Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7718 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 7718  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 18/04/2023 dalla Corte d’Appello di Brescia visti gli atti, il provvedimen to impugnato ed il ricorso;
, -k.J2 (-). —GLYPH ‘-,–lette le conclusioni del Pu bblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso 2u
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/04/2023, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in data 23/09/2022, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di dichiarazione infedele relativa all’anno di imposta 2014, posto in essere inserendo in quella relativa alla propria posizione – quali redditi da partecipazione nella RAGIONE_SOCIALE – la somma di Euro 41.510,00, laddove invece detta società, di cui il NOME era rappresentante legale e socio al 100%, aveva dichiarato un reddito pari a Euro 2.108.180,00.
 Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
A
2.1. Violazione di legge con riferimento all’affermazione di penale responsabilità fondata – ad avviso della difesa ricorrente – su un elemento meramente presuntivo (desunto dalla normativa tributaria e dalla elaborazione della giurisprudenza di settore) secondo cui il reddito si partecipazione agli utili del socio di società di persone costituisce, ai fini dell’IRPEF, reddito proprio del contribuente, al quale è imputato sulla base di una presunzione della effettiva percezione. La difesa evidenzia che, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza penale, il regime probatorio delle presunzioni legali tributarie deve essere individuato nella disciplina della prova indiziaria di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.: doveva conseguentemente ritenersi illegittima la valorizzazione della sola dichiarazione della RAGIONE_SOCIALE, inidonea ad affermare la responsabilità del COGNOME al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo specifico. Si censura il carattere solo apparente della motivazione, essendosi la Corte territoriale limitata a valorizzare la differenza degli elementi attivi non dichiarati.
2.3. Violazione di legge con riferimento all’applicazione della recidiva. Si censura la mancata considerazione dell’effetto estintivo conseguito al decorso quinquennio dalla irrevocabilità delle sentenze nelle quali era stata concessa la sospensione condizionale della pena.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione della continuazione con il reato di omesso versamento IVA della ORAGIONE_SOCIALE, relativo al medesimo anno di imposta e giudicato con sentenza irrevocabile. Si censura la contraddittorietà della sentenza, che aveva negato il beneficio pur ammettendo che i fatti presentavano omogeneità rispetto all’oggetto giuridico e contiguità cronologica con il reato oggetto dell’odierno giudizio.
2.5. Violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. Si censura la sentenza per essersi limitata a ritenere l’insussistenza di elementi favorevoli e a valorizzare nuovamente i precedenti a carico.
Con requisitoria scritta, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della continuazione. Nel resto, il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere perciò rigettato.
Con il primo motivo, la difesa ricorrente reitera la doglianza già dedotta in appello con riferimento all’affermazione di responsabilità, ritenuta illegittima perché fondata su elementi meramente presuntivi desunti dalla normativa tributaria, come tali inidonei a sostenere ex se, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell’ipotesi accusatoria (secondo la quale, il COGNOME aveva presentato una dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2014 infedele, ai sensi dell’art. 4 d.l.vo n. 74 del 2000, dal momento che i propri redditi da partecipazione nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE erano stati da lui quantificati in Euro 41.510: laddove invece i redditi della predetta società – di cui il COGNOME era rappresentante legale e socio al 100% – erano stati dichiarati nella misura di Euro 2.108.180).
Il riferimento difensivo è evidentemente alla disposizione secondo cui i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (cfr. art. 5 d.P.R. n. 917 del 1986, su cui v. pag. 3 della sentenza di primo grado).
Il ricorso evita peraltro di confrontarsi con il nucleo centrale della motivazione della sentenza, imperniato proprio sulla peculiare posizione rivestita dal COGNOME, e sulla conseguente diretta riferibilità a quest’ultimo sia della dichiarazione relativ ai redditi propri, sia di quella relativa ai redditi della ORAGIONE_SOCIALE, entrambe da lui sottoscritte: sicchè l’affermazione di responsabilità del giudice di primo grado non si era fondata su una presunzione legale, “bensì direttamente sull’espressa ammissione da parte dell’imputato del fatto che il reddito della società, di cui aveva la totalitaria partecipazione, ammontava a Euro 2.108.180,00, avendo egli stesso sottoscritto quella dichiarazione fiscale” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Si tratta di un percorso argomentativo che supera l’argomento delle presunzioni tributarie in termini del tutto immuni da censure qui deducibili, e che tra l’altro è rimasto privo di adeguata confutazione da parte della difesa ricorrente.
