Reato consumato e false dichiarazioni: la ritrattazione non salva
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso di false dichiarazioni sull’identità personale, offrendo spunti cruciali sul momento in cui si perfeziona un illecito e sui limiti di applicabilità di istituti come il recesso attivo e la non punibilità per tenuità del fatto. La decisione sottolinea un principio fondamentale: una volta che si configura un reato consumato, la successiva correzione della propria condotta può risultare del tutto ininfluente ai fini della responsabilità penale.
I Fatti del Caso: La Dichiarazione e il Ricorso
Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, di un soggetto per il delitto di false dichiarazioni sulla propria identità, previsto dall’articolo 496 del codice penale. L’imputato, dopo aver fornito generalità non veritiere, aveva proposto ricorso in Cassazione basandosi su tre argomenti principali:
1. Errata applicazione della legge penale, sostenendo che il reato non sussistesse.
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), data la scarsa offensività della condotta.
3. Applicabilità del cosiddetto ‘recesso attivo’, poiché in un secondo momento aveva rivelato la sua vera identità.
L’Analisi della Corte sul Reato Consumato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le difese dell’imputato. Riguardo al primo e al terzo motivo, i giudici li hanno liquidati come una mera ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già presentati e puntualmente respinti dalla Corte d’Appello. Il ricorso, infatti, mancava di una critica argomentata e specifica contro la sentenza di secondo grado.
Il cuore della decisione risiede nella qualificazione del reato consumato. La Corte ha ribadito che il delitto di false dichiarazioni sull’identità è un reato istantaneo. Ciò significa che si perfeziona e si consuma nel preciso istante in cui la falsa dichiarazione viene resa all’interlocutore qualificato. Nel momento in cui l’imputato ha fornito le false generalità, il reato era già stato completato in tutti i suoi elementi. Di conseguenza, la successiva condotta ‘riparatoria’ di rivelare la vera identità è giuridicamente irrilevante, in quanto avvenuta quando l’illecito si era già perfezionato. Questo esclude categoricamente la possibilità di invocare il ‘recesso attivo’, che presuppone un intervento prima che il reato sia giunto a consumazione.
Abitualità e Tenuità del Fatto: Perché l’Art. 131-bis Non si Applica
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla particolare tenuità del fatto, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte di Cassazione ha validato la motivazione della Corte d’Appello, che aveva negato il beneficio basandosi su argomentazioni logiche e conformi alla giurisprudenza.
Il fattore decisivo è stato il curriculum criminale dell’imputato. I suoi numerosi precedenti penali sono stati considerati non tanto per la loro natura specifica, quanto come un chiaro indicatore di ‘abitualità nella commissione di delitti’. Questa condizione di ‘comportamento non occasionale’ è una delle cause ostative esplicitamente previste dalla legge per l’applicazione dell’articolo 131-bis c.p. Pertanto, anche se il singolo episodio di false dichiarazioni poteva apparire di modesta gravità, la propensione a delinquere del soggetto ha impedito di qualificare la sua condotta come meritevole della non punibilità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri procedurali e sostanziali. In primo luogo, l’inammissibilità deriva dalla genericità e ripetitività dei motivi di ricorso, che non si confrontavano criticamente con la decisione impugnata. In secondo luogo, sul piano del diritto sostanziale, è stato chiarito che il delitto di false dichiarazioni si consuma istantaneamente, rendendo inefficace ogni tardiva ritrattazione. Infine, è stato ribadito che la presenza di numerosi precedenti penali, indicativi di abitualità, preclude l’accesso alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale è un reato che si perfeziona immediatamente, e tornare sui propri passi non cancella l’illecito già commesso. La seconda è che la valutazione per la concessione della non punibilità per tenuità del fatto non si limita all’episodio specifico, ma considera anche la storia criminale del soggetto. Una ‘carriera’ delinquenziale, anche se composta da reati di diversa natura, può essere interpretata come un’abitudine al crimine, chiudendo le porte a questo importante beneficio di legge.
È possibile evitare una condanna per false dichiarazioni sull’identità se ci si corregge successivamente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato si considera consumato nel momento esatto in cui viene resa la falsa dichiarazione. Una successiva correzione o ritrattazione non annulla il reato, che si è già perfezionato in tutti i suoi elementi.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile principalmente perché i motivi presentati erano una semplice e acritica ripetizione di quelli già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro le motivazioni della sentenza impugnata.
I precedenti penali impediscono sempre di ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non automaticamente, ma sono un fattore determinante. In questo caso, la Corte ha stabilito che i numerosi precedenti penali dell’imputato erano un chiaro indicatore della sua ‘abitualità’ a commettere reati. Questa condizione è una causa ostativa prevista dalla legge che impedisce l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31336 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31336 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMECOGNOME NOME nato a TERAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila, che ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 496 cod. pen.;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente eccepisce erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza della fattispecie di reato ex art. 496 cod. pen., e il terzo e ultimo motivo di ricorso, con cui si denuncia l’erronea applicazione della legge penale circa il c.d. recesso attivo, sono ambedue inammissibili, perché fondati su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito (si veda pag. 4 della sentenza impugnata); i motivi hanno formulazione del tutto generica, senza una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso, che ha evidenziato come, al momento in cui si è posta in essere la condotta dichiarativa delle vere generalità, il reato era già consumato;
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale e/o mancanza di motivazione in riferimento all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è manifestamente infondato. La sentenza impugnata (si veda, in particolare, pag. 4) ha posto a base del rigetto della richiesta di particolare tenuità del fatto argomentazioni logiche e corrispondenti agli orientamenti di legittimità (i numerosi precedenti penali, non in quanto tali, ma come indicativi della abitualità nella commissione di delitti);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore Il Presidente Così deciso il 10 aprile 2024
DEPOSITATA