Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46008 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46008 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 27/11/2024
R.G.N. 33427/2024
EVA TOSCANI
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Marocco il 04/02/1976
avverso l’ordinanza del 07/08/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di Salerno
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore: l’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Castrovillari, in difesa di NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 07 agosto 2024 il Tribunale del riesame di Salerno, accogliendo parzialmente l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME ha sostituito la misura
cautelare degli arresti domiciliari a lui applicata in data 01 luglio 2024 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno con quella dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, quale indagato per il reato di cui agli artt. 416, comma 1, 2, 5 e 6 cod. pen. e 3 legge n. 146/2006, finalizzato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, da lui commesso in concorso con molte altre persone, quale procacciatore di cittadini stranieri interessati ad entrare in Italia per mezzo di fittizi contratti di lavoro.
Il Tribunale ha ripercorso l’esito delle indagini, svolte soprattutto attraverso intercettazioni a carico di tale COGNOME che, unitamente a persone legate ad un’associazione di tipo camorristico, organizzava e dirigeva l’intera attività, ricevendo da procacciatori stranieri i nomi di cittadini extracomunitari disposti ad emigrare in Italia, a pagamento, per mezzo di contratti di lavoro fittizi, reclutando i falsi datori di lavoro e ottenendo, tramite costoro, i necessari nulla-osta per gli stranieri, e infine facendo arrivare i falsi lavoratori e ricevendo il denaro da loro versato per ottenere il visto di ingresso, che veniva riciclato attraverso la famiglia legata all’associazione camorristica.
L’ordinanza, in primo luogo, ha negato la violazione dell’art. 143 cod. proc. pen., essendo smentita dagli atti l’affermazione del difensore circa la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato, ed ha dichiarato inammissibile, per genericità, l’eccezione di incompetenza del Tribunale di Salerno. Infine ha ribadito la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, costituiti dalla intercettazione riportata alla pag. 47, da cui emerge il ruolo dell’indagato di procacciatore di cittadini stranieri disposti a pagare per ottenere l’ingresso in Italia mediante falsi contratti di lavoro. Ha accolto, però, la richiesta di riesame quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, ritenendo ridotto il pericolo di recidiva, una volta interrotto il sistema criminoso mediante l’arresto del suo organizzatore NOMECOGNOME e perciò sufficienti misure cautelari meno afflittive.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, per la mancata valutazione delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia.
Il Tribunale non ha valutato le allegazioni difensive, che sono idonee per mettere in crisi la ricostruzione della pubblica accusa, e non ha neppure spiegato quali siano le ulteriori attività svolte dal ricorrente in favore dell’associazione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
L’unico indizio citato nell’ordinanza Ł una breve conversazione con il COGNOME, da cui si comprende che il ricorrente, che aveva un’azienda agricola, doveva mandargli dei passaporti per motivi di lavoro. Manca, però, la prova che detti passaporti siano stati inviati. L’interpretazione di quella conversazione Ł illogica, in quanto dalla stessa non si può evincere la partecipazione del ricorrente all’associazione criminosa, e il Tribunale non esamina le possibili interpretazioni alternative, come ad esempio l’esistenza di un rapporto del tutto regolare. Mancano poi riscontri all’interpretazione fornita, secondo cui tale unica conversazione dimostrerebbe un ruolo di procacciatore di cittadini stranieri, non essendosi neppure indagato per individuare i passaporti eventualmente forniti e i nomi degli stranieri procacciati.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari.
L’affermazione di pericolosità sociale Ł apodittica e fondata su aspetti generici, senza valutare in concreto la possibilità di recidiva. L’ordinanza stessa afferma che, con l’arresto del COGNOME, deve escludersi che l’indagato possa reiterare l’illecito, per cui non si comprende la ragione del mantenimento di una misura cautelare, dal momento che egli Ł incensurato, ha un lavoro e una
famiglia, e non risulta avere rapporti con alcuno degli altri indagati.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge per l’erronea indicazione della norma violata.
