Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22290 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22290 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME, nato a Milazzo (Me) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 1247/22 della Corte di appello di Messina del 21 settem 2022;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibil del ricorso;
letta, altresì, la memoria di replica redatta dal difensore dell’imputato, NOME COGNOME, del foro di Messina, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Messina ha, con sentenza pronunziata in data 21 settembre 2022, rigettato l’appello presentato da NOME COGNOME, detto COGNOME, avverso la sentenza con la quale, il precedente 25 settembre 2020, il Tribunale di Messina, in composizione collegiale, aveva dichiarato il predetto responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2, del dPR n. 309 del 1990, perché, in concorso con altri nei cui confronti si è separatamente proceduto, si associava onde costituire una struttura organizzata dedita alla commissione di reati in materia di stupefacenti e lo aveva, pertanto, condannato alla pena di anni 10 di reclusione oltre accessori.
Avverso la sentenza in tale modo pronunziata ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, articolando a tal fine sei motivi di impugnazione.
Il primo motivo ha ad oggetto la utilizzazione del materiale probatorio acquisito nel corso di un procedimento definito con l’archiviazione senza che sia stata autorizzata la riapertura delle indagini.
Il secondo motivo di ricorso è articolato in funzione della violazione del divieto di bis in idem; sostiene, infatti, il ricorrente che i fatti per i quali stato ora giudicato già avevano formato oggetto di altro precedente giudizio celebrato a suo carico e definito con sentenza di condanna, divenuta irrevocabile il 18 ottobre 2022.
Il successivo terzo motivo di doglianza riguarda il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla ritenuta utilizzabilità della ricognizion informale del NOME operata da un collaboratore di giustizia, tale RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente si è lagnato, eccependo il vizio di violazione di legge e quello di motivazione, del fatto che la Corte messinese abbia confermato il giudizio già espresso in merito alla sua partecipazione ad un sodalizio criminoso sulla cui esistenza erano state formulate censure in sede di gravame.
Il quinto motivo di ricorso, logicamente connesso al precedente, riguarda la illegittimità della decisione della Corte peloritana, la quale ritenuto sussistere il reato associativo e non ha ritenuto di ditovere derubricar la condotta ascritta al ricorrente quale violazione dell’art. 73, commi 1 e 5, de dPR n. 309 del 1990.
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Infine, il sesto motivo di impugnazione ci si duole, allegando anche in questo caso il vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione, del fat che la Corte territoriale non abbia ritenuto di accogliere il motivo di gravame afferente al mancato riconoscimento in favore dell’imputato delle . circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato nel suo complesso infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Il primo motivo di impugnazione è manifestamente infondato; il ricorrente lamenta il fatto che si sia illegittimamente proceduto ad una nuova iscrizione del suo nominativo nel registro degli indagati, sebbene lo stesso già fosse stato oggetto di una precedente richiesta di archiviazione accolta dal Gip in data 8 dicembre 2013, senza che fosse stata richiesta la autorizzazione secondo la previsione di cui all’art. 414 cod. proc. pen., facendo da ci derivare un radicale vizio del procedimento e la inutilizzabilità degli atti indagine svolti nel corso del nuovo procedimento in tal modo introdotto.
La tesi difensiva è inaccettabile sol che si consideri la circostanz secondo la quale i fatti per cui ora si procede sono diversi rispetto a quelli p i qual4 era stata dapprima chiesta e poi disposta la archiviazione dell posizione del COGNOME, come indubitabilmente emerge dal dato obbiettivo che la contestazione ora in esame ha quale suo termine di riferimento un periodo cronologico successivo persino allo stesso provvedimento di archiviazione disposto in favore del COGNOME.
La tesi ora esposta appare, d’altra parte, anche confortata dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in caso di reato permanente, quale è quello per cui si procede, l’archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo illecito con riferimento a comportamenti successivi a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione (Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 marzo 2017, n. 14777; Corte di cassazione, Sezione V penale, 29 ottobre 2015, n. 43663).
Discorso analogo, sebbene in parte diverso, deve essere fatto quanto alla contestazione di cui al secondo motivo di doglianza; essendo esso articolato con riferimento alla pretesa violazione del principio del ne bis in idem è sufficiente osservare, onde dimostrare l’infondatezza dell’assunto
difensivo, che non vi è duplicazione di pronunzie sfavorevoli a carico del NOME, posto che i fatti in relazione ai quali questi era stato già condannat nell’ambito del procedimento denominato “Intreccio” sono riferiti agli anni che vanno dal 2011 al 2012, mentre i fatti per i quali il prevenuto è stato or giudicato (salva ovviamente la eventuale possibilità che gli stessi possano essere ritenuti espressivi di un medesimo disegno criminoso rispetto a quelli già oggetto di una precedente sentenza, valutazione che non compete a questa Corte) sono successivi a quelli cui il ricorrente ha fatto riferimento, d tal che la distinzione cronologica fra i vari fatti in contestazione, comportando la diversità dei medesimi, esclude che vi sia stata violazione della regola del ne bis in idem.
