati, e solo successivamente, sulla pena base di quest’ultimo, operare autonomi aumenti per ciascuno degli altri reati satellite.

Cosa succede se il giudice dell’esecuzione sbaglia a calcolare la pena per il reato continuato?
Il suo provvedimento (ordinanza) può essere impugnato con ricorso per cassazione. Se la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, come nel caso di specie, annulla il provvedimento impugnato e rinvia gli atti al tribunale per un nuovo esame che dovrà attenersi ai principi di diritto stabiliti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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