Il secondo motivo è infondato.
La Corte territoriale, lungi dall’attribuire il reato a titolo di responsabi oggettiva, ha affermato la sussistenza dell’elemento soggettivo valorizzando sia la macroscopica differenza rilevabile quanto agli elementi attivi non dichiarati, sia l’assoluta assenza di allegazioni difensive volte a confutare la deduzione che tale rilevantissima omissione dei redditi societari, nella dichiarazione dei redditi personali presentata dal COGNOME, sia stata determinata dal dolo di evasione richiesto dall’art. 4 d.l.vo n. 74 del 2000 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Anche in questo caso, si è dinanzi ad un passaggio motivazionale del tutto immune da rilievi di contraddittorietà o illogicità manifesta, che il difensore non ha adeguatamente contrastato limitandosi ad evocare, infondatamente, una non consentita attribuzione del reato a titolo di responsabilità oggettiva.
Ad analoghe conclusioni di infondatezza deve pervenirsi quanto al terzo motivo, avendo la Corte territoriale diffusamente motivato il proprio
convincimento in ordine alla maggiore riprovevolezza delle condotte e alla maggiore pericolosità palesata dal COGNOME con le condotte per cui è causa, rispetto alle precedenti condanne (cfr. pag. 6, cit.). Per altro verso, con riferimento al rilievo conferito a queste ultime, deve qui darsi seguito all’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «l’estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena non elimina gli effetti penali della condanna, della quale deve, pertanto, tenersi conto ai fini della recidiva» (Sez. 3, n. 5412 del 25/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278575 – 01).
 Inammissibile, perché privo della necessaria specificità, è il motivo concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche.
A fronte di una motivazione sintetica, ma puntualmente orientata a negare le attenuanti sulla scorta dei precedenti e dell’assenza di elementi positivamente valutabili (cfr. pag. 6-7), la difesa ricorrente ha svolto deduzioni generiche, omettendo in particolare di contrastare adeguatamente, con elementi di apprezzabile concretezza, l’assunto della Corte territoriale secondo cui non si era in presenza di elementi valorizzabili in senso favorevole al riconoscimento delle attenuanti.
E’ invece fondato, come già si è avuto modo di accennare in precedenza, il motivo concernente il mancato riconoscimento della continuazione tra il reato di dichiarazione fraudolenta e quello di cui all’art. 10-ter d.l.vo n. 74 del 2000, per quale il COGNOME era stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile.
Pur riconoscendo che le condotte erano connotate da omogeneità, sia quanto all’oggetto giuridico sia quanto al profilo temporale, la Corte d’Appello ha escluso la possibilità di ravvisare la continuazione tra i due reati, trattandosi in un caso d condotta fraudolenta attuata indicando un reddito non veritiero, nell’altro di una mera omissione del versamento dell’IVA dovuta (cfr. pag. 7).
Al riguardo, deve osservarsi che questa Suprema Corte, anche in tempi recentissimi, ha affermato che «in tema di reato continuato, l’esistenza del medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del “modus operandi” e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti, essendo sufficiente l’esistenza anche di alcuni soltanto di tali indici, purché significativi» (Sez. 2, n. 10539 de 10/02/2023, Digiglio, Rv. 284652 – 01. In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la decisione che aveva escluso il riconoscimento della continuazione in ragione della diversa tipologia dei reati, senza tuttavia valutare gli altri indici sintomatici della sussistenza del medesimo disegno criminoso).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, colgono nel segno i rilievi difensivi, dal momento che non è possibile attribuire rilievo dirimente alla diversa struttura dei reati ascritti al COGNOME, relativi al medesimo anno di imposta. Ciò impone l’annullamento della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Brescia per nuovo giudizio sul punto.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa al continuazione, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appel di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 10 gennaio 
Il Consigli re/estensore
Il Presidente