Venendo, a questo punto, all’esame del terzo motivo di ricorso, si segnala che con lo stesso è censurata, sotto il profilo della violazione di legg e del vizio di motivazione, la opzione della Corte messinese di ritenere utilizzabile la ricognizione personale del NOME operata dal collaboratore di giustizia COGNOME; essa, infatti, sarebbe stata effettuata in violazione di legge, in particolare si richiamano gli artt. 213 e ss cod. pro pen., oltre che in violazione del diritto di difesa.
Ciò posto rileva il Collegio che è ben vero che le modalità dell’avvenuto riconoscimento del NOME da parte del COGNOME non sono le più lineari, considerato che, essendo stato ascoltato il COGNOME in videoconferenza, egli ha potuto riconoscere l’odierno imputato solo dopo che questi era stato invitato dal Presidente del Collegio a collocarsi in maniera tale da essere ripreso dalla telecamera che consentiva al COGNOME di vedere quanto avveniva nell’aula di udienza, ma tutto questo ha poca importanza atteso che il NOME, alla luce della non contestata sintesi dei motivi di gravame contenuta nella sentenza di appello, non si era lamentato in occasione della presentazione della sua impugnazione di merito di tale particolare metodica seguita in primo grado, di tal che egli non può ora lamentarsi del fatto che i riconoscimento in questione – che, giova ricordare è una prova atipica che si distingue dalla ricognizione personale in senso formale e che, pertanto, è valida e processualmente utilizzabile anche senza l’osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale (Corte di cassazione, Sezione II penale, 22 giugno 2022, n. 23970) – si sia svolto secondo modalità operative ora da lui criticate.
Parimenti non significativo è il dato che solo il COGNOME conoscesse il NOME sotto il nomignolo di “NOME” mentre per gli altri era “NOME“; una
tale circostanza – premessa la evidenza della appartenenza della persona con la quale il COGNOME ha avuto relazioni di affari illeciti all’entourage di COGNOME NOME, cioè del soggetto organizzatore della associazione per delinquere della quale, secondo l’accusa, faceva parte anche il COGNOME – potrebbe essere idonea a porre in discussione la identificazione fra il COGNOME e “COGNOME” ove fosse emerso che nell’ambito della predetta associazione per delinquere vi era altra persona nota con tale soprannome; ma la circostanza che una tale evenienza non si è posta induce a ritenere che la denominazione di “COGNOME” designava il COGNOME, soggetto conosciuto (e riconosciuto) personalmente dal COGNOME, anche se ciò si verificava solo per il COGNOME e per colui (o coloro) che avevano per tale indicato il COGNOME al COGNOME.
Riguardo alla partecipazione del ricorrente alla associazione a delinquere in questione, argomento che costituisce il contenuto del quarto motivo di ricorso, si rileva che le doglianze formulate dalla sua difesa attengono, riguardando le valutazioni processuali operate nei precedenti gradi di giudizio sulla scorta del materiale probatorio acquisito agli atti del processo, a profili apprezzamento di fatto non suscettibili di formare oggetto di doglianza in sede di legittimità.
Il successivo quinto motivo di impugnazione, con il quale si chiede che le condotte del NOME siano derubricate da violazione dell’art. 74 del dPR n. 309 del 1990 in violazione dell’art. 73 del medesimo testo è inammissibile, posto che la evidente diversità ontologica e strutturale fra i due illeciti non consen di ritenere che una medesima condotta possa essere, senza che vi sia una sostanziale rivisitazione del fatto attribuito al prevenuto, essere riqualific da reato associativo a violazione di una delle ipotesi di reato previste dall normativa penale in materia di sostanze stupefacenti elencate nell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990.
Privo di pregio è, infine, anche il sesto motivo di impugnazione, riferito alla mancata attribuzione dal NOME del beneficio della diminuzione della pena derivante dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, atteso che lo stesso è sostenuto solo dalla ritenuta possibilità che avrebbero avuto i giudici del merito, ove avessero riconosciuto il beneficio, di mitigare la pena inflitta all’imputato.
Ora, se è ben vero che, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è consentito al giudicante di meglio parametrare il trattamento sanzionatorio alla effettiva gravità del fatto, una tale operazion non è, tuttavia lecita ove non siano state poste in evidenza delle situazioni
che, ancorché atipiche e non oggetto di una specifica indicazione normativa, giustifichino, ponendo in luce una qualche peculiarità della fattispecie, l’esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena da parte dell’organo giudiziario di merito, tale da consentirgli, ma solo laddove tali elementi siano stati evidenziati, anche di superare, andando al di sotto del minimo edittale, lo stesso riferimento sanzionatorio dettato dal legislatore.
Nella occasione un siffatto potere, secondo la prospettazione del ricorrente, si sarebbe dovuto esercitare, ma il ricorrente non è stato in grado di indicare quale poteva essere la specificità della fattispecie, da l evidenziata in sede di merito ed ivi trascurata, che avrebbe potuto innescare il potere discrezionale del giudice del merito.
Così stando le cose la doglianza avverso la sentenza della Corte di merito, che tale potere non ha inteso utilizzare, non ha fondamento alcuno.
In definitiva, il ricorso va dichiarato infondato ed il ricorrente deve essere condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2024 Il Consigliere estensore Il Presidente