L’imputazione riportata al capo 1) contiene l’indicazione, tra le norme violate, dell’art. 3 legge n. 146/2003, norma del tutto inconferente al caso di specie. Ciò comporta la nullità per difetto di indicazione della norma violata.
Il Procuratore generale, nella requisitoria resa in udienza, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato una memoria difensiva, con cui ha ribadito i motivi di ricorso, riferendo anche di una decisione della Corte di cassazione che, con riferimento ad un altro indagato nel medesimo procedimento, ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, disponendo un nuovo giudizio. Nella trattazione orale ha ripetuto le ragioni del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato, nei limiti sotto precisati, e deve essere accolto.
Il primo motivo del ricorso Ł manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente lamenta l’omessa valutazione delle dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio di garanzia e delle allegazioni difensive. Dall’ordinanza impugnata risulta, però, che durante tale interrogatorio egli si Ł avvalso della facoltà di non rispondere, per cui non vi sono sue dichiarazioni che possano essere oggetto di valutazione, nØ il ricorrente ha contestato come errata l’affermazione contenuta nell’ordinanza o ha indicato in quale momento del procedimento egli avrebbe reso delle dichiarazioni di cui sia stata omessa la valutazione. Il ricorso, inoltre, Ł inammissibile per la violazione del principio di autosufficienza, dal momento che ad esso non Ł stato allegato il verbale delle dichiarazioni asseritamente rese, al fine di consentire a questa Corte di valutane la sussistenza e la rilevanza. Il motivo, infine, Ł inammissibile per genericità e aspecificità quanto alla dedotta omessa valutazione delle allegazioni difensive, perchØ queste non vengono neppure sommariamente esposte o richiamate, rendendo impossibile verificare quale argomentazione, giuridicamente rilevante, sia stata indebitamente trascurata.
3. Anche il quarto motivo di ricorso Ł inammissibile.
L’indicazione, nell’imputazione provvisoria, della violazione dell’art. 3 legge n. 146/2003 anzichØ dell’art. 3 della legge n. 146/2006 costituisce un mero errore materiale, di facile comprensione stante il contenuto della legge erroneamente indicata, del tutto eccentrico rispetto alla violazione contestata. Esso non comporta alcuna nullità, peraltro neppure indicata chiaramente dal ricorrente, nØ ha comportato una limitazione all’esercizio dei diritti difensivi, essendo l’aggravante della transnazionalità esplicitamente contestata nel testo dell’imputazione.
Il secondo motivo, relativo alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, Ł invece fondato.
L’ordinanza, dopo un’ampia esposizione degli elementi sui quali si fonda l’intera ipotesi accusatoria, a carico di molti coindagati, alla pagina 47 riporta in modo completo la conversazione
intercettata tra il ricorrente e il coindagato NOME COGNOME prima brevemente citata alla pagina 15, dalla quale risulta che il primo, che ha un evidente rapporto di confidenza e di pregressa collaborazione con il COGNOME, Ł incaricato di mandare dei passaporti al COGNOME stesso. Da questa telefonata il Tribunale del riesame, fornendo un’interpretazione conforme a quella contenuta nell’ordinanza genetica, trae l’indizio, ritenuto grave, del coinvolgimento del COGNOME nell’associazione criminosa e, quindi, della sussistenza del reato di cui all’art. 416 cod. pen. a lui ascritto.
La valutazione del Tribunale del riesame appare effettuata in modo non conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, quanto alla sussistenza sia dell’elemento oggettivo, sia dell’elemento soggettivo del reato associativo contestato. La telefonata in questione, infatti, Ł significativa ma risulta costituire, secondo l’ordinanza impugnata, l’unico elemento a carico del ricorrente, non supportato da alcun approfondimento di indagine in merito alla condotta da lui concretamente tenuta e in merito alla sua consapevolezza circa l’utilizzazione dei passaporti o dei nominativi che egli avrebbe procurato e, soprattutto, in merito alla sua consapevolezza di operare all’interno di un gruppo associato, e non di compiere un’attività criminosa che coinvolge, oltre a lui, solo il suo interlocutore.
