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Reato continuato: accordo tra le parti necessario?

La Corte di Cassazione interviene sul tema del reato continuato in fase esecutiva, specificando le regole procedurali in caso di sentenze miste. La sentenza chiarisce che, se si intende unificare più sentenze emesse a seguito di patteggiamento, è indispensabile un nuovo accordo con il Pubblico Ministero, anche se nel gruppo è presente una sentenza derivante da giudizio ordinario. La Corte ha invece ritenuto legittimo il diniego di continuazione tra reati commessi in contesti e tempi diversi (in stato di libertà e in detenzione), non ravvisando un unico disegno criminoso.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato e patteggiamento: quando serve l’accordo con il PM?

L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio quando più reati sono legati da un unico disegno criminoso. Ma quali sono le regole procedurali da seguire in fase esecutiva, specialmente quando sono coinvolte sentenze di patteggiamento? Con la sentenza n. 35455 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione, delineando i confini applicativi dell’accordo tra le parti richiesto dall’art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

I fatti del caso

Un condannato si rivolgeva al giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del reato continuato tra diverse sentenze definitive. Il Tribunale accoglieva parzialmente la richiesta, unificando le pene per due distinti gruppi di reati, ma escludendo altre condanne. In particolare, in uno dei gruppi ammessi alla continuazione erano presenti due sentenze di patteggiamento e una sentenza emessa a seguito di rito ordinario.

Il ricorso e le censure alla decisione

Il condannato proponeva ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali:
1. Violazione di legge procedurale: Il ricorrente lamentava che il giudice avesse riconosciuto la continuazione in presenza di sentenze di patteggiamento senza che fosse stato raggiunto un nuovo accordo con il Pubblico Ministero, come previsto dall’art. 188 disp. att. c.p.p.
2. Vizio di motivazione: Contestava inoltre l’esclusione della continuazione tra altri due reati contro il patrimonio, ritenendo illogica la motivazione del giudice che aveva negato l’unicità del disegno criminoso.

Il reato continuato e la complessa gestione delle sentenze miste

La Corte di Cassazione ha affrontato separatamente le due questioni, offrendo una disamina precisa della normativa. Il cuore della decisione riguarda la corretta interpretazione dell’art. 188 disp. att. c.p.p., che subordina l’applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato a sentenze di patteggiamento a un nuovo accordo tra l’interessato e il PM.

La Corte ha distinto due scenari:
* Gruppo 1 (una sentenza di patteggiamento e una ordinaria): In questo caso, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice dell’esecuzione. Quando la richiesta di continuazione riguarda sentenze emesse all’esito di riti diversi (uno di patteggiamento e uno ordinario), l’accordo con il PM non è un requisito necessario. La procedura segue le regole ordinarie dell’incidente di esecuzione.
Gruppo 2 (due sentenze di patteggiamento e una ordinaria): Qui la situazione cambia. La presenza di più sentenze di patteggiamento rende indispensabile, ai fini del riconoscimento della continuazione tra di esse*, l’accordo con il PM. Il giudice non può prescindere da questo passaggio procedurale, anche se nel medesimo gruppo è inclusa una sentenza ordinaria. L’accordo è un presupposto per l’unificazione delle pene patteggiate.

Le motivazioni della Corte

Sulla base di questa distinzione, la Corte ha concluso che la censura del ricorrente era parzialmente fondata. Per il secondo gruppo di sentenze, il giudice dell’esecuzione aveva errato nel riconoscere la continuazione tra le due pene patteggiate senza il preventivo accordo con il PM. Di conseguenza, su questo specifico punto, la Cassazione ha annullato l’ordinanza con rinvio, affinché il Tribunale proceda secondo la corretta procedura.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte lo ha ritenuto infondato. Il giudice di merito aveva adeguatamente motivato l’esclusione del reato continuato tra altre due sentenze, valorizzando elementi concreti come la diversità del contesto (reati commessi da libero e reati commessi in carcere) e la distanza temporale. Questi fattori, secondo la Corte, sono sufficienti a interrompere l’unicità del disegno criminoso, dimostrando che i reati successivi sono frutto di una determinazione estemporanea e non di una programmazione iniziale.

Le conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio procedurale di fondamentale importanza pratica. L’accordo con il Pubblico Ministero, previsto dall’art. 188 disp. att. c.p.p., è un requisito indispensabile per il riconoscimento, anche parziale, della continuazione tra le sole sentenze emesse in sede di patteggiamento. La sua mancanza vizia la procedura e comporta l’annullamento della decisione. Al contrario, quando si tratta di unificare una sola sentenza di patteggiamento con una derivante da un giudizio ordinario, tale accordo non è richiesto. La decisione consolida inoltre l’orientamento secondo cui la valutazione sull’unicità del disegno criminoso deve basarsi su indicatori concreti, come il contesto e la contiguità temporale, la cui analisi rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata.

È sempre necessario l’accordo con il PM per applicare il reato continuato tra una sentenza di patteggiamento e una di rito ordinario?
No. Secondo la sentenza, se la richiesta di continuazione riguarda una sola sentenza di patteggiamento e una o più sentenze ordinarie, non è necessario l’accordo con il Pubblico Ministero previsto dall’art. 188 disp. att. c.p.p.

Cosa succede se si chiede il reato continuato tra più sentenze di patteggiamento e una sentenza ordinaria?
In questo caso, l’accordo con il Pubblico Ministero è un requisito necessario e indispensabile per poter riconoscere la continuazione tra le sentenze emesse a seguito di patteggiamento. La sua mancanza rende la procedura illegittima, anche se nel gruppo è inclusa una sentenza ordinaria.

Quali elementi può usare un giudice per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso?
Il giudice può escludere un unico disegno criminoso basandosi su indicatori concreti come la notevole distanza temporale tra i fatti, la diversità dei luoghi e, soprattutto, la differenza del contesto in cui i reati sono stati commessi (ad esempio, alcuni commessi da persona libera e altri durante la detenzione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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