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Reato associativo: quando la fornitura è stabile?

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato associativo finalizzato al narcotraffico. La Corte ha confermato che la fornitura stabile e continuativa di stupefacenti a un’organizzazione, e non semplici cessioni occasionali, costituisce un grave indizio di partecipazione al sodalizio, giustificando la misura cautelare più afflittiva.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Associativo e Narcotraffico: la Cassazione traccia la linea tra fornitore e partecipe

La distinzione tra una serie di cessioni di stupefacenti e la partecipazione a un’organizzazione criminale è un tema centrale nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su come valutare la sussistenza di un reato associativo ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. La decisione conferma che la stabilità e l’affidabilità di un fornitore per il sodalizio sono elementi chiave per configurare l’appartenenza all’associazione, andando oltre il semplice rapporto commerciale.

I Fatti del Caso: la Custodia Cautelare

Il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo, indagato per partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa, l’indagato avrebbe agito come fornitore per un sodalizio criminale, effettuando plurime cessioni di droga e mantenendo contatti con i vertici dell’organizzazione.

Il Ricorso in Cassazione: i motivi della difesa

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la configurabilità del reato associativo. Secondo il ricorrente, il rapporto con l’organizzazione era puramente ‘sinallagmatico’, ovvero basato su singole compravendite di modesta entità, senza la coscienza e volontà di aderire stabilmente al gruppo criminale. La difesa ha evidenziato che le cessioni si erano protratte per un periodo limitato e che il capo dell’associazione si riforniva anche da altri soggetti, elementi che, a suo avviso, escludevano un inserimento organico nel sodalizio.

Inoltre, il ricorso contestava la necessità della custodia in carcere, sottolineando il lungo tempo trascorso dai fatti, l’assenza di comportamenti illeciti successivi e lo stato di incensuratezza dell’indagato, elementi che avrebbero dovuto portare a una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari.

Reato Associativo: l’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito che, in sede di legittimità, il loro compito non è rivalutare nel merito le prove, ma verificare la logicità e la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso di specie, la decisione del Tribunale del Riesame è stata considerata immune da vizi.

La Corte ha sottolineato che per integrare il reato associativo, non è necessario che un fornitore operi in esclusiva per l’associazione. Gli elementi decisivi emersi nel caso concreto erano:

1. Pluralità di reati-fine: L’indagato era accusato di molteplici forniture di droga all’associazione.
2. Rapporti diffusi: Aveva contatti non solo con il vertice, ma anche con altri associati.
3. Stabile punto di riferimento: L’imputato rappresentava un punto fermo e affidabile per il rifornimento di cocaina e marijuana, su cui l’associazione poteva contare stabilmente.
4. Stabilità dell’accordo: L’organizzazione non doveva cercare di volta in volta un fornitore, ma poteva fare affidamento sui ‘servigi’ del ricorrente, dimostrando una comunanza di scopo duratura.

La Valutazione sulle Esigenze Cautelari

Anche riguardo alla necessità della misura cautelare, la Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale. Per il reato associativo legato al narcotraffico (art. 74 D.P.R. 309/90), la legge prevede una presunzione di adeguatezza della custodia in carcere. Per derogare a tale presunzione, è necessario dimostrare l’assenza di esigenze cautelari o la possibilità di soddisfarle con misure meno gravi.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente valorizzato la professionalità della condotta, la reiterazione delle cessioni, il ruolo di fornitore dell’associazione e la personalità dell’indagato, desunta dai suoi rapporti paritari con i vertici del gruppo criminale. Questi elementi, indicativi di un elevato spessore delinquenziale, sono stati ritenuti prevalenti rispetto al tempo trascorso dai fatti e allo stato di incensuratezza, rendendo la custodia in carcere l’unica misura idonea a recidere i legami con l’ambiente criminale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sul principio consolidato secondo cui il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito. Il ricorso è stato giudicato aspecifico perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del Riesame con una motivazione logica e congrua. I giudici hanno ribadito che la prova dell’appartenenza a un sodalizio non deriva dalla quantità di droga ceduta in ogni singola occasione, ma dalla stabilità del rapporto e dalla consapevolezza di contribuire agli scopi dell’organizzazione. L’indagato non era un semplice venditore occasionale, ma una risorsa stabile e affidabile per il gruppo, manifestando così una durevole comunanza di interessi criminali.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare la partecipazione a un’associazione a delinquere, ciò che conta è l’inserimento stabile e consapevole nella struttura, anche in un ruolo specifico come quello di fornitore. La natura del rapporto, se di affidabile e continuativa collaborazione anziché di mera compravendita occasionale, è l’elemento che fa scattare la più grave accusa di reato associativo e, di conseguenza, giustifica l’applicazione di misure cautelari più severe come la custodia in carcere, ritenuta necessaria per interrompere i legami con la rete criminale.

Quando una serie di cessioni di stupefacenti integra un reato associativo?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando il fornitore non si limita a vendite occasionali (rapporto sinallagmatico), ma diventa un punto di riferimento stabile e affidabile per l’organizzazione criminale, dimostrando una comunanza di scopo duratura e la consapevolezza di contribuire agli obiettivi del sodalizio.

Qual è il limite del controllo della Corte di Cassazione sulle ordinanze di misura cautelare?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o l’attendibilità delle prove. Il suo controllo si limita a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato, accertando che il giudice di merito abbia applicato correttamente la legge e fornito una giustificazione coerente e non manifestamente illogica.

Perché è stata confermata la custodia in carcere nonostante fosse passato del tempo dai fatti contestati?
La custodia in carcere è stata confermata perché, secondo i giudici, la professionalità della condotta, la reiterazione dei reati, il ruolo di fornitore di un’associazione e l’elevato spessore delinquenziale dell’indagato indicavano un rischio di reiterazione del reato così elevato da rendere recessivo il tempo trascorso. La misura è stata ritenuta l’unica idonea a recidere i legami con l’ambiente criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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