L’ordinanza stessa cita la sentenza Sez. 2, n. 28868 el 02/07/2020, Rv. 279589, con cui questa Corte ha affermato che «In tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non Ł necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione», ma non ne applica il principio, in quanto non indica alcun comportamento del Nadi che dimostri da un lato la sua stabile partecipazione alla ipotizzata associazione criminosa, e dall’altro lato la sua consapevolezza di tenere condotte dirette a soddisfare le sue finalità, e non di commettere reati in concorso con il solo NOME. Si deve ribadire il principio secondo cui «In tema di associazione per delinquere, l’elemento soggettivo non può consistere nel dolo eventuale, inteso come prospettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità di partecipare attivamente e stabilmente a una consorteria che persegue lo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti, richiedendosi il dolo diretto, che postula la consapevolezza della finalità perseguita dal sodalizio con il quale si collabora in maniera stabile e attiva, atteso che Ł proprio la finalità di commettere un numero indeterminato di delitti l’elemento discriminante, che rende illecita l’associazione, altrimenti organismo lecito, al quale si partecipa in esplicazione del diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 18 Cost.» (Sez, 3, n. 1465 del 10/11/2023, dep. 2024, Rv. 285737). In applicazione di tale principio, questa Corte ha anche affermato che «Non risponde del delitto di associazione per delinquere colui che, pur partecipando alla commissione di uno o di piø reati funzionali al perseguimento degli scopi dell’associazione, ignori l’esistenza dell’associazione stessa, mentre, nell’ipotesi in cui egli sia a conoscenza dell’esistenza del sodalizio e sia consapevole di contribuire, con la propria condotta, alla realizzazione del programma associativo, risponderà del reato di cui all’art. 416 cod. pen. anche nel caso in cui la realizzazione del reato fine sia rimasta a livello di meri atti preparatori» (Sez. 3, n. 26724 del 04/03/2015, Rv. 264498).
L’ordinanza impugnata non indica alcun elemento concreto da cui poter dedurre, sia pure nei termini di non assoluta certezza propri del giudizio cautelare, la consapevolezza del COGNOME di tenere una condotta che si inserisce in una piø complessa attività di cui il COGNOME Ł l’organizzatore, ma a cui partecipano molti altri soggetti associati tra loro, e non motiva affatto la sussistenza del necessario dolo diretto da intendersi, come detto, nella consapevolezza di collaborare al raggiungimento di una finalità delittuosa perseguita da un sodalizio di persone. L’unico indizio a carico del COGNOME, costituito, come detto, dalla telefonata riportata alla pag. 47 dell’ordinanza, non può pertanto, sulla base della motivazione dell’ordinanza impugnata, essere ritenuto «grave», tale cioŁ da far presumere, con
qualificante probabilità, la commissione da parte del ricorrente del reato associativo a lui contestato (vedi Sez. 1, n. 483 del 26/01/1994, Rv. 197201).
Anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, Ł fondato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata appare contraddittoria in merito alla loro persistenza, dal momento che, alle pagine 48 e 49, dopo avere ribadito che il pericolo di recidiva richiede una valutazione prognostica sulla possibilità di reiterare le condotte di reato, afferma che il ricorrente, «alla luce della natura del suo contributo alla condotta delittuosa del dominus NOME», evidentemente ritenuta di modesta gravità e legata esclusivamente al rapporto con tale coindagato, deve essere ritenuto «non … del tutto capace di autodeterminarsi per reiterare l’illecito», ma applica poi al medesimo le misure cautelari dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Tali misure vengono ritenute necessarie per far fronte alle «residue esigenze cautelari», la cui natura e sussistenza non sono però motivate, omettendo l’ordinanza di chiarire, in particolare, quale possibilità si attribuisca al Nadi di commettere ancora il reato associativo contestato o altri reati analoghi, dal momento che non viene indicato alcun rapporto tra lui ed altri sodali dei quali, come sottolineato al paragrafo che precede, non risulta neppure accertata la conoscenza, ovvero quali altri delitti si ritiene che egli possa commettere, avendolo ritenuto incapace di autodeterminarsi.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale del riesame di Salerno per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno sezione per il riesame.
Così Ł deciso, 